Oggi abbiamo il piacere di presentarvi la nostra recensione di Oltre la Tempesta, il primo manuale di espansione ufficiale di Vulcania, il gioco di ruolo pulp-steampunk tutto italiano. Vogliamo innanzitutto ringraziare Mattia Arnaudo e Simone Raspi, autori del gioco, per averci inviato una copia fisica del manuale da visionare.
Se dopo questa recensione voleste aggiungere Vulcania – Oltre la Tempesta alla vostra collezione, potete acquistarlo dal sito di Gear Games al costo di 44,99 dollari in versione fisica comprensiva di PDF e con mappa a doppia faccia in omaggio. In alternativa, per 19,99 dollari potete avere la sola versione digitale.
Recensione del Volume di Vulcania – Oltre la Tempesta
Mettiamo subito le cose in chiaro. Dal punto di vista editoriale, Vulcania – Oltre la Tempesta è un gran lavoro. Un volume di formato grande, copertina rigida e pagine patinate che non sfigurerebbe su nessuno scaffale. Lo stile è lo stesso del manuale base di Vulcania, sia per quanto riguarda la grafica che per le illustrazioni. Si tratta in definitiva di un bel manuale, di quelli che invogliano a sfogliarne le pagine quando ce lo si ritrova davanti. È, in sintesi, appagante.
Lo stile “cartoon” e volutamente eccessivo di Vulcania – Oltre la Tempesta aiuta a immergersi immediatamente nell’atmosfera che gli autori vogliono trasmettere. ll comparto artistico vede Jacopo Tagliasacchi e Sabrina Normani in copertina, affiancati da Lodovico Sartirana e Virginia Chiabotti nelle pagine. E tutti hanno dato il loro meglio. Anche alcuni artwork più simili a sketch potranno anche essere figli della necessità di tagliare i tempi e i costi di produzione, ma si adattano perfettamente al carattere quasi da diario di viaggio che il manuale restituisce in alcuni passaggi.
Cosa Ci Aspetta?
Su 280 pagine di manuale, ben 145 sono di ambientazione. Un numero piuttosto importante, e infatti le novità sono decisamente tante. Come al solito le nostre recensioni sono senza spoiler, ma qualche piccolo accenno possiamo comunque darvelo.
Vulcania – Oltre la Tempesta non approfondisce i contenuti già esposti nel manuale base di Vulcania, come spesso accade per un supplemento del genere. Sceglie invece di spostare il focus del gioco su Letvia, il Nuovo Mondo. Non è questo lo spazio per soffermarci troppo sul setting di Vulcania. Per chi non dovesse conoscerlo, il continente dov’è ambientato è diviso in sei Isonazioni. Reduci da un periodo di guerra, ognuna ne porta le cicatrici che hanno reso ancora più evidenti le profonde differenze culturali.
Latvia è un continente completamente nuovo in cui gli avventurieri potranno muoversi. Inevitabile che l’esplorazione abbia un ruolo di primo piano, ma questo assolutamente senza accantonare il lato politico. Un aspetto che nel gioco risulta a dir poco fondamentale.
Il Nuovo Mondo
Nel mondo di Vulcania è stata inventata la “bolla”. Si tratta di un dispositivo che permette di avvolgere una nave volante o un sottomarino, caratteristici mezzi di spostamento del setting, in una sfera protettiva. Grazie ad essa si puòattraversare indenni, seppur con qualche rischio, la Barriera. Essa è l’area tempestosa che divide il Vecchio Mondo da Latvia; un’area impraticabile fino alla commercializzazione della bolla.
Questo ha scatenato la competizione più sfrenata tra le Isonazioni, che corrono ad accaparrarsi la più ampia fetta possibile di terreno del Nuovo Mondo. Ma ovviamente devono fare i conti con le colonie, ormai separate da decenni dalle Isonazioni, e con le popolazioni indigene dell’isola.
E’ una competizione sfrenata che lega i due mondi di Vulcania a doppio filo, intrecciandoli ulteriormente agli interessi economici dei Monopoli. Queste organizzazioni non statali, con le loro innovazioni tecnologiche, riescono a smuovere gli obiettivi strategici dell’intero mondo civile a proprio piacimento.
Recensione delle Nuove Opzioni per i Personaggi di Vulcania – Oltre la Tempesta
Ovviamente Vulcania – Oltre la Tempesta mette a disposizione del gruppo di gioco una serie di strumenti adatti a sfruttare la nuova parte del setting disponibile. Lo fa soprattutto attraverso nuove opzioni per i personaggi. Le più evidenti sono sicuramente le nuove Origini dei personaggi e le nuove Arti.
Le nuove Origini permettono di giocare personaggi nativi di Latvia. Sono sei, come quelle del Vecchio Mondo:
I Devas sono energumeni che non rispettano alcuna autorità che non venga imposta con la forza fisica. Il loro colorito bruno assume sfumature bluastre con l’avanzare degli anni a causa delle tinture di cui si ricoprono.
I To’al sono i loro vicini cugini dall’indole più pacifica e dalla tradizione arboricola.
Gli Shanos, bruni di carnagione ma dai capelli dorati, sono bellicosi nomadi che rifiutano gli agi della civilizzazione.
I Velven sono i nativi di Latvia che più assomigliano agli abitanti del Vecchio Mondo; rappresentano l’etnia che controlla il territorio più esteso.
I pallidi e nerboruti Aurox sono usciti dai loro nascondigli sotterranei solo di recente, dopo secoli di autoisolamento; spesso sono selvatici al punto che il manuale stesso li definisce una scelta estrema da giocare.
Gli Zaltac sono i bruni abitanti della regione più settentrionale del continente. Noti per il loro ingegno, sono completamente dediti alla causa delle libertà del proprio popolo.
Altri Strumenti per i Giocatori
Le nuove Origini non sono le uniche novità. Sicuramente quello che ingolosirà di più i giocatori sono le nuove Arti Eroiche. Vulcania – Oltre la Tempesta permette infatti di andare oltre il rango di Veterano; lo fa presentando nuove arti di combattimento o professionali e ridisegnandone alcune del manuale base. Questo permetterà ai vostri avventurieri di cimentarsi con le minacce del Nuovo Mondo.
Non manca ovviamente del nuovo equipaggiamento, comprese le regole che riguardano le navi volanti. Se in Vulcania erano iconiche, il loro ruolo centrale nell’esplorazione e nella colonizzazione di Latvia le rendono imprescindibili. Da questo punto di vista il manuale fornisce una discreta scelta con qualche opzione di personalizzazione.
Chiude il tutto un piccolo bestiario, rapido e pratico da consultare, comprendente sia creature mostruose che possibili avversari umani. Esso rientra in una sezione dedicata specificamente al master, ricco di consigli ma soprattutto con una serie di elementi pronti da assemblare per la costruzione di scenari di gioco.
Un Grande Passo…
Vulcania – Oltre la Tempesta non si limita a descrivere una lore, ma prova a renderla viva. Ogni regione descritta ha non solo i classici paragrafi su storia e cultura, ma anche degli spunti di avventura; mai inutilmente verbosi, sono informazioni ordinate e soprattutto sempre utili al gioco. Sono frequenti dei piccoli intermezzi narrativi, spesso alternati a paragrafi dedicati a PNG di spicco dell’ambientazione. Il tutto con il taglio estremamente pop e ricco di reference tipico del gioco.
La volontà di dare un taglio più narrativo a Vulcania si intuisce anche dalla parte regolistica. Viene infatti proposto un metodo di creazione del personaggio più rapido, affiancato dalla possibilità di aggiungere dettagli caratterizzanti; il manuale introduce infatti cosa chiama l’eroe all’avventura e cosa lo turba, provando ad aggiungere anche degli strumenti meccanici per sfruttare quelli che sono elementi per lo più descrittivi.
… a Volte Più Lungo della Gamba
Non possiamo però parlare di una vera e propria svolta narrativa. Sicuramente si tratta di strumenti molto utili per l’intero tavolo da gioco; non bisogna però aspettarsi che permettano di trasformare Vulcania in un gioco incentrato sull’introspezione; l’impatto che hanno sulle meccaniche è molto contenuto. Parliamo di un gioco che non è stato pensato per accogliere meccaniche del genere. Lo sforzo è sicuramente da apprezzare, e certamente è un’aggiunta positiva al gioco; il risultato all’atto pratico sarà peròcomunque limitato. Ed è anche giusto così, per un gioco che si presenta come pulp-steampunk.
D’altro canto secondo me anche i continui ammiccamenti pop presenti nel manuale, a lungo andare, finiscono per risultare un po’ oziosi. È innegabile che si tratti di un tratto caratteristico ed espressamente voluto di Vulcania, già presente nel manuale base; a mio avviso però un lavoro di lima li avrebbe resi più efficaci, senza intaccare minimamente lo stile che gli autori vogliono trasmettere. In generale si tratta di un lavoro che avrebbe raggiunto risultati ancora piùelevati con una maggiore attenzione in fase di editing, più che di scrittura; in particolare una maggiore cura per quanto riguarda l’uso della punteggiatura avrebbe giovato ad un prodotto di questo livello editoriale.
Conclusioni della Recensione di Vulcania – Oltre la Tempesta
Intendiamoci, parliamo di possibili migliorie, non di difetti cruciali. I ragazzi di Gear Games hanno fatto un lavoro assolutamente straordinario e impeccabile; all’evidente passione hanno aggiunto un’assoluta professionalità. In questo modo ci hanno regalato un manuale che riesce a portare Vulcania a un livello ulteriore, per temi quanto per strutture.
Se avete amato questo gioco di ruolo,Oltre la Tempesta è un’ottima occasione per approfondirlo ed espanderlo. Per chi non ha ancora avuto modo di leggere Vulcania, si tratta sicuramente di un’ottima opportunità per iniziare a farlo.
Se ti è piaciuta questa recensione di Vulcania – Oltre la Tempesta, continua a seguirci per altre novità sul mondo dei giochi di ruolo!
In questa recensione vogliamo parlarvi di Epigoni, un gioco di ruolo mythpop di Nicola Santagostino. Proprio l’autore e la casa editrice, Nessundove, vogliamo ringraziare per averci inviato una copia del gioco.
Chi volesse acquistare Epigoni, può trovarlo sullo store ufficiale di Nessundove; il PDF è disponibile a 17,50 euro, ma è anche incluso nell’acquisto della versione fisica, a 35 euro. In entrambi i casi troverete in omaggio Notti Mitiche, un’appendice che crea un nuovo scenario di gioco e fornisce svariati spunti. Epigoni è disponibile anche in lingua inglese, al momento solo tramite la pagina di Kickstarter dove il gioco è stato finanziato.
Recensione di Epigoni: il Manuale
First things first, partiamo dal volume. Anche se in formato piccolo, poco più grande di un foglio A5, parliamo comunque di un volume di 306 pagine. La copertura in brossura non è quindi difficile da gestire, e le alette aiutano a consultare il manuale senza rovinarlo. Notti Mitiche ha invece una foliazione più modesta, 68 pagine, ma trattandosi di un allegato è decisamente più che corposo.
Il manuale, benché brossurato, è piuttosto solido; Nessundove sa come lavorare ai suoi prodotti e non ha paura di dimostrarlo. L’impaginazione è a una colonna e, visto il formato, mantiene un’alta leggibilità anche da dispositivi mobili; le parti narrative invece, dato che ogni capitolo è aperto da un breve racconto fortemente evocativo e colmo di lore, sono su due colonne, con sfondo nero che aumenta lo stacco dalla parte più prettamente “manualistica”.
In generale si tratta davvero di un buon lavoro, pratico da leggere e molto pulito. Le illustrazioni sono mediamente di qualità molto alta; tutte riuscite, anche se ovviamente qualcuna è più bella di altre. Ma è doveroso un plauso ad Alessia Sagnotti, illustratrice ma soprattutto art director, per essere riuscita a dare un tema unico e coerente a tutto il volume. Il giallo-oro riesce a risaltare con il bianco e nero delle illustrazioni e in generale delle pagine in maniera unica, sottolineando gli altri elementi e movimentando un volume che altrimenti sarebbe risultato un po’ troppo piatto.
A che Gioco Giochiamo?
Sfida il Fato per scoprire chi sei
Con queste parole si apre il volume di Epigoni; ma non si tratta di una frase fatta, o di una generica premessa. Il Fato è il principale avversario che i personaggi giocanti si troveranno ad affrontare in Epigoni. Non si tratta di un PNG; non si tratta neanche di un avversario senziente in senso stretto. Occorre quindi una piccola premessa sui personaggi stessi.
Nelle parole del suo autore, Epigoni è un gioco mythpop. Questo perché l’intenzione è proprio quella di creare un grande immaginario condiviso, in cui tutto ciò che è “idea”, tutto ciò che è racconto, acquisti una coscienza e una consistenza. Oltre il Velo di Maia antiche divinità, l’idealizzazione dei personaggi storici, le creature del mito e veri e proprio concetti incarnati intessono le proprie trame. Un mondo fitto, in cui i favori sono usati come moneta e gli interessi si intrecciano creando una rete di contatti, alleanze e informazioni in cui si muovono, per l’appunto, gli Epigoni.
Figli di una di queste figure dette Entità, gli Epigoni sono creature del mondo materiale ma sono anche in grado di muoversi in quello del Mito. E proprio qui interviene il Fato. Ogni Epigone sceglie un Archetipo, la figura ideale che vuole diventare; per lui invece il fato sceglie uno Stereotipo, la degenerazione dell’identità dell’Epigone stesso. Una figura piatta e spersonalizzata, completamente presa dal proprio ruolo; e persa in esso. Attenzione però: il Fato non è un elemento della trama di gioco. Rimane sempre esterno alla narrazione, per quanto centrale per il personaggio.
La Lotta Contro il Fato
Il Fato è mosso dal narratore, ed ha effettivamente la funzione di avversario dei personaggi giocanti. Non si tratta, come detto, di una creatura senziente. Gli Epigoni affrontano di frequente le creature del mito, che attingano alla mitologia in senso stretto o alla cultura pop (da cui la definizione di gioco mythpop). Ma a prescindere dalle storie in cui sono coinvolte e dal loro taglio, è il Fato il loro avversario ultimo. È il Fato che vuole strappare loro volontà e personalità per farli diventare Vacui.
Analizzare la lotta contro il Fato richiede una breve disamina del sistema di gioco. Il nocciolo è molto semplice, e fa riferimento al Copperhead System creato da Santagostino con Antonio Rossetti. Le schede dei personaggi non hanno statistiche, ma una serie di elementi descrittivi inerenti tanto alla sua vita mondana quanto alla sua vita oltre il Velo. Quando gli Epigoni affrontano una Sfida, l’ammontare di tutti gli elementi della scheda che possono utilizzare determina il loro Rango, che va confrontato con il Rango della Sfida stessa.
Si tira quindi un numero di dadi a otto facce pari a due più la differenza tra il Rango dell’Epigone e quello della Sfida. Se quest’ultima è positiva, il giocatore può scegliere i due risultati più alti; se è negativa, dovrà scegliere i due più bassi. A seconda del risultato l’azione sarà un fallimento (o un successo ma con implicazioni negative), un successo parziale o un successo completo. Ovviamente il sistema va ad articolarsi su una serie di casistiche più complessa, ma al suo nocciolo può venire riassunto così.
Recensione di Epigoni: Vincere o Perdere
Ebbene sì, in Epigoni si può vincere. O perdere. Ovviamente non nel senso tradizionale del termine, si può però perdere la sfida contro il Fato. È infatti possibile appellarsi ad esso per superare automaticamente una Sfida, quando necessario; in questo caso però ci si avvicina di un passo alla Riscrittura. Un processo articolato in otto fasi che porta l’Epigone ad avvicinarsi sempre più allo Stereotipo che il Fato ha deciso per lui. Al contrario, quando una Sfida è considerata una Tappa, un momento di svolta per il personaggio, si può dichiarare una Sfida al Fato, che se vinta permette di avanzare lungo gli otto passi del Cammino.
Riscrittura e Cammino sono due processi opposti. Completando la prima il personaggio diventa un Vacuo, una marionetta del Fato. Ultimando il secondo invece l’Epigone si libera completamente della profezia che incombe su di lui, tornando un normale essere umano, per quanto capace di vedere oltre il Velo. Quindi come detto, in Epigoni è possibile vincere o perdere; non vincere il gioco in sé, ovviamente, ma la lotta contro il Fato che incombe sul personaggio. E su questa lotta e sul suo risultato si articola tutto il senso del gioco.
Un Delicato Gioco di Equilibri
Epigoni è un gioco avvincente e fortemente interpretativo, che spinge i giocatori a entrare molto a fondo nei loro personaggi. Riecheggia molto di richiami alla cultura pop, ancor più che alla mitologia che pure è un tema più forte. L’influenza delle opere di Neil Gaiman, in particolar modo American Gods, non è ingombrante ma trasuda evidente da ogni pagina; e strappa un sorriso la descrizione dei Favori come moneta delle Entità, un caposaldo di Vampiri: La Masquerade.
Non si tratta però mai di suggestioni passive; sono tutti elementi estremamente vivi all’interno del gioco. Inseriti per essere sfruttati e non soltanto per fare bella figura con le citazioni colte. Gli agganci non mancano mai, cosa non scontata in un gioco così introspettivo. Certo non parliamo della perfezione; Epigoni ha qualche difetto, legato alla natura del progetto. A mio avviso il manuale cede un po’ troppo spesso alla tentazione di un linguaggio eccessivamente ricercato; esso va benissimo nei passaggi narrativi, ma avrebbe beneficiato parecchio di uno stile più asciutto se non addirittura schematico nei passaggi più tecnici. E a lungo andare la semplicità delle meccaniche potrebbe rischiare di tramutarsi in poca profondità, diventando ripetitiva.
Tuttavia Epigoni è, come detto in precedenza in questa recensione, un gioco nato su Kickstarter. E non parliamo di una prevendita passata attraverso un crowdfunding, ma di un Kickstarter vero e proprio. Si tratta di un progetto che l’autore ha pensato, voluto e sviluppato con le proprie forze, con il supporto tecnico di Nessundove. Quindi parliamo di difetti prettamente redazionali, perfettamente normali e in linea con il gioco, che comunque non è pensato per campagne estremamente lunghe: prima o poi tutti gli Epigoni devono confrontarsi con ciò che il Fato vuole imporre loro, sottraendovisi o cedendo.
Recensione di Epigoni: Spunti
Quasi un terzo del manuale di gioco è dedicato a soluzioni per il narratore. Oltre alla canonica serie di consigli e di istruzioni su come preparare il gioco, c’è un setting pronto da giocare, ricco di spunti. Gods of London fornisce un setting, per l’appunto quello di Londra, che permette immediatamente di immedesimarsi nel contesto di gioco. Vengono presentate tutte le fazioni di Entità in gioco nella metropoli; dalla Mab (un gioco di parole tra “Queen Mab”, la regina delle fate, e “Mob”, la mafia in inglese) ai Merrymen, gli allegri compari di Robin Hood. Dalla Big Bad Company, l’idealizzazione della grande corporazione oppressiva, ai Sons of Camelot, i cavalieri della Tavola Rotonda in salsa banda di motociclisti. Dai Santi Sperduti di San Patrizio, di origine Irlandese, alla XMas Inc che ha rivendicato in chiave commerciale tutto ciò che è natalizio.
Ognuno di questi spunti ha una descrizione della fazione coinvolta, dei suoi affari e una proposta d’avventura, articolata in tre atti. Vista anche la natura prettamente narrativa del gioco, non bisogna avere in mente la classica avventura “à la D&D“. Si tratta di tracce molto generiche, dove le schede tecniche delle Sfide e delle Entità affrontate vengono affiancate da passaggi a un livello molto alto. Del resto questa è proprio una caratteristica di Epigoni: il gioco si tiene sempre a un livello molto alto, senza mai affrontare i singoli elementi di ambientazione troppo nel dettaglio, per permettere ad ogni tavolo di settare bene il gioco sulle proprie necessità.
Notti Mitiche: un’Appendice di Epigoni
In omaggio con il manuale di Epigoni è disponibile, sia in formato digitale che fisico, l’appendice Notti Mitiche. Sostanzialmente si tratta dell’equivalente della terza parte del manuale, che si concentra però su uno scenario nostrano. Se nel manuale base si parla infatti di Londra, Notti Mitiche descrive le Entità italiane e soprattutto le fazioni in cui si dividono, in perenne lotta tra loro.
Lo schema è esattamente lo stesso. Al narratore vengono presentati gli Arcani, l’incarnazione dei Tarocchi stessi, e i Letterati del passato (importante sottolineare che in Epigoni le figure storiche non sono effettivamente persone reali, ma l’incarnazione della loro figura nell’immaginario collettivo). I Giovinastri e i Vecchiardi, forze progressiste e conservatrici del Bel Paese. E infine Guitti e Mestieranti, figure tradizionali della cultura italiana. E per ognuna di queste compagini c’è una proposta di avventura suddivisa in tre atti.
Fa eccezione Tra Scilla e Cariddi, un’avventura scritta da Matthew Dawkins. Chiamando in gioco la figura mitologica di Poseidone, Dawkins scrive un’avventura decisamente più articolata, in cui gli Epigoni sono chiamati a seguire una storia che si sviluppa in molti più passaggi e, soprattutto, devono affrontare una serie di scelte.
Recensione di Epigoni: Conclusioni
Come potete notare da questa recensione, Epigoni è sicuramente un gioco di ruolo molto particolare, che sfugge a molti degli schemi più classici.
Si propone con meccaniche estremamente leggere ma cerca una grande profondità narrativa e interpretativa. Nasce come progetto di un autore ma si sviluppa con varie professionalità. Ha sicuramente dei difetti, ma al tempo stesso affronta in modo deciso e coraggioso il tema centrale. Soprattutto propone uno stile di gioco che piacerà agli amanti dell’urban fantasy, ma che non si esaurisce in questo; avrebbe anzi una concorrenza spietata, se lo facesse. Ma spostando il focus sulla lotta contro il Fato, rendendola tuttavia interiore e completamente slegata dalla trama, raggiunge un’intuizione che crea un gioco assolutamente degno d’attenzione.
Se amate le storie contemporanee e la cifra stilistica di Neil Gaiman, e se cercate un gioco che non sia per nulla crunchy, Epigoni è qualcosa che vale sicuramentela pena avere nella vostra libreria.
Se ti è piaciuta questa recensione di Epigoni, continua a seguirci per restare aggiornato sulle novità nel mondo dei giochi di ruolo!
In questa recensione vogliamo parlarvi di Warhammer Age of Sigmar: Soulbound. Ringraziamo Cubicle7 per averci messo a disposizione la versione digitale del Core Rulebook e del suo Starter Set.
Chi volesse acquistarli, può trovarli in vendita sul sito stesso di Cubicle7. Il Core Rulebook è disponibile a 49,99 euro, o a 26,99 euro nella versione digitale. Inoltre questo manuale èstato tradotto in italiano da Need Games, sul cui store ufficiale potete trovare due versioni dello stesso. Lo Starter Set digitale, in inglese, è invece disponibile a 13,99 euro.
Prima di iniziare la recensione, una premessa doverosa. Soulbound porta su di sé una duplice eredità importante. Da un lato, Age of Sigmar è il gioco di miniature targato Games Workshop succeduto al più noto marchio Warhammer Fantasy. Negli anni ha conquistato un suo zoccolo duro di fan, ma il passaggio dal grim fantasy del gioco originale a un passo decisamente più epic fantasy è stato mal digerito da molti. In maniera speculare Soulbound succede a Warhammer Fantasy Roleplay, un gioco di ruolo che nel suo genere, appunto il grim fantasy, è stato apprezzato in svariate edizioni.
Il consiglio è quello di evitare i paragoni. Warhammer Age of Sigmar: Soulbound e Warhammer Fantasy Roleplay sono due giochi profondamente diversi, che propongono esperienze altrettanto diverse. Non sono intercambiabili, ma possono essere utilizzati entrambi per avventure che propongano una differente versione dei Reami. Non a caso attualmente Cubicle7 porta avanti entrambe le linee. E chi segue il mondo dei wargame saprà che i rumor su Oldhammer, la nuova versione del vecchio Warhammer Fantasy, sono sempre più concreti.
Il Manuale
Quattro semplici parole: la qualità è altissima. 352 pagine ricche di contenuto, un regolamento completo e un’ambientazione giocabile. Il volume è completo di tutta la parte meccanica e cerca di dare una panoramica quanto più ampia possibile di un’ambientazione decisamente stratificata, aspetto che approfondiremo in un secondo momento.
L’impaginazione è chiarissima eppure ha una sua forte impronta, ma quello che colpisce di più è la qualità degli artwork. Superbi, con una forte unità stilistica, rendono sfogliare questo manuale un vero piacere. Sensazione che si rafforza ancora di più con la versione fisica. Il volume, dalla pagina leggermente più piccola del formato classico, è solido e imponente. Il formato è lo stesso di Warhammer Fantasy Roleplay e Warhammer 40.000 Wrath & Glory, di cui potete trovare una nostra recensione. Sono manuali soddisfacenti, non c’è miglior modo di definirli.
Recensione dell’Ambientazione di Warhammer Age of Sigmar: Soulbound
Avventure perigliose nei reami mortali. Così recita il sottotitolo del Core Rulebook, ben evidente in copertina. Eviteremo di soffermarci troppo a lungo sul setting, perché è decisamente noto per il wargame da cui nasce; ma qualche cenno è d’obbligo.
I Reami Mortali sono una terra costantemente in guerra. Dalle ceneri del Vecchio Mondo (più familiare ai giocatori di Warhammer Fantasy) il dio-imperatore Sigmar ne fonda uno nuovo, ma non riesce a estrometterne le forze caotiche; nel tentativo di combatterle ruba le anime dei morti per creare dei nuovi guerrieri, gli Stormcast Eternal, che tornino costantemente in battaglia. Ma questo indispettisce il dio dei morti, sino ad allora suo alleato contro il Caos, sconvolgendo ulteriormente gli equilibri dei Reami Mortali.
Per chi avesse qualche conoscenza degli universi di Warhammer, gli Stormcast Eternal sono una delle migliori trovate commerciali della Games Workshop negli ultimi anni. Accolti con un bel po’ di comprensibile diffidenza, sono praticamente la versione fantasy degli Space Marine. E negli anni sono diventati uno dei punti forti di Age of Sigmar.
I Personaggi Giocabili
Come anticipato non scendiamo troppo nel dettaglio, ma è importante sapere che i giocatori si troveranno in un contesto dove la guerra è all’ordine del giorno. “There’s only war”… fuochino. Ci sono quattro fazioni principali; i PG appartengono all’Alleanza dell’Ordine, che si contrappone al Caos trincerandosi dentro immense città-fortezza.
È possibile giocare personaggi di varie specie, oltre l’umano. Ci sono tre dinastie aelfiche: i Lumineth sono i classici elfi alti, gli Idoneth Deepkin sono invece abitanti degli abissi. È possibile anche giocare i classici Aelfir Oscuri, rientrati nell’Alleanza dell’Ordine e non più avversari. I Duardin si dividono in una più classica stirpe nanica e nei Kharadron, dalle fortissime sfumature steampunk. I Sylvaneth sono invece ripresi dai più classici uomini-albero e dalle driadi delle vecchie edizioni, creature arboree ma senzienti.
Recensione di Warhammer Age of Sigmar: Soulbound: i Vincolati
Una peculiarità di Warhammer Age of Sigmar: Soulbound sono i succitati Stormcast Eternal, anime di antichi guerrieri riforgiati per l’appunto nella tempesta, e destinate a reincarnarsi ogni volta che muoiono per riprendere la battaglia al prezzo di un po’ della propria umanità. Per comprendere bene gli Stormcast Eternal è necessario spiegare un’altra peculiarità del gioco: la Fiamma dell’Anima.
Si tratta di una risorsa comune di dadi cui può attingere ogni giocatore per compiere imprese eroiche, introducendo anche limitati aspetti di narrazione condivisa. Ogni personaggio ha a disposizione anche un’altra risorsa individuale, il Coraggio, ma la Fiamma dell’Anima ha un valore narrativo molto più importante, ed è direttamente influenzata dal destino del mondo. La Fiamma dell’Anima rappresenta il sacro vincolo che unisce gli eroi, quello che rende la loro missione così speciale e che li guiderà verso la salvezza dei Reami. O che non riuscirà ad evitare loro il fallimento.
Gli Stormcast Eternal sono personaggi virtualmente immortali, anche se la cosa non viene a buon mercato, e iniziano il gioco con più punti esperienza degli altri, riflettendo la loro natura in qualche modo divina. Ma essendo vincolati a Sigmar, non possono esserlo al resto del gruppo. Questo si traduce nel non poter utilizzare la Fiamma Eterna. Questa meccanica crea spunti e dinamiche di gruppo molto interessanti.
Le Meccaniche di Gioco
La creazione del personaggio non è modellata su una classe, ma affidata a un certo numero di punti da distribuire. Non è un’impresa complessa perché il regolamento è ricco di opzioni, ma al suo nocciolo risulta estremamente semplice. Ci sono solo tre caratteristiche base e un pacchetto di abilità, in cui rientrano anche quelle di combattimento; la somma di queste determina il pool di dadi a sei facce da tirare in una prova, con il successo al 4+ modificato dal master. Importante notare che il master può stabilire sia la difficoltà dell’azione, ovvero il valore da raggiungere per il successo, sia la sua qualità, ovvero il numero di successi necessari.
È inoltre possibile, anzi fondamentale, personalizzare il proprio personaggio con dei talenti. Questi possono essere utilizzati anche per accedere alla magia o per scegliere una benedizione, un singolo miracolo che il personaggio può compiere rivolgendosi alla propria divinità patrona.
Un sistema di creazione come questo può spiazzare giocatori che non abbiano dimestichezza con le dinamiche del gioco, quindi sono comunque presenti degli archetipi tipici per ogni specie, dove il margine di personalizzazione è ridotto ma c’è la garanzia di un PG funzionale.
Recensione dei Contenuti Modulari di Warhammer Age of Sigmar: Soulbound
Il Core Rulebook è completato da tutto il necessario: tabelle delle armi, approfondimenti su religione, magia e principali città, liste di incantesimi; più una serie di consigli per i master alle prime armi e un bestiario sufficiente per affrontare una prima campagna di gioco.
Nel complesso si presenta come un ottimo gioco di ruolo per un epic fantasy di tipo piuttosto tradizionale nello spirito, ma con elementi fortemente mutuati da GdR più moderni. Non è così facile sopravvivere a uno scontro, e la Fiamma dell’Anima è una risorsa non solo meccanica ma anche interpretativa.
Il manuale approfondisce solamente i personaggi legati all’Alleanza dell’Ordine, ma Cubicle7 ha già pubblicato svariato altro materiale che permette di giocare l’Alleanza della Morte (non morti, non morti ovunque) e l’Alleanza della Distruzione, per gli amanti dei classici Orki. Una struttura modulare che permette, man mano che il gioco cresce, di arricchire le opzioni tantp per i giocatori quanto per il master.
Lo Starter Set
Nello Starter Set che ci ha inviato Cubicle7 è possibile trovare l’avventura introduttiva Faltering Light, ambientata nella città di Brightspear; alla quale è dedicato un modulo aggiuntivo di approfondimento a sé stante. La nostra recensione è come di consueto senza spoiler, ma possiamo anticipare che l’avventura è perfetta per prendere familiarità sia con le meccaniche che con l’ambientazione. Muovendo i loro personaggi prima tra le vie di Brightspear e successivamente nei suoi sotterranei, i giocatori avranno modo di impratichirsi con il regolamento. Al tempo stesso la necessità di riattivare un antico realmgate, un portale magico, e di contrastare le forze del Caos permetterà anche una progressiva ma profonda immersione nel cuore dell’ambientazione.
Il modulo di approfondimento consente inoltre di sviluppare altre avventure a Brightspear ed è corredato da svariate mappe tanto della città quanto di alcune sue locazioni chiave per l’avventura. Completano il tutto due documenti di reference (sulle regole e sulla magia), delle pedine utili per monitorare alcuni elementi del gioco e un set di personaggi pregenerati.
Considerazioni Finali della Recensione di Warhammer Age of Sigmar: Soulbound
Nel complesso, Warhammer Age of Sigmar: Soulbound è un ottimo gioco di ruolo. Potrebbe avere qualche limatura, ad esempio le statistiche di combattimento potrebbero cedere un po’ di atmosfera per essere gestite in maniera più pragmatica; questo sarebbe attuabile utilizzando dei pratici modificatori numerici piuttosto che dei gradi qualitativi espressi a parole. Ma non è nulla che non venga agevolmente superato dopo un primo impatto.
Non è un gioco per tutti, ma saràsicuramente apprezzato dagli amanti di un fantasy epico e volutamente sopra le righe. E sicuramente va approcciato senza avere in mente Warhammer Fantasy Roleplay, perché è qualcosa di completamente diverso. Ma per chi apprezzasse questo tipo di gioco, definirlo consigliato è semplicemente riduttivo. Un sistema semplice e pulito, immediato, ma con una sua profondità. Classico ma con molti accorgimenti moderni.
Se ti è piaciuta questa recensione, continua a seguirci per altre recensione sul mondo di Warhammer Age of Sigmar: Soulbound!
Ancora una volta ci troviamo a ringraziare Sign of the Dragon (Marco Bertini e Marco Fossati) per averci messo a disposizione una copia digitale di Undead Monsters per questa recensione. Il volume è un piccolo bestiario per D&D 5e. Il tema, come suggerisce il titolo, sono i non morti. Ancora una volta i due autori si rivelano tra i migliori creatori di contenuti nel loro settore: supplementi compatti e molto focalizzati, ma altamente spendibili in qualsiasi campagna.
Se dovesse essercene bisogno, la loro reputazione è confermata dai ringraziamenti speciali presenti nei credits. Nomi come Venti di Ruolo, Andrea “Rosso” Lucca e Riccardo “Musta” Caverni, senza far torto a chi è escluso per mancanza di spazio, sono di per sé un’ulteriore garanzia.
Undead Monsters è disponibile in formato digitale su DMsguild, come molti altri lavori di Bertini e Fossati. Può essere acquistato a 4,95 dollari. Per chi invece preferisce le piattaforme digitali, il bestiario pronto per Fantasy Grounds è disponibile al prezzo di 7,50 dollari.
Recensione del Volume di Undead Monsters
Undead Monsters offre 28 pagine di contenuti senza compromessi. Non ci sono introduzioni o premesse, né tabelle particolari. Solo ventuno creature non morte per popolare qualsiasi campagna, presentate in ordine alfabetico; più una singola tabella che le elenca in ordine di Grado Sfida.
Come altri lavori di Bertini e Fossati (Acererak’s Guide to Lichdom o Born to Be Kobold, ad esempio), Undead Monsters è stato creato con l’editor online gratuito Homebrewery, garanzia nell’offrire un’accurata replica degli standard di impaginazione per D&D 5e. La formula di DMsguild permette di utilizzare illustrazioni di autori di spicco nel panorama del fantasy e dell’editoria dei giochi di ruolo, mantenendo il costo molto accessibile. Alle volte questo può dare la sensazione di “già visto”, ma sicuramente il talento di nomi quali Dean Spencer o Wayne Reynolds compensano più che generosamente.
Non Morti come se Piovesse
Come anticipato, Undead Monsters è un bestiario tematico, che presenta ventuno nuove creature non morte. La maggior parte di queste, ben diciassette, è spalmata tra i primi dieci livelli di gioco. Ne restano solo tre che superano il Grado Sfida 10: il Giant Undead, lo Zombie Many-Eyed e lo Skeleton Warrior. Con l’aggiunta della versione avanzata del Vrykolakas, una creatura presentata in questo stesso manuale che normalmente ha un Grado Sfida 7.
Nonostante la natura compatta di questo supplemento, la cura con cui è stato realizzato è evidente. Non c’è particolare approfondimento di lore, anche perché le creature sono svincolate da qualsiasi ambientazione; anche se va detto che il Banedead, come suggerisce il nome, è tematicamente legato alla divinità della Tirannia dei Forgotten Realms. Eppure, nonostante questa “mancanza”, il punto forte delle creature presentate è proprio quello di avere una forte caratterizzazione.
Recensione delle Creature di Undead Monsters
Oltre al già citato Banedead, che è per l’appunto una creatura che si immola in un rituale necromantico in nome di Bane, al tiranno è dedicato anche il Baneguard, concepito più che altro come un servitore. Per il resto il manuale presenta varie tipologie di non morti; scheletri (fiammeggianti e non) e zombie, ma anche ghoul, variazioni sul tema vampiro e creature completamente originali.
Tra i più interessanti c’è sicuramente il Coffer Corpse, frutto di un rituale necromantico incompleto alla ricerca di una fine ultima impossibile da raggiungere. La Ghostly Horde ha l’interessantissimo concept di essere una sorta di sciame di fantasmi incorporei completamente dedicati a una causa, solitamente originatisi dai resti di un esercito morto in battaglia.
Lo Screaming Ghoul è una rivisitazione del ghoul tradizionale, così come il Lightning Zombie lo è dello zombie tradizionale. Lo Spectral Mage spicca perché, a differenza degli altri, ha un allineamento solitamente malvagio, ma non vincolante.
Conclusioni
Si rischierebbe di perdere fin troppo tempo discutendo ulteriormente delle creature presentate in Undead Monsters in questa recensione, e se ne rovinerebbe il piacere della lettura. Come anticipato, ognuna di esse ha una caratterizzazione spartana ma solida; e come in tutti i supplementi pubblicati da Sign of the Dragon, flessibile e adattabile a qualsiasi ambientazione. Il materiale è sicuramente congruo al prezzo per il quale viene offerto, con tutti i suoi pro e i suoi contro.
Ma alla fine sono soprattuttto i pro a pesare sulla bilancia, perché si tratta di contenuti estremamente utili. Se avete bisogno di introdurre qualche minaccia che si trova sul confine tra la vita e la morte nella vostra campagna, Undead Monsters è perfetto. Ma è assolutamente utile anche per dare una sferzata su toni più cupi e horror alla narrazione. In generale, come ormai questi due autori ci hanno abituati, si tratta di materiale assolutamente consigliato.
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Oggi vogliamo ringraziare la premiata ditta Bertini e Fossati per averci inviato una copia digitale (e quindi permesso di scrivere questa recensione) di uno dei loro ultimi lavori, When Magic Goes Wrong …. I due autori hanno alle spalle una lunga storia di moduli ed espansioni per D&D5e. So, You Walk Into a Tavern, Born to Be Kobold e Quest Spells & Other Divine Magic sono solo alcuni dei loro lavori di cui ci siamo già occupati. Specializzati in materiale accessorio per la quinta edizione del gioco di ruolo più famoso del mondo, si sono concentrati ora sugli oggetti magici con… difetti di fabbrica.
When Magic Goes Wrong …è acquistabile in formato pdf su DMsguild al prezzo di 2,99 dollari. È disponibile anche la versione già integrata con Fantasy Grounds, per chi predilige il gioco da remoto, al prezzo di 4,50 dollari.
Recensione del Manuale di When Magic Goes Wrong …
Il manuale è di 16 pagine, una foliazione congrua per il suo prezzo. Come tutto quello che si trova in vendita su DMsguild, si tratta di un manuale pubblicato sotto Community Content Agreement, quindi con licenza per una pubblicazione originale che contenga materiale sotto copyright Wizards of the Coast. L’impaginazione è stata curata con Homebrewery, la piattaforma online che garantisce lo standard della quinta edizione.
La copertina e gli artwork interni sono di livello altissimo, sempre grazie alla formula DMsguild, che permette di utilizzare il lavoro di professionisti del settore pur mantenendo accessibili i costi dei manuali. Il risultato non sfigurerebbe in nessun archivio digitale, neanche in quello del Dungeon Master più esigente.
I Quirk
Il manuale è incentrato sui “quirk”, letteralmente le bizzarrie degli oggetti magici. Il presupposto è semplice quanto intrigante: come dice il titolo del volume, durante la creazione di un oggetto magico non tutto fila necessariamente liscio. Ci può essere tutta una serie di inconvenienti che possono alterarne le proprietà magiche, con effetti imprevisti. Questo accade, con le regole addizionali indicate nel manuale, a circa un oggetto magico su dieci.
Il manuale è composto principalmente da tabelle, che servono al Dungeon Master per creare un oggetto magico con quirk in pochi passi. Nel primo capitolo ci sono gli strumenti per determinare la causa di questo errore e il modo per rendersene conto. Alcuni quirk sono infatti evidenti, altri richiedono delle indagini specifiche. Altri possono essere notati solo utilizzando attivamente l’oggetto in questione.
Importante notare che un oggetto con un quirk “compensa” la componente randomica riducendo la propria rarità di uno step. Tutto questo contribuisce a rendere l’effetto in gioco maggiormente equilibrato, senza rinunciare all’imprevedibilità che contraddistingue questo supplemento.
Recensione degli Oggetti di When Magic Goes Wrong …
Come prevedibile, buona parte del manuale è composta dalle tabelle che permettono di assegnare un quirk a un oggetto in maniera casuale. Una precisazione degli stessi autori: non sempre un quirk è calzante all’oggetto selezionato. In quel caso il suggerimento è semplicemente quello di tirare nuovamente una delle 20 possibilità offerte dalla tabella.
Armature, pozioni, anelli, pergamente, armi e scudi. E poi ancora bacchette, bastoni e verghe. Concludendo ovviamente con più generici oggetti meravigliosi: anche il Dungeon Master più esigente ha abbondanza di scelte, nel caso il risultato del dado non lo soddisfi. Va tenuto conto del fatto che i quirk non hanno effetti esclusivamente negativi; certo, trattandosi di imprevisti sono per lo più impedimenti. Ma alcuni possono anche avere effetti che potenziano un oggetto in maniera imprevista.
Rimedi e Complicazioni
L’ultimo capitolo di When Magic Goes Wrong … affronta le conseguenze del possedere un oggetto magico creato con un quirk. Un personaggio può infatti cercare di rimuoverlo, affrontando spese e uno specifico rituale, il cui effetto non è però garantito. In caso di fallimento, infatti, potrebbe distruggere in maniera permanente le proprietà dell’oggetto.
Oppure anche ottenere una specifica complicazione. Anche nel tentativo di far rimuovere un quirk qualcosa può andare storto, e l’ultima tabella del manuale indica degli eventi casuali che possono accadere nel 10% dei casi. L’oggetto può essere rubato, suscitare le attenzioni indesiderate di un incantatore, essere considerato una reliquia da qualche culto o, più classicamente, attirare l’interesse di una creatura extraplanare.
Conclusioni della Recensione di When Magic Goes Wrong …
Quello di Bertini e Fossati è un supplemento piuttosto compatto, estremamente focalizzato. Come molti dei lavori dei due autori italiani non si tratta di un manuale universale, ma introduce un’opzione di gioco estremamente interessante. Qualsiasi campagna, indipendentemente dalla sua durata, sicuramente ne beneficerebbe per varietà.
La qualità del lavoro è molto alta; il suo rapporto prezzo qualità anche, perché per qualsiasi Dungeon Master è sempre interessante avere la possibilità di aggiungere nuove opzioni a un costo così contenuto. Ancora una volta un supplemento altamente consigliato per chiunque voglia introdurre al tavolo una nuova variabile, i cui effetti possono essere estremamente ricchi di spunti.
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Oggi vi proponiamo la recensione di Death in Space, un gioco di ruolo minimale (ispirato al genere OSR, ma modernizzato) che ci permette di vivere un horror profondo e… spaziale.
Innanzitutto vogliamo ringraziare Free League per avercene inviata una copia digitale, assieme a Christian Plogfors e Carl Niblaeus. I due autori di Stockholm Kartell pubblicano infatti sotto Free League Workshop, l’etichetta che la casa editrice svedese riserva ai game designer indipendenti. Se Stockholm Kartell vi suona familiare, è perché stiamo parlando dei creatori di Mörk Borg. Uno dei fenomeni più rivoluzionari nel mondo dei GdR degli ultimi anni. Se non sapete di cosa stiamo parlando, potete consultare la nostra recensione. Piccolo spoiler: dire che ci è piaciuto sarebbe riduttivo.
Se dopo questa recensione vorrete provare Death in Space, o se vi fidate a scatola chiusa di Stockholm Kartell e Free League, potete trovare questo manuale sullo store di Free League al costo di 298 corone (poco più di 24 euro).
Recensione del Manuale di Death in Space
Come tutti i prodotti di Free League, la qualità del manuale di Death in Space è altissima. Un volume solido e compatto, 136 pagine con una fettuccia a fare da segnalibro che contribuisce sempre a sottolineare la cura per il dettaglio cui la casa editrice ci ha abituati. Per quanto riguarda l’estetica, siamo su un livello superiore, né più né meno. Chi ha sfogliato Mörk Borg o i suoi ricchi supplementi, sa quanto la costruzione grafica sia importante per Stockholm Kartell. Importante ma mai completamente fine a sé stessa: ogni pagina ha un’estetica curatissima per essere perfettamente funzionale al gioco.
Sfogliare Death in Space significa immergersi completamente nella sua ambientazione già soltanto a colpo d’occhio, prima di leggere. Uno stile grafico minimal, pagine nere con testo bianco e ogni capitolo con un colore sgargiante a sostituire il grassetto, dosato con estrema cura. Il risultato è facilmente leggibile, con tutti i pregi di uno stile minimale. Ma l’impatto è assoluto, e la sensazione di perdersi nella pagina scura ricorda un po’ quella di chi si affaccia nel Vuoto dello spazio.
Le illustrazioni non sono molte, ma perfettamente funzionali al gioco. Per lo più ricordano blueprint di navicelle e stazioni spaziali. Alcune ritraggono dei PNG, altre creature dello spazio profondo. Il concetto fondamentale è però che quanto presentato in Death in Space va immaginato, ma non colto del tutto. L’efficacia della narrazione è così massimizzata: difficilmente potremmo raffigurare gli orrori del Vuoto cosmico con la stessa efficacia con cui li immagineremmo.
Recensione dell’Ambientazione di Death in Space
Il setting di Death in Space è molto spartano; una scelta deliberata, è evidente. Vengono offerti spunti gioco, più che una vera e propria ambientazione ben articolata. Quello che sta particolarmente a cuore agli autori è definire il mood del gioco. E con esso le atmosfere e le tematiche da approfondire in gioco.
L’ambientazione è ovviamente lo spazio remoto. Nel sistema di Tenebris, che ancora risente degli effetti della ventennale Gem War, un’umanità alla deriva cerca di sopravvivere come meglio può. Contrabbandieri, esploratori, minatori, cultisti. Tutti alla ricerca di qualcosa che permetta di migliorare un po’ il proprio tenore di vita. Mettere le mani su un ingente quantitativo di Gemme, materiale fondamentale per le avanzate tecnologie che permettono all’umanità di dominare la galassia, è sicuramente il modo più semplice.
Gli spostamenti su breve distanza vengono effettuati a bordo di navicelle spaziali. Quelli a lunga distanza avvengono invece grazie a una tecnologia che l’umanità ha trovato nello spazio, che permette dei salti da una struttura all’altra, dislocate a distanze altrimenti insuperabili anche con il sonno criogenico. Gli esseri umani si radunano in comunità più o meno coese; solitamente meno. La sopravvivenza non è solo una questione individuale, ma sociale. Che si tratti di colonie, stazioni artificiali, paesi commerciali o miniere, le comunità umane sono poche e con l’incombente sensazione del Vuoto pronto a divorarle.
Le Basi del Gioco
Il gioco di cui vi parliamo strizza molto l’occhio agli OSR, i giochi Old School Reinassance, e di questi mantiene molti punti fermi. Molte tabelle casuali per portare avanti il gioco, mortalità elevata, regole estremamente sintetiche. Le atmosfere claustrofobiche sicuramente contribuiscono a rafforzare quest’impressione. Death in Space però strizza anche l’occhio a meccaniche più moderne. In particolar modo, le mutazioni provocate dal vuoto cosmico danno un sapore particolare al gioco.
È inoltre possibile gestire completamente il proprio hub. Che si tratti di una stazione spaziale o di un’astronave, le regole permettono di personalizzarlo a proprio piacimento. Ed eventualmente affrontare anche una battaglia spaziale, con precise regole di ingaggio sulle varie distanze. Ovviamente ogni nuova opzione o manovra richiede energia. Questa diventa un elemento cruciale di Death in Space. Per avere un hub in grado di fare la differenza, l’approvvigionamento energetico è fondamentale.
Per il resto parliamo di un gioco dal regolamento estremamente spartano. In piena filosofia OSR, i tiri di dadi sono pochi e la matematica molto elementare. Un dado da 20 viene sommato al punteggio della caratteristica rilevante: Body, Dexterity, Savvy o Technology. Situazioni particolarmente favorevoli (o sfavorevoli) vengono risolte con il vantaggio (o lo svantaggio). Una meccanica sempre più diffusa, che permette di tirare due dadi scegliendo il migliore (o il peggiore).
Cosa Aspettarsi dal Sistema
Come lecito aspettarsi, Death in Space è molto ricco di tabelle per effetti casuali, e delle più disparate. Trappole che si possono trovare negli agglomerati di relitti spaziali, ad esempio. O effetti che può avere il vuoto cosmico sui personaggi. In puro stile OSR, anche la generazione del personaggio può essere completamente affidata al caso. E con risultati sorprendenti.
Come anticipato, le meccaniche sono volutamente scarne. Vengono arricchite dal sistema di gestione dell’hub, dalle regole per il viaggio nello spazio e da quelle per il combattimento tra navicelle. La gestione delle risorse diventa un fattore fondamentale in gioco. Di conseguenza il focus viene incentrato sulla sopravvivenza e sull’esplorazione.
Il mondo di gioco è tratteggiato in maniera molto scarna, questo già l’abbiamo detto. Ma ci sono riferimenti sufficienti per ricostruirne la storia. Molto utili sono i riferimenti alle principali fazioni che si possono incontrare durante i propri viaggi. Filosofie e religioni estreme, spesso dai tratti inquietanti, che contribuiscono a rendere ancora più opprimente una sessione di Death in Space.
Welcome to the Ring
A fare da appendice a Death in Space c’è un’avventura introduttiva, Welcome to the Ring, in cui i personaggi accedono al Ring, un ammasso di hub che è diventato un vero e proprio avamposto umano. Persone di ogni specie frequentano il Ring, aggregandosi in fazioni di ogni specie.
Il gruppo viene introdotto in una situazione già parzialmente evoluta. Le nostre recensioni evitano spoiler, ma possiamo anticiparvi che il settore del Ring in cui si trova è conteso tra due fazioni. Ognuna di esse gestisce risorse utili sia per il settore che per i personaggi. L’avventura non segue uno schema di eventi predefinito. Anzi, più che avventura, sarebbe corretto definirlo uno scenario. I personaggi diventano un nuovo attore in scena. Come tutti gli elementi messi a disposizione del game master evolveranno dipenderà dalle loro scelte.
Conclusione della Recensione di Death in Space
A primo impatto, Death in Space colpisce perché ha stile. Come formato, come grafica, come impaginazione. Si tratta di un volumetto che chiede a gran voce un posto in libreria, un bell’oggetto da collezione; una cosa cui Stockholm Kartell ci ha abituati, del resto. Ma oltre all’idea geniale, c’è dietro uno sviluppo solido. Pur mantenendo un comparto regolistico e un setting minimali, lo stile di Death in Space non si limita all’estetica, ma si riflette nell’esperienza di gioco.
Non adatto a tutti i palati, sicuramente. Assicuratevi prima di avere al tavolo giocatori che non hanno problemi con atmosfere claustrofobiche. O con il senso di avvilimento davanti a qualcosa troppo più grande di loro. Ma se questo tipo di angoscia ruolistica è pane per i vostri denti, non potete lasciarvelo scappare!
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In questa recensione vogliamo parlarvi di Ruins of the Lost Realm, un modulo d’ambientazione per The One Ring. La seconda acclamatissima edizione del gioco di ruolo dedicato a Il Signore degli Anelli approfondisce le lande solitarie dell’Eriador meridionale. In un periodo di rinnovata attenzione per l’opera tolkeniana, ringraziamo Free League per averci messo a disposizione una copia digitale di questo volume.
Potete trovare il manuale in vendita sullo store ufficiale di Free League. Al prezzo di 398 corone, poco più di 36 euro, è disponibile la versione fisica. Assieme a tutta la gamma di prodotti e accessori per The One Ring realizzati da Free League, ovviamente. Se il gioco ti interessa ma ancora non lo conosci, puoi leggerne la nostra recensione prima di proseguire.
Recensione del Volume di Ruins of the Lost Realm
Il manuale è adeguato agli standard altissimi cui Free League ci ha sempre abituati. 127 pagine impaginate con ordine senza rinunciare allo stile: ogni facciata ricorda un tomo antico, abbinandosi perfettamente al tipo di gioco. Le illustrazioni del team di artisti, tra cui spicca Antonio De Luca in copertina, sono una delizia per gli occhi; e soprattutto restituiscono perfettamente al lettore le atmosfere che il testo vuole trasmettere.
Le mappe, di cui il manuale abbonda vista la natura del modulo, sono semplici ma chiarissime. E riescono ad essere un valore aggiunto dal punto di vista estetico, perché sembrano davvero prese dal contesto di gioco. Un lavoro che fin dalla prima occhiata denota quindi non solo la sua cura grafica, ma anche l’attenzione prestata alle atmosfere. Parliamo del resto del perfetto connubio tra gioco di ruolo e Tolkien: l’atmosfera è tutto.
Una Doverosa Premessa
After Arvedui the North-kingdom ended, for the Dúnedain were now few and all the peoples of Eriador diminished
Come anticipato, il manuale espande l’ambientazione all’Eriador meridionale. Ma lo fa con una premessa fondamentale: si tratta di una zona la cui storia non è tra quelle cui Tolkien abbia dedicato maggior attenzione. Troppo spesso ai margini della narrazione, presa da eventi più importanti, la regione ha giusto alcuni riferimenti nell’opera originale.
Per questo motivo Gareth Harnrahan e il suo team di autori hanno deciso di inserire molto materiale originale in questo modulo. Ovviamente si tratta di spunti pensati per offrire un’esperienza di gioco assolutamente compatibile con il feeling della Terra di Mezzo. Oltre che per avere un preciso incastro con la sua lore. Ma è importante sapere che Ruins of the Lost Realm, quando necessario, è costretto ad aggiungere materiale non presente nei libri di Tolkien, neanche in quelli pubblicati postumi.
Recensione dei Contenuti di Ruins of the Lost Realm
Il manuale è diviso in tre capitoli principali.
In Fog over Eriador vengono presentati i luoghi più importanti dell’Eriador; ampie regioni selvagge e città, sale dei nani e rovine. Abbastanza per ogni tipo di avventura.
A Gathering Storm è invece il capitolo dedicato alla presentazione delle possibili minacce che verranno affrontate nel manuale. Ampie e ben diversificate, sono una serie di spunti inesauribile. Da notare che ogni avversario (e ogni fazione) ha una sua storia con relativa cronologia alle spalle. Dato che anche qui c’è stato da inserire materiale originale, gli autori hanno creato alternative potenzialmente in conflitto tra di loro: sta al game master scegliere la versione che riterrà più appropriata per la sua cronaca.
Landmarkstratta, appunto, i “landmark”. Locazioni più ristrette di quelle del primo capitolo, in cui ci si può spostare con relativa facilità. Ognuno di questi landmark, un tratto distintivo di The One Ring, offre il necessario per condurre un’avventura a sé stante. Un pacchetto completo di mappe, spunti, PNG da utilizzare, già collocati sulla mappa della regione.
A chiudere il manuale troviamo una breve appendice con regole opzionali, e una serie di tabelle di errata per il manuale base di The One Ring.
Fog over Eriador
Il primo capitolo di Ruins of the Lost Realm si apre con la descrizione della città di Tharbad. Un avamposto ampiamente sopravvissuto ai suoi giorni di gloria, che lotta quotidianamente per non svanire del tutto. Un luogo antico, risalente alla Prima Era, costantemente sul punto di cedere. Eppure oggi un nuovo Capitano l’ha reclamata, cercando di riportarla quanto più possibile ai fasti antichi. Articolata e ricca di spunti, Tharbad può essere un rifugio quanto un’insidia per gli eroi. E può offrire un gioco che passa dai vicoli bui alla corte con sorprendente disinvoltura.
Le Swanfleet sono invece paludi abitate da uomini selvaggi, scacciati dalle loro terre ancestrali quando i Numenoreani ebbero bisogno di nuove terre per sfuggire alla morsa di Sauron. Si tratta di una terra di contraddizioni, dura e abitata da persone dure, ma al tempo stesso in grado di fornire ospitalità e solidarietà ai più sfortunati.
Lond Daer è un insediamento che, nei secoli, ha conosciuto tante fortune quante sfortune. Dopo essere stata a lungo dimenticata sta tornando a splendere, soprattutto grazie all’impegno di Nimue, la sua nuova regnante. Pochi edifici splendenti e molti altri decisamente più umili, Lond Daer vive al ritmo delle maree; e quando le acque si ritirano, i misteri degli antichi re riemergono.
Recensione delle Altre Location Proposte in Ruins of the Lost Realm
Le Dwarf-halls di Harmlet sono le grandi aule sotterranee che i nani hanno scelto di abitare sotto le Blue Mountain. Esauriti i filoni minerari di ferro, ora nelle loro vene si cerca principalmente l’oro. E i nani, si sa, per il metallo scintillante hanno un particolare debole.
Chiudono il capitolo altre tre location. Le Rovine di Cardolan, un terzo di un antico regno ormai dimenticato, custodiscono antiche memorie e non tutte sono piacevoli da riportare a galla. La foresta di Eryn Vorn è uno degli ultimi avamposti di verde che gli uomini che vennero dal mare non sono riusciti a intaccare, protetta dai misteriosi e pericolosi Tree Men. Infine, le Lone-lands di Minhiriath confinano con le terre abitate di Bree e dello Shire; ma queste terre desolate non sono del tutto disabitate, e i Ranger ne vigilano costantemente i confini per evitare che i pericoli che vi risiedano si espandano altrove.
A Gathering Storm
La prima minaccia presentata in Ruins of the Lost Realm sono i Numenoreani Neri. Coloro che cedettero alle lusinghe del Nemico e ne divennero prima alleati e poi schiavi abitano ancora queste terre, e portano avanti i piani di Sauron con meticolosa efficienza. Comandanti e soldataglia di questa schiatta oscura sono presentati con schede e storie avvincenti, pronti a fare tanto da sfondo a un’avventura quanto da corredo a una campagna più articolata e pianificata.
La Mano Bianca di Saruman è forse la fazione più particolare tra quelle presenti in gioco. Questo perché lo stregone non è ancora l’avversario che gli eroi si troveranno contro alla fine della Terza Era. Certo è sul punto di diventarlo, ma è ancora schierato dalla parte del Bene. In questo momento Saruman può essere tanto un mentore per il gruppo quanto un ostacolo. Ha la sua agenda, e non ha esitazioni nel perseguirla, ma al momento vuole solo comprendere le armi del Nemico per combatterlo, non per accrescere il proprio potere personale.
I Dunlending sono invece i membri di una popolazione barbarica nomade. Violenti schiavisti, negli ultimi anni le loro incursioni si sono fatte sempre più aggressive, spingendosi nuovamente fino alla città di Tharbad. Ivoch the Boneless, il loro attuale Re, si è caratterizzato fin dall’infanzia per la sua tenace spietatezza, e la speranza di riuscire a farlo desistere dai suoi intenti è a dir poco flebile.
Ci sono infine altre minacce presentate in questo capitolo, cui è dedicato meno spazio ma non per questo da sottovalutare. Il serpente d’acqua di Greyflood, ad esempio, o gli spiriti risvegliati dalle loro tombe a nord di Minhiriath. Le miniere di Moria custodiscono ancora i loro segreti, e il declino di queste terre sembra oramai impossibile da arrestare.
Recensione di Ruins of the Lost Realm: i Landmark
Il terzo capitolo del manuale offre ben dodici scenari pronti da giocare. La struttura è simile: ognuno di questi “landmark” viene presentato prima attraverso le voci che girano sul suo conto, e poi attraverso la conoscenza storica che si può avere del posto. Dopo queste due introduzioni di conoscenze prettamente ongame, il manuale presenta il background dello scenario, approfondendone la storia e tutti i retroscena che ne determinano lo sviluppo attuale. Si dedica quindi alle location, che vengono descritte con tratti essenziali ma non poveri, e corredate da abbondanza di mappe.
Infine vengono analizzate le trame in corso nel landmark e i possibili problemi che vi si possono incontrare. Appositi riquadri vanno ad approfondire i png da incontrare o alcuni aspetti particolari della regione. In particolar modo in alcuni landmark è possibile trovare elementi caratterizzanti del setting, quali i celebri Palantir portati nella Terra di Mezzo dai Numenoreani. Antichi spettri inquieti, che non sempre possono essere affrontati; o comunque non sempre farlo è la scelta giusta. Al contrario bestie distorte dai poteri del Nemico sono avversari che possono essere soltanto abbattuti, al di là di qualsiasi forma di redenzione.
Elfi smarriti, nani ingordi, umani ora fieri ora corrotti, anche violenti orchi e persino un’erede di Ungoliant, il mostruoso ragno servitore di Morgoth. I Landmark di Ruins of the Lost Realm rappresentano la scintilla che permette di trasformare gli scenari presentati nella prima sezione del manuale in una vera Avventura, così come la descriveva Tolkien.
Conclusioni della Recensione di Ruins of the Lost Realm
The One Ring è un gioco particolare. Free League è di per sé una garanzia, ma anche nel suo catalogo assume una posizione fuori dagli schemi. Il tipo di avventure proposte è infatti il più classico possibile nel fantasy, gli eroi che combattono contro i segni dell’oscurità che avanza. E lo fanno in avventure molto tradizionali, tra dungeon e mappe. Eppure per meccaniche e stile di approccio al gioco, è al tempo stesso un gioco dal design estremamente moderno.
Nessuna contraddizione, ma solo un risultato altissimo; Ruins of the Lost Realm contribuisce a portarlo a un livello ancora più alto. Gli elementi originali inseriti nella narrazione non rovinano per nulla le atmosfere tolkeniane, anzi le rispettano alla perfezione. Permettono di esplorarne i temi in storie nuove, con ampio spazio per le decisioni degli eroi. Ancora una volta, Free League ci regala un’esperienza di gioco assolutamente consigliatissima per tutti.
Se ti è piaciuta questa recensione di Ruins of the Lost Realm, continua a seguirci per altre novità su The One Ring e sul mondo Free League!
Oggi vi proponiamo la recensione di Warhammer 40,000 – Wrath & Glory, il gioco di ruolo ispirato a uno dei wargame tridimensionali più amati di sempre. Edito in originale da Cubicle7 e portato in Italia da Need Games, si propone di fare da ponte tra due mondi che da sempre vengono in contatto. Da un lato i giochi di ruolo, dall’altro le miniature (della Games Workshop). Cubicle7 è riuscita nell’impresa? Andiamo a scoprirlo. Sicuramente non le si può negare una certa esperienza. Oltre a Wrath & Glory, ha già all’attivo i giochi di ruolo di Warhammer Fantasy Role-Play e quello di Age of Sigmar: Soulbound. Le opportunità certamente non mancano!
Di Cosa Parliamo?
Per chi non lo conoscesse, Warhammer 40,000 (o 40k) è un gioco di miniature ambientato nel 41° millennio. Forte di ispirazioni dovute a capisaldi della space opera quale Dune, pesca a piene mani da varie suggestioni. Parliamo di una sorta di medioevo tecnologico futuristico, ma ci sono richiami a classici sci-fi come Alien. Il tutto con sovrabbondanti tocchi di misticismo gotico, a tutto spiano: le navi spaziali sembrano più cattedrali che vascelli. E soprattutto con i modellini più iconici del gioco, gli space marine: quasi due metri e mezzo di muscoli ficcati in un’armatura di ceramite e plastacciaio, con un cuore da monaco guerriero.
Siete confusi? È normale. Il gioco è frutto di una serie di suggestioni che si incrociano e sovrappongono, poggiate su una lore costruita sconfinata sviluppata negli ultimi 35 anni. Il rischio di creare soltanto un grande caos (no pun intended) era altissimo. Ma se Warhammer 40k regge solidamente da così tanto tempo, sopravvissuto persino alla versione fantasy di cui era inizialmente solo una costola, ci sarà un motivo.
Recensione di Warhammer 40,000 – Wrath & Glory: il Volume
Il volume è davvero pregiato. Quasi quattrocento pagine, un manuale solido e robusto, di quelli che resisteranno ai peggiori attacchi di alieni ed eretici. Forse addirittura ai giocatori più sbadati. Carta spessa, leggibilità altissima. Le illustrazioni sono di un livello superiore, sembrano catturare il lettore e catapultarlo, volente o nolente, nel 41° millennio.
Wrath & Glory, ira e gloria: l’estetica del volume già suggerisce quale sarà la direzione presa dal gioco. Una serie di scontri epici tra personaggi spinti da una fede fervente e inarrestabile. La cura che è stata messa nella realizzazione del volume è altissima, e impeccabile.
Meccaniche: l’Ira…
Il tema portante del gioco si riflette anche e soprattutto nelle meccaniche. Di base queste sono molto semplici. Si tira un pool di dadi pari alla somma di caratteristica e abilità coinvolte, più eventuali bonus. Si ottiene un’icona per ogni 4 o 5, due per ogni 6; se il numero delle icone raggiunge la difficoltà fissata per l’azione, la prova è superata. Ogni abilità ha parecchi esempi di usi e di relativa difficoltà, per aiutare il master a orientarsi.
L’Ira è determinata da un dado del pool, che dovrà essere di colore diverso, e rappresenta lo spunto eroico di ogni pg. Se il dado ira otterrà un 1, l’azione andrà incontro a delle complicazioni, a prescindere che sia un successo o meno. Se otterrà un 6, l’azione garantirà gloria, e nel caso di un attacco sarà un colpo critico. L’Ira è anche una risorsa che il pg genera raggiungendo traguardi personali, che gli permette di superare quelli che normalmente percepisce come i propri limiti.
… e la Gloria!
La Gloria è un pool di dadi comune a tutti i pg, ottenuti con i 6 tirati col dado ira o sacrificando le icone extra. La Gloria è un elemento fondamentale nel gioco, perché permette ai personaggi di concatenare i loro sforzi, raggiungendo risultati altrimenti impensabili. Una meccanica che premia il lavoro di squadra tanto ongame quanto offgame, senza andare a spezzare troppo la narrazione come avviene con sistemi analoghi.
C’è poi la Rovina, il contraltare della Gloria a disposizione del Game Master. Ci sono inoltre svariate opzioni di combattimento, regole per gli impianti meccanici e per gestire il tocco del Caos sui PG. Sicuramente sono opzioni che rendono il gioco molto articolato, e richiedono al game master di prestare molta attenzione durante la sessione. Ma le meccaniche rimangono lineari e semplici. Un consiglio? Qualche segnalibro, o una paginetta di appunti che rimandino alla pagina giusta per gli elementi chiave del gioco, velocizzeranno molto il lavoro da narratore.
Recensione di Warhammer 40,000 – Wrath & Glory: Peculiarità del Gioco
Chi ha giocato alle precedenti incarnazioni ruolistiche di Warhammer 40,000 sa bene che l’ambientazione era divisa in vari giochi che condividevano ambientazioni e meccaniche, ma non erano compatibili tra di loro. In Dark Heresy si poteva giocare l’inquisizione, in Rogue Trader l’equipaggio di una nave, in Death Watch lo space marine e così via.
In Wrath & Glory invece ogni Archetipo che può essere scelto da un personaggio – ben 27, divisi tra Umani, Astartes, Eldar e Orki – rientra in uno di quattro Gradi. Ad ogni Grado si affrontano specifiche minacce; il passaggio dall’uno all’altro richiede di aver accumulato un bel po’ di esperienza, usata anche per un’Ascensione. Una sorta di passo in avanti che permetterà di affrontare anche le minacce pensate per personaggi di Grado più alto.
Inoltre gli amanti del gioco di miniature riconosceranno alcuni elementi caratteristici trasposti nel regolamento. Le cicatrici memorabili, ad esempio, o il fuoco di soppressione. Piccole chicche che fanno sentire gli appassionati più “coccolati”, e caratterizzano maggiormente il gioco.
Il 41° Millennio
L’ambientazione di Warhammer 40,000 ha bisogno di poche presentazioni. In un mondo in cui la tecnologia futuristica ha un sapore fortemente analogico, l’umanità è guidata da ciò che resta del Dio-Imperatore. L’obiettivo dell’Impero dell’Umanità è la galassia, estirpando la presenza della feccia xeno, gli alieni. E lottando contro gli eretici e il Caos, una forza primordiali plasmata dai più bassi istinti delle creature senzienti, generando traditori e demoni.
Un’infarinatura molto vaga di una lore vastissima; eppure il manuale riesce a sintetizzarla in maniera molto efficace. Soprattutto contestualizzandola a un singolo sistema, Gilead, dove i conflitti sono su una scala controllata. Gilead ha le sue fazioni e i suoi PNG descritti con molta cura. E grazie alla Cicatrix Maleficarum, uno squarcio nell’universo che rende impossibili viaggi e comunicazioni, il gioco è ben circoscritto. Ciò non vieta tuttavia al game master di utilizzare il materiale che ha a disposizione per far vivere ai suoi giocatori avventure in tutta la galassia (s)conosciuta.
Recensione di Warhammer 40,000 – Wrath & Glory: Considerazioni Finali
Warhammer 40,000 – Wrath & Glory non è un gioco pensato per andarci per il sottile. Potenti psionici in grado di attirare la disgrazia su intere città, Orki che bramano di scendere in battaglia. Inquisitori che non vedono l’ora di dar fuoco agli eretici, e Space Marine geneticamente perfezionati che seminano morte in torreggianti armature come fossero angeli della guerra. E ancora spade catena, armi potenziate, lame psioniche, innesti biomeccanici.
Questo gioco è pensato per lasciare il segno, e per farlo senza compromessi. I personaggi sono individui fuori dal comune, che compiono imprese straordinarie o portano straordinarie rovine a un mondo costantemente sul ciglio del baratro. Warhammer 40.000 – Wrath & Glory chiede di fare la differenza anche quando si è schiacciati da un opprimente senso di fine imminente. E lo fa con tutto lo stile che da sempre contraddistingue il 41° millennio.
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Oggi abbiamo il piacere di presentarvi la recensione di Era the Consortium, di Ed Jowett. Innanzitutto vogliamo ringraziare Shades of Vengeance per averci messo a disposizione una copia fisica del corebook, nellasua versione softcover. Era the Consortium è un gioco di ruolo fantascientifico, con ambientazione e regolamento originali.
Aspetto particolare di Era the Consortium è che si tratta di un progetto multimediale; oltre al manuale base e ai vari moduli di espansione, infatti, ci sono svariati fumetti. In generale quindi è possibile giocare un’ambientazione a tutto tondo, in continua espansione. Il setting è in effetti il punto forte di Era the Consortium, ampiamente sviluppato e pensato per essere giocabile in ogni suo aspetto.
Recensione del Volume di Era the Consortium
Come anticipato all’inizio di questa recensione, il manuale di Era the Consortium conta 292 pagine; la carta è piuttosto spessa, contribuendo a renderlo particolarmente voluminoso. Nel complesso la rilegatura è anche abbastanza robusta, ma stiamo parlando di un manuale dal formato particolarmente grande con softcover. E la copertina flessibile non solo si adatta male a volumi così ingombranti, ma lo fa ancora peggio quando si tratta di un tomo che richieda frequenti spostamenti e consultazioni. Il manuale è insomma solido, ma per sopravvivere meglio alle mani dei giocatori sarebbe preferibile la versione con la copertina rigida. Avere la scelta tra una versione più economica e una più robusta è comunque un gran pregio di questo manuale.
Le illustrazioni interne sono di buon livello. Jowett, oltre che autore, è anche art director di Era the Consortium; e ha magnificamente armonizzato lo stile dei vari illustratori. Al contrario del comparto artistico, però, l’impaginazione lascia un po’ a desiderare. La scelta di mantenere il testo su una sola colonna, su un volume dal formato così grande, è davvero poco pratica, e rende la lettura più difficoltosa. Tenere il bordo pagina con una diversa cornice per ogni capitolo è sicuramente una scelta pratica, ma avendo utilizzato motivi differenti il risultato finale non è bellissimo, a manuale chiuso.
La scelta di utilizzare dei diagrammi di flusso al posto dei più classici esempi, dopo la spiegazione della parte regolistica, ha sicuramente il suo fascino. Soprattutto per un gioco sci-fi. Il problema è che diventa una soluzione ingombrante, e spesso anche scomoda visto che per consultare molti diagrammi diventa necessario ruotare il manuale. Dei più classici esempi sarebbero stati meno suggestivi, ma sicuramente più pratici. In generale, il manuale avrebbe beneficiato molto di una maggiore cura, pensando un po’ più a chi l’avrebbe utilizzato e meno a renderlo particolare.
L’Ambientazione di Gioco
L’ambientazione è il vero punto di forza di Era the Consortium; del resto occupa le prime 135 pagine del manuale. L’aggancio è forse un po’ pretestuoso, il modo in cui l’umanità ha completamente perso memoria della Terra e del proprio passato risulta davvero un passaggio inutilmente forzato. Da lì tuttavia i contenuti si riprendono, offrendo molti spunti interessanti. Era the Consortium tratta un periodo storico ampio più o meno 500 anni, per lo più descritto attraverso racconti e resoconti che rendono la lettura più interessante: in caso contrario la sua mole l’avrebbe resa noiosa, e non sarebbe stato facile mantenere vivo l’interesse del lettore. E non si tratta banalmente di background. Era the Consortium è stato concepito in maniera da essere giocabile in ogni sua fase storica; un approccio interessante, che permette di rendere unica ogni campagna.
La conseguenza che lo rende ancora più interessante è che Era the Consortium permette di giocare vari tipi di fantascienza. Che sia l’esplorazione di pianeti sconosciuti, il confronto con razze aliene o il conflitto con esse, situazioni più prettamente belliche. C’è anche spazio per il cyberpunk, anche se per lo più quello dai risvolti sociali: nel mondo di Era the Consortium sono le mega corporazioni a farla da padrone. Il transumanesimo trova poco spazio, lasciato quasi interamente a qualche potenziamento bionico. Forse un peccato, ma va detto che ci sono già altri giochi che svolgono questo compito in maniera eccellente. Meglio duqnue evitare qualcosa di ridondante.
I Protagonisti delle Avventure: i Personaggi
La creazione del personaggio è piuttosto semplice. Prima di tutto si sceglie una delle quattro razze principali, compatibilmente con il periodo storico che si vuole giocare. È importante sottolineare che i manuali di espansione aggiungono molte nuove specie, ma il corebook è perfettamente sufficiente per giocare a Era the Consortium; gli altri volumi permettono di acquisire però nuove opzioni e varietà.
Gli umani sono, come intuibile, la razza più semplice cui approcciarsi, e sicuramente la più diffusa. Si tratta dei discendenti degli abitanti della Terra (passato del quale non hanno memoria) che si espandono nello spazio regolati dal consorzio.
Gli Elutians sono una sorta di seppie aliene, creature aggraziate e intelligenti; per interagire con le altre specie non acquatiche si muovono in corpi sintetici, che replicano l’aspetto di un essere umano.
Gli Ximians sono insettoidi che solo vagamente richiamano una figura umanoide. Forti e resistenti, hanno una propensione per gli studi scientifici, e per decenni sono stati ridotti in schiavitù dagli esseri umani in seguito a un conflitto. La loro liberazione è un fenomeno relativamente recente, nall’arco della storia.
Infine, i Vilithii sono una specie di piante senzienti con moderate capacità di mutazione, forse la razza più “aliena” come mentalità.
Recensione del Regolamento di Era the Consortium
Le regole di Era the Consortium sono piuttosto semplici, con una palese ispirazione allo Storyteller System del World of Darkness. Non ci sono classi del personaggio, solo dei background, per il resto la costruzione è libera. I punti vengono utilizzati per “comprare” le caratteristiche, che determinano le relative caratteristiche secondarie, e le abilità. Interessante il sistema di abilità flessibili: è possibile utilizzarle con svariate caratteristiche, finché si trova un utilizzo coerente. Va detto che il pool tra cui scegliere è un po’ troppo ristretto. Diventa difficile caratterizzare bene i personaggi, quando ci si trova davanti ad abilità “ombrello” con fin troppi utilizzi.
La meccanica di fondo prevede di tirare un pool di dadi a dieci facce pari a caratteristica più abilità. La difficoltà dell’azione determina il valore minimo da ottenere sul tiro, il numero di successi ottenuti determina la qualità dell’azione.
Il combattimento, purtroppo, a mio gusto diventa un po’ troppo crunchy. Nulla di impossibile da gestire, ma sicuramente rivela come Era the Consortium sia un gioco di concezione un po’ datata. Per cercare di rendere quest’approccio versatile per il genere fantascientifico che lo caratterizza, finisce per creare molte complicazioni. Non a caso una porzione considerevole del manuale è dedicata all’equipaggiamento e ai veicoli. Non al punto da diventare fan service, ma sicuramente qualche regola più universale e dall’applicazione più snella avrebbe migliorato il lavoro nel complesso.
Conslusioni della Recensione di Era the Consortium
In definitiva, Era the Consortium non è un gioco tanto innovativo da cambiervi la vita, ma non è neanche da scartare. Al di là delle varie sbavature, molti storceranno il naso dal fatto che sembri un grande patchwork di genere. Sia l’ambientazione che il regolamento sono originali; in entrambi i casi però ci sono molte fonti d’ispirazione che vanno un po’ troppo oltre i topos del genere. Un appassionato di fantascienza sicuramente coglierà molti richiami e noterà molti elementi già visti altrove. Allo stesso modo un giocatore esperto si troverà sicuramente a sorridere nel constatare le similitudini meccaniche con altri giochi.
Non si può però negare che nel complesso Era the Consortium funzioni. Proprio questo essere un lavoro di taglia e cuci lo rende molto adattabile, coprendo quella fetta di giochi sci-fi non particolarmente diffusi. Ovvero quelli dall’approccio più generalista, non mirati a creare un’esperienza di gioco particolarmente focalizzata su aspetti particolari. Se siete appassionati di fantascienza e cercate un gioco che vi permetta di svariare tra i vari sottogeneri, Era the Consortium farà sicuramente il suo lavoro; in questo modo vi potrà garantire ore di divertimento al tavolo da gioco.
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Oggi vi proponiamo la recensione di Roma by Night, un modulo d’ambientazione per Vampiri: la Masquerade. Ringraziamo l’autore Vincenzo Bruni per averci inviato una copia digitale di entrambi i volumi. Roma by Night – Liber I: Damnati Super Damnatos è un’opera del 2018. Il suo seguito, Roma by Night Liber II: Damnatio Memoriae è stato invece pubblicato agli inizi del 2022.
I due volumi sono disponibili su Storyteller’s Vault. Il Liber I è disponibile a un costo di 10.35$, mentre il Liber II ne costa 13.47; al momento entrambi i manuali sono solo in versione digitale e solo in lingua italiana. Entrambi sono compatibili con la quarta edizione del gioco, la cosiddetta 20imo Anniversario. Questo vale tanto per l’ambientazione quanto per il sistema di regole utilizzato, portando i giocatori di Vampiri: la Masquerade nella capitale d’Italia agli inizi del terzo millennio.
Recensione dei Volumi di Roma by Night
I due manuali seguono la stessa linea grafica, che ricalca quella dei prodotti per l’edizione del 20imo Anniversario. Storyteller’s Vault appartiene al gruppo di DriveThruRPG, che permette di pubblicare materiale non ufficiale rispettando i diritti delle case editrici. Di fatto i due volumi di Roma by Night sono quindi materiale homebrew, e si presentano come tali. Le illustrazioni sono fotografie elaborate con software di fotoritocco; e nel caso delle copertine funzionano molto bene.
Gli artwork interni sono invece più altalenanti, soprattutto nel primo volume in cui sono rappresentati esclusivamente ritratti. Non si può dire però che non siano in linea con i presupposti dell’opera, e neanche con il suo prezzo. Lo stesso discorso vale per l’impaginazione: rientri sfalsati e righe che seguono criteri di impaginazione differenti a seconda del capitolo, a volte del paragrafo, sono molto frequenti. Ma anche qui, nulla che strida con il target del prodotto.
Un Grave Problema di Scrittura
Quello che invece non è all’altezza di un prodotto commerciale è la qualità della scrittura. La scelta di adottare un lessico verboso e roboante rende la lettura poco fluida, anche perché non è ben padroneggiato; il testo non risulta di registro elevato, ma solo inutilmente complesso. C’è un pessimo uso delle virgole, purtroppo non compensato nel secondo volume da un abuso delle lineette per gli incisi. È evidente che non ci sia stata una fase di editing, del resto va detto che è il lavoro di una sola persona. Ma è molto difficile chiudere gli occhi sulla costante sensazione di leggere un testo che esagera in varie circostanze.
I periodi sono troppo lunghi e articolati, ma non ben composti. Il tentativo di arricchire tutto con un vocabolario colto risulta fuori luogo; specularmente quello di rendere di tanto in tanto il testo incisivo con volgarità le fa sembrare semplicemente fuori posto. Questo vale tanto per le parti descrittive quanto per i più rari paragrafi “in lore”, al punto che non si avverte nessun cambio di registro. In generale evitare un lessico forzatamente ricercato avrebbe migliorato moltissimo la leggibilità, e ridotto i due volumi di più della metà delle pagine.
A rendere la lettura ancor meno scorrevole c’è un eccessivo ricorso agli epiteti, probabilmente un tentativo di rendere più accattivanti i personaggi. Non c’è motivo di ribadire concetti che un pronome o un soggetto sottinteso potrebbero esprimere meglio. In un’opera letteraria potrebbero avere un senso, ma la renderebbero comunque stucchevole. Un manuale, per quanto una buona scrittura sia un valore aggiunto, dovrebbe privilegiare la fruibilità, che qui è stata completamente messa da parte.
Recensione di Roma by Night: Damnati Super Damnatos
Veniamo ai contenuti del primo volume. Si tratta di una raccolta di personaggi, della loro storia, caratterizzazione e scheda. Ben ottanta PNG curati fino al minimo dettaglio, che popolano il dominio di Roma. Un lavoro estremamente capillare e minuzioso. Un lavoro troppo capillare e minuzioso.
Il manuale non dà infatti alcun contesto. Getta direttamente in pasto al lettore questi PNG dichiarando che si tratta dei vampiri che popolano il dominio di Roma. L’autore si è documentato molto sia sulla storia italiana che sul metaplot del World of Darkness. Un lavoro encomiabile. Il problema è che sommerge la descrizione di ogni personaggio con un quantitativo di dettagli storici tale da rendere ulteriormente difficoltosa una scrittura già di per sé farraginosa. I vecchi volumi della serie “by Night” avevano il difetto di gonfiare il testo con dettagli inutili per allungare il brodo. Una tendenza che nelle produzioni più nuove è stata accantonata, ma che Roma by Night sceglie di portare a un livello ulteriore. Un brutto passo indietro.
Non È un Paese per Giovani
Ci sarebbero parecchie cose da far notare sul Liber I di Roma by Night. Dalle inesattezze sui nomi di alcune località all’incomprensibile vezzo di troncare la “o” finale di quella che nella versione italiana è sempre stata la Società di Leopoldo. Ma ci sono alcuni punti che meritano una particolare riflessione.
L’area di Roma, da linee guida di Vampiri: la Masquerade, potrebbe sfamare regolarmente una quarantina di succhiasangue. Anche volendo considerare che il World of Darkness è una versione sovrappopolata del nostro mondo, i conti non tornano, soprattutto contando l’età media dei Fratelli romani. Perché i vampiri che superano il millennio di età sono più di venti, di cui la metà supera i duemila anni. Quelli con meno di un secolo di vita sono quindici. Guardando alle generazioni, le settime si sprecano, mentre non ci sono vampiri di dodicesima o superiore: persino i tre vili del dominio sono uno di decima e due di undicesima generazione.
Bisogna spezzare una lancia a favore del volume: Roma non è un dominio facile da gestire. Si tratta della città più antica che i vampiri abbiano colonizzato (tra quelle ancora esistenti) e sicuramente dovrebbe avere un numero piuttosto alto di anziani. Ma non così eccessivo. Tanto più che alcuni PNG ufficiali vengono ripresi da manuali già esistenti e inseriti più o meno forzatamente a Roma. Aggiungendo la presenza di una quinta generazione Lasombra antitribù, di un intero branco di Gargoyle al cui comando c’è Ferox e che nella biografia del principe ha un ruolo di spicco persino Mithras, usato quasi come deus ex machina. Chi conosce Vampiri sa bene che Mithra è uno dei PNG più eccessivi di sempre. Si tratta di un setting che più che creare spunti e possibilità di ambientazioni, riempie la città di “cose fighe”.
Recensione di Roma by Night: le Fondamenta del Gioco
Superando i problemi di scrittura, Roma by Night – Liber I ha due grossi difetti. Uno è specificamente del prodotto. Come anticipato, i PNG presentati non sono inseriti in un contesto, non hanno una cornice in cui si muovono; sarebbe stato più opportuno sfoltirne i ranghi e presentarli come appendice di un altro volume. Sembra piuttosto chiara la volontà dell’autore di far emergere la storia dal racconto dei singoli. Il problema è che questo è talmente imbottito di nozionismi inutili, quanto meno ai fini di costruire l’ambiente di gioco, da soffocarla.
Un altro problema è più specificamente legato a Vampiri: la Masquerade. C’è una regola non di meccaniche, ma dell’ambientazione: i vampiri del World of Darkness non sono gli artefici dei mali dell’umanità. Per loro stessa natura parassiti,non vanno mai utilizzati in maniera tale che le loro azioni deresponsabilizzino l’umanità. Agevolano la corruzione, la accolgono a braccia aperte, ne approfittano; ma deve sempre essere chiaro che la storia la fanno gli esseri umani, tanto nel bene quanto nel male.
Leggere che furono i Malkavian a provocare il decadimento morale dell’impero romano è decisamente contro i capisaldi dell’ambientazione. Già di suo, il mezzo falso storico della decadenza dei costumi può far storcere il naso, in un manuale che della ricerca minuziosa fa un punto di vanto. Farla ricadere sulle spalle dei vampiri è però in contraddizione con uno dei pochi elementi così espliciti di un gioco altrimenti molto soggetto all’interpretazione.
Recensione di Roma by Night: Damnatio Memoriae
Il secondo volume di Roma by Night offre invece una più ampia panoramica della città di Roma. Ne analizza la storia e i quartieri, le fazioni e le stirpi uniche, le cariche e le tradizioni che non si trovano in altri domini. Si conclude con una panoramica sull’Abattoir, una sorta di Succubus Club “de noantri”. Il manuale presenta in buona sostanza tutti i difetti del precedente, compreso lo stile di scrittura. Ingolfato dalla stessa ricostruzione storica eccessivamente minuziosa e dal vizio di ridurre l’eccessiva mole di informazioni in sterminati elenchi, riesce però a creare degli spunti, senza limitarsi ad raggiungere una massa critica di pagine.
Probabilmente la parte più interessante della coppia di manuali è il capitolo che descrive i quartieri. Sebbene annegato nel solito sfoggio di documentazione, questo capitolo è ricchissimo di spunti. Certo rimane sempre difficile leggere un paragrafo fatto di elenchi e periodi che paiono quasi scritti in flusso di coscienza. Sarebbe stato sicuramente preferibile vederli approfonditi a discapito di una ricostruzione storica molto meno sfruttabile, ma qualunque Narratore potrà trovare qui molto materiale per la sua cronaca.
Vampiri col Lanciafiamme
Anche nel Liber II troviamo la tendenza ad attribuire ai vampiri la causa di eventi storici. Tuttavia qui si tratta proprio di una contraddizione non solo con i principi di Vampiri: la Masquerade, ma anche con la sua ambientazione. La disputa tra Roma e Cartagine è un caposaldo del setting, l’origine della caduta e del rancore del clan Brujah contemporaneo. Ma fu una guerra che i vampiri mutuarono da un conflitto umano, ricalcandovi sopra un proprio contrasto ideologico. In Roma by Night si tratta invece di un conflitto nato dalle manipolazioni dei Fratelli.
Per il resto, anche in questo caso il manuale presenta varie interpretazioni del World of Darkness estremamente personali dell’autore. Già la sua Roma trabocca di vampiri nonostante venga specificato che si tratta di una città in cui la Vera Fede abbonda. Ma troviamo anche vampiri che usano le proprie discipline per sedare risse nei locali che frequentano, o Brujah e Ventrue che si contendono il controllo diretto delle bande di strada. Troviamo persino vampiri che usano il lanciafiamme per minacciarne altri. Tutti elementi non impossibili in senso assoluto, ma sufficientemente inusuali da richiedere quanto meno un approfondimento. Inserire dei fattori fuori dall’ordinario in un’ambientazione preesistente va bene, ma bisogna anche giustificarne l’eccezionalità.
Rimane la sensazione che il manuale sia stato deliberatamente riempito di queste eccezionalità per giocare al rialzo. Anche a costo di replicare, con il Carnevale, i giochi tipici del Sabbat in un dominio camarillico. O di utilizzare un’intera pagina per descrivere un sistema di scambio dei favori che viene esplicitamente dichiarato desueto da secoli, se non in ambienti ristrettissimi e difficilmente raggiungibili dai personaggi giocanti. O ancora di creare delle cariche per il dominio tipiche di Roma, che avrebbero ispirato quelle ufficiali della Camarilla.
Conclusioni della Recensione di Roma by Night
Roma by Night è un prodotto a cui non si può non riconoscere un enorme lavoro di documentazione alle spalle, sia di storia reale che di storia vampirica. Unita a una profonda conoscenza della città di Roma, per la quale si percepisce un amore non certo cieco ai suoi difetti. Purtroppo è un manuale con ingombranti problemi di scrittura e organizzazione.
Sarebbe stato meglio accorpare i due manuali in un singolo volume; spogliandoli del linguaggio artificiosamente colto e di tutta una serie di informazioni che possono anche essere interessanti, ma che hanno una bassissima capacità di generare spunti, avrebbero formato sicuramente un manuale molto più utile e leggibile, oltre che di foliazione minore. Il Liber I sarebbe inoltre stato perfetto come parte conclusiva del Liber II, seguendo un ordine di presentazione degli argomenti molto più logico.
Anche con questi accorgimenti, il manuale ha sicuramente ha un target molto, molto preciso, ovvero quei tavoli che preferiscono giocare Vampiri: la Masquerade in un ambiente che schiacci completamente i personaggi, mettendo in campo pezzi da novanta con estrema facilità e stupendo con un continuo gioco al rialzo. Personalmente trovo sia uno stile di gioco che sacrifica quelli che sono i temi più interessanti del World of Darkness, ma ritengo ancora piùgravi per i suoi difetti di scrittura.
Se vi è piaciuta questa recensione di Roma by Night, continuate a seguirci per scoprire altri aspetti del World of Darkness!
Oggi vogliamo presentarvi il lavoro di RN Estudio, creatori delle miniature della serie Mythexplorers 4, protagonista di questa recensione. Di un livello che definisce “premium”, per chi vuole coltivare l’hobby del modellismo e dei giochi di miniature a un livello avanzato. RN Estudio si occupa di scultura e stampa 3D, modelli in resina, gestione di crowdfunding e, ovviamente, di dipingere le miniature. Il suo motto è fornire un servizio friendly e di alta qualità, con spedizioni gratuite in tutto il mondo.
Abbiamo ricevuto un set di miniature “assortite”; lo studio è specializzato nel fantasy, e ci ha dato modo di valutare soggetti differenti tra di loro. Se questa recensione dovesse incuriosirvi e voleste provare i prodotti di RN Estudio, potete visitare il suo store ufficiale. Troverete varie linee di miniature. Quelle più di spicco sono Mythexplorers, pezzi da 32mm in resina, pensati sia per il gioco di ruolo che per il collezionismo. Post Apocalyptic va a coprire un settore più di nicchia, sempre pezzi in resina. Potrete trovare anche una linea di miniature da 75mm e una di busti. E, ovviamente, rivolgervi a loro per progetti personalizzati.
Recensione dei Set di Mythexplorers 4 di RN Estudio
Abbiamo conosciuto RN Estudio attraverso due dei suoi principali progetti nel passato recente. Il Kickstarter RN Estudio 3 New Fantasy Football Teams, legato a Mythbowl, uno dei principali progetti dello studio; un gioco di football tra razze fantasy, con qualche richiamo al più celebre Bloodbowl. Sono disponibili svariati roster: i barbarici Celthunder o gli sfuggenti Rodents, i sauridi Ceratops o i rettili Amphibians. E poi ancora Reapers, Revenants, Ancestrals e svariate altre squadre, che portano in Mythbowl le più celebri razze dell’immaginario fantasy.
L’altro progetto, sempre finanziato tramite Kickstarter, è Mythexplorers IV: RPG miniatures. Che ha permesso di espandere la linea base di RN Estudio, con miniature pensate esplicitamente per i giochi di ruolo di stampo fantasy. Proprio da questo set abbiamo ricevuto alcune miniature per provarle. Abbiamo chiesto a due nostri amici, Jacopo Deidda e Andrea Rebella, di dipingere alcuni dei modelli. Li ringraziamo per aver fatto qualche test, per dare un’idea di come reagiscano al colore.
Analisi dei Modelli
Le miniature sono piuttosto gradevoli. I soggetti sono abbastanza variegati, e permettono una certa flessibilità. Soprattutto se utilizzati per campagne di gioco di ruolo, sulla plancia. Per giochi da tavolo e wargame sono sicuramente più adatte le altre linee di RN Estudio. In ogni caso sono sufficienti per ricoprire un po’ tutti gli archetipi classici del genere. Gli amanti del modding potranno divertirsi a personalizzarle ulteriormente.
I modelli sono piuttosto solidi, senza giunture troppo fragili che rischino di danneggiarsi nella spedizione. Sono abbastanza ricche di dettagli, ma non sovraccariche; questo consente sicuramente di non dover scegliere palette di colori troppo elaborate. Certo chi ama le miniature più ricche potrebbe soffrirne un po’, ma sono un ottimo compromesso rispetto ad altri prodotti più spogli. Le superfici non lisce hanno una buona texture, e i solchi sono ben scavati, contribuendo a dare una buona profondità al modello.
Conclusioni della Recensione di Mythexplorers 4 di RN Estudio
In un mercato che sta crescendo ma che si sta anche saturando piuttosto rapidamente, RN Estudio ci tiene a produrre miniature di alta qualità. La gamma offerta è ancora piuttosto ristretta, per quanto venga compensata dalla possibilità di ordinare modelli personalizzati a costi contenuti.
Nel complesso le sue miniature sono piuttosto soddisfacenti; per la loro categoria sono di qualità molto alta, e sono in grado di soddisfare le esigenze di un’ampia fascia di giocatori. La gamma di modelli viene periodicamente ampliata, permettendo scelte sempre più variegate. Sono inoltre piuttosto soddisfacenti da dipingere, cosa non sempre scontata. Decisamente miniature con un ottimo rapporto prezzo qualità, che vi aiuteranno ad espandere la vostra collezione!
Se ti è piaciuta questa recensione di Mythexplorers 4: RPG Miniatures, continua a seguirci per altre novità da RN Estudio!
Oggi vogliamo ringraziare Fumble GDR e MS Edizioni per averci inviato una copia di Knights of the Round Academy, di cui abbiamo il piacere di proporvi la nostra recensione. Dopo un notevole consenso in fase di Kickstarter, il nuovo gioco di ruolo di Claudio Serena approda ai nostri tavoli da gioco. Eravamo molto curiosi di provarlo: le aspettative non sono state deluse. Knights of the Round Academy si concentra moltissimo sull’esperienza di gioco, che catapulterà i giocatori nei panni di giovani piloti di mecha.
Il gioco è disponibile sullo store ufficiale di Fumble GDR. 45 euro per la versione cartacea, 20 per il PDF. È inoltre scaricabile Knights of the Round: Shonen; si tratta di uno stretch goal digitale (completamente gratuito) sbloccato col Kickstarter, per spaziare oltre i confini dell’accademia. Chi volesse acquistarlo invece dallo store ufficiale di MS Edizioni, al medesimo prezzo, inserendo il codice NoDiceUnrolled10 potrà avere uno sconto del 10%.
Recensione di Knights of the Round Academy: il Manuale
Partiamo da un presupposto fondamentale: Knights of the Round Academy propone un’esperienza di gioco ispirata ai manga. Quali manga lo vedremo più avanti, ma questo si riflette anche nel volume. 353 pagine in formato tascabile, compatto e solido. Fortunatamente con copertina rigida. Un manuale ricco di illustrazioni, che strizza l’occhio ai JRPG. Le pagine sono infatti presentate in maniera da ricordare quasi una schermata. Lo spazio libero sulla pagina resta tanto; questo rende sicuramente la consultazione più agevole. Magari si poteva condensare un po’ di più il volume, ma nel complesso è piacevole da soppesare.
La direzione artistica è sempre di Claudio Serena, coadiuvato da Claudio Pustorino. A dispetto della sua leggibilità, il manuale è colorato e brillante. Le illustrazioni non hanno pretese altissime, ma è giusto così: rispecchiano il gusto manga che si riflette in ogni aspetto di Knights of the Round Academy. Intendiamoci: sono ben realizzate e curate, ma hanno quello stile nipponico che può farle sembrare un po’ troppo “semplici” rispetto ad altri manuali. Vanno contestualizzate: servono a immergere ancora di più il lettore nel gioco.
Nota di merito la presenza di una sensitive reader, Marta Palvarini. Per chi non lo sapesse, il sensitive reading è una fase di verifica del testo, per assicurarsi che non ci siano contenuti offensivi, fuorvianti o che perpetrino stereotipi e rappresentazioni offensivi. Una best practice che sta prendendo lentamente piede anche in Italia, per quanto in maniera più difficoltosa. Bisogna ammettere che leggere ogni volta “chi narra e chi gioca” al posto di “narratore e giocatore” rende la lettura farraginosa.
Recensione di Knights of the Round Academy: Suggestioni Manga
L’ambientazione di Knights of the Round Academy è volutamente tratteggiata solo per sommi capi. L’autore si è infatti concentrato molto più su quello che vuole che il suo gioco trasmetta. L’esperienza al tavolo è incentrata su quelli che sono i tratti tipici di tre tipologie di manga.
I Real Robot, in cui i mecha sono percepiti come veri e propri mezzi di combattimento. Questo genere di manga affronta molto da vicino il tema bellico, solitamente concentrandosi su quanto la guerra sia una sofferenza per tutte le fazioni coinvolte.
Gli Shonen, ovvero i manga di azione e avventura riservati a un pubblico più giovane. Dove la figura dell’eroe e le scene di combattimento sono importanti quanto i valori di amicizia e fiducia reciproca.
Infine gli School Drama, le classiche storie ad ambientazione scolastica. Dove lo slice of life e la romance sono i temi dominanti, pur se sempre declinati sui temi portanti del gioco.
In generale il gioco è pensato proprio per essere declinato in maniera tale da replicare le atmosfere di manga ed anime. Il modo migliore per affrontare Knights of the Round Academy è interpretare personaggi con reazioni vistose e che si lasciano andare a monologhi irrefrenabili. Atti di eroismo ed imbarazzi adolescenziali, comportamenti infantili che si alternano a riflessioni sulle atrocità della guerra.
L’Ambientazione
Come detto, il manuale non entra molto nel dettaglio del setting. Il mondo di Brit’an è stato colonizzato da tempo immemore dalla razza umana, giunta sul pianeta con enormi astronavi che non possono compiere il viaggio inverso. Il Respiro del Drago, ossia una specifica radiazione creata dalle nanomacchine utilizzate per la terraformazione di Brit’an, costituisce una preziosa risorsa energetica. E dove ci sono risorse ci sono conflitti, principalmente tra Bret’on e Sax’on, i due principali ceppi umani. Le grandi guerre del passato appartengono alla storia, ma i Knight, i mecha da battaglia, non sono stati abbandonati. Non tutti sono infatti soddisfatti di questa condizione di pace.
Non serve essere esperti del ciclo arturiano per notare delle prime assonanze. Knights of the Round Academy è fortemente ispirato a Camelot e ai Cavalieri della Tavola Rotonda, per quanto in una rivisitazione manga. Ed è proprio qui che Claudio Serena pone l’accento. Che si giochi una one-shot o un’intera campagna, questo gioco permette di interpretare dei cadetti militari, dei piloti di Knight addestrati come soldati fin da ragazzini. La rivalità scolastica è importante quanto il duello contro il nemico, in alcuni contesti anche di più. Ma sempre ricordando che i sentimenti e le emozioni prevalgono sempre sul realismo, in storie che richiamano l’epica arturiana.
Recensione di Knights of the Round Academy: i Personaggi
I giocatori hanno un ampio ventaglio di possibilità per personalizzare i propri personaggi.
Innanzitutto si sceglie una tra sette Stirpi, ognuna delle quali offre quattro capacità tra cui scegliere. Gli Avalon sono i primissimi coloni arrivati su Brit’an, modificati dal Respiro del Drago al punto da integrarsi perfettamente col pianeta; il loro aspetto è radicalmente cambiato, facendoli assomigliare a dei classici elfi. Gli esseri umani possono essere Bret’on del regno di Kamel’oth, ricco e fortemente progressista; provenire dall’impero di Sax’onia, vasto ma povero di risorse e tecnologicamente arretrato; oppure venire dalle astronavi orbitanti che ancora ospitano i discendenti dei primi Coloni umani.
I Sangue di Drago sono figli di esseri umani che sono stati troppo a contatto con il Respiro del Drago, restandone contaminati; nascono già mutati, in parte simili agli Avalon ma irruenti e vistosi. Gli Andruid sono invece stati creati in laboratorio, esseri in parte biologici e in parte di sintesi, e sfruttano proprio il Respiro del Drago per vivere; sviluppati per sostituire i Knight in battaglia, sono oggi riconosciuti come creature viventi a tutti gli effetti. Infine, quella dei Sidhe è l’unica Stirpe giocabile nativa di Brit’an; mutevoli e sfuggenti tanto nell’atteggiamento quanto nell’aspetto, hanno una forte connessione con la natura, e in particolar modo con il mondo animale.
I Knight: l’Unione di Core e Frame
Per procedere con la creazione del proprio personaggio ci sono ancora svariati elementi. Tanto per cominciare ogni giocatore deve scegliere un Core. Si tratta dell’elemento che anima l’energia del personaggio e che lo lega al suo Knight. Si può trattare di una forza elementale, ma anche di un tipo di energia, di un fenomeno fisico, di un sentimento. Non c’è una lista predeterminata: qualsiasi principio possa essere il criterio di ispirazione per le capacità e la caratterizzazione di un cadetto è un ottimo Core. L’Anima del personaggio è invece una definizione sintetica del suo io, di ciò che più lo rappresenta; è il tratto meno soggetto a mutamenti tra tutti.
Il Core determina cosa sarà in grado di fare il Knight, assieme al suo Frame. Si tratta della configurazione che assume il mecha, che gli permette di assumere specifici ruoli durante uno scontro o in situazioni non di combattimento. Ricognizione, spionaggio, combattimento in prima linea o a distanza, difesa. Se il Core determina la natura delle capacità di un cadetto, il Frame è il modo in cui le esprime quando si trova a bordo del suo Knight.
I Frutti dell’Addestramento
Ci sono poi 15 Job tra cui scegliere: si tratta delle competenze in cui il personaggio è stato addestrato, e come le Stirpi offrono quattro capacità tra cui scegliere. L’Alchemist è un ricercatore del Respiro del Drago (o delle Particelle Dragon, come le chiamano gli scienziati). L’Augur, d’altro canto, cerca di comprenderlo fondendosi ad esso. Il Cadet è un foglio bianco, che può ancora sviluppare le proprie capacità in qualsiasi direzione. Il Champion fonde scherma e magia per trovare la migliore applicazione possibile del Respiro in battaglia, laddove il Paragon si concentra sul combattimento per esorcizzare ogni male e difendere Brit’an.
L’Hunter è un cacciatore, ma anche un agente di giustizia. Il Jester, con la sua capacità di stemperare le situazioni con l’ironia, ha un ruolo vitale per il morale e l’umore del gruppo. Il Seeker si muove costantemente, alla ricerca di preziosi manufatti dell’epoca antica. Lo Slinger si concentra sul combattimento a distanza, restando nelle retrovie a coprire le spalle ai compagni, laddove invece lo Squire si esercita per fornire loro supporto. Il Summoner è un esperto delle creature che vivono nel flusso del Respiro nel Drago, in grado di evocarle e finanche di richiamare le capacità di un avversario sconfitto.
Il Tactician è un esperto di strategia e tattica, in grado di analizzare una situazione e ribaltarla secondo piani tortuosi e articolati. Il Templar è l’ultimo baluardo del regno, colui che disposto all’estremo sacrificio lo protegge da ogni minaccia. Il Thaumaturge è un esperto del Respiro del Drago, ma diversamente dall’Alchemist usa le proprie conoscenze non per la ricerca, quanto per offrire supporto spirituale ai propri compagni. Infine, il Tinkerer è colui che si occupa di manutenzione, riparazione ed upgrade dei Knight.
Recensione di Knights of the Round Academy: il Sistema di Gioco
Ci sono molti altri dettagli da aggiungere al proprio personaggio, ma vi lasciamo il piacere di scoprirli personalmente. Quello che va sottolineato è che Knights of the Round Academy nasce da un hack di Not the End, altro piccolo capolavoro made in Claudio Pustorino (se non lo conoscete, potete leggere le nostre opinioni sulla sua anteprima). Anche se la meccanica di gioco è diversa, il principio ispiratore è lo stesso. La scheda del personaggio non è infatti composta da valori numerici, ma qualitativi. Al posto dei classici punteggi ci sono i tratti, che descrivono inclinazioni, capacità, addestramento e aspetti caratteriali di un personaggio, anziché quantificarli.
Quando deve superare una prova, il giocatore lancia un numero di d8 pari ai tratti che può chiamare in causa (massimo 6d8). Aggiunge 1d12 se sta pilotando il suo Knight, 1d12 se sfrutta il suo Frame e fino ad altri 4d12 sfruttando i propri Punti Limite (ne parleremo a breve). Questi sono i Dadi Positivi del personaggio. Ogni Minaccia affrontata ha una Difficoltà che va da 0 a 6; ogni punto Difficoltà trasforma i dadi del pool in 1d6, partendo dai d8. Per ogni Tratto che la Minaccia può chiamare in causa a sua volta, questi dadi saranno ulteriormente trasformati in d4. Questi sono i Dadi Negativi.
Per ogni prova, il giocatore seleziona il risultato più alto tra i Dadi Positivi e i Dadi Negativi. Un successo, ovvero un risultato di 6 o superiore, è sufficiente per riuscire; un successo addizionale permette al giocatore di aggiungere un effetto ulteriore alla sua azione. Un fallimento implica che il successo genera anche una conseguenza, una complicazione ad arbitrio del narratore. Due fallimenti significano una situazione di pericolo, senza che l’azione riesca.
Oltre il Limite
Ci sono molti modi, meccanici e narrativi, per influenzare il risultato di un’azione. Il più immediato è però la spesa dei Punti Limite. Ogni cadetto ne ha 8 a disposizione. Permettono di aggiungere d12 al proprio pool, di modificare i risultati di alcuni tiri e di attivare alcune capacità del Job, del Knight o della Stirpe. I Punti Limite sono uno dei concetti più fortemente mutuati ai manga, e rappresentano quanto il personaggio si impegni per raggiungere il suo pieno potenziale. Il suo limite, per l’appunto.
Abusare dei Punti Limite è però pericoloso. Quando l’ottavo viene consumato, infatti, si raggiunge una condizione detta Sovraccarico. In questo stato tutti i successi e tutti i fallimenti sono considerati rispettivamente trionfi e disastri; l’equivalente di successi e fallimenti critici. Una volta superato anche il limite del Sovraccarico, il personaggio è Fuori Scena, incapace di influenzare la storia finché non si sarà ripreso. L’unico modo in cui un personaggio possa morire in Knights of the Round Academy è essere Fuori Scena e trovarsi in una condizione di rischio, senza che nessuno possa salvarlo.
Recensione di Knights of the Round Academy: Narrativo ma Macchinoso
Come anticipato, ci sono svariate meccaniche ulteriori in grado di influenzare le prove. In generale, Knights of the Round Academy ha un sistema profondamente narrativo, come del resto Not the End di cui è diretto discendente. Presenta anche meccaniche di narrazione condivisa, per quanto molto arginate. Eppure le meccaniche di gioco sono piuttosto macchinose. Il calcolo del pool dei dadi richiede svariate operazioni, e quantitativi di dadi tanto soddisfacenti quanto ingombranti. E se avete riletto più di una volta la spiegazione, è perché non si tratta di un sistema particolarmente intuitivo.
Certo va precisato che si tratta di un sistema più facile ad applicarsi che a spiegarsi. E che in generale l’approccio di Knights of the Round Academy non abusa del dado; parliamo al contrario di un gioco che consiglia di tirarne solo quando l’esito della prova possa avere un impatto drammatico sulla scena, in positivo o in negativo. Stranisce comunque un po’ pensare ad un gioco che sia al tempo stesso così fortemente narrativo, e abbia meccaniche così articolate.
Consigli per la Narrazione
Un’ampia porzione del manuale è dedicata al narratore. L’ambientazione, come detto, non è pienamente sviscerata, ma ci sono dei cenni utili su come costruire ogni location utile. Soprattutto il manuale aiuta a visualizzare una campagna come fosse una serie animata. Tempistiche, ritmi di narrazione, persino come impostare alcuni “episodi filler”. Tutto rimanda al mondo degli anime, di cui Claudio Serena si rivela non solo un conoscitore enciclopedico, ma anche un ottimo analista.
Ma la cosa più importante è che ogni singolo elemento non è descritto solo per arricchire, o per fare un esempio. Ogni paragrafo dedicato al narratore è una piccola lezione sul gioco di ruolo. Su come tutti gli elementi che vengono inseriti in una o più sessioni di gioco debbano avere un peso e un obiettivo specifico, teso sempre ad ottenere un effetto drammatico sui personaggi. Claudio entra metaforicamente nel manuale per spiegare cos’è per lui un gioco di ruolo, aprendo la strada ai narratori più inesperti ma fornendo ottimi strumenti anche per i più navigati.
Conclusioni della Recensione di Knights of the Round Academy
A dispetto della sempre crescente diffusione del mercato dei manga e degli anime, in Italia i giochi di ruolo che li usino come aperta ispirazione per un’ambientazione originale sono ancora pochi. Knights of the Round Academy non si limita a fare questo, ma propone un gioco di enorme spessore. Tematiche importanti e personaggi appassionati. Ore da trascorrere al tavolo con un sistema pensato per garantire la massima immedesimazione; e certo ci sarà da abituarsi a fare due conti diversi dalle solite addizioni di bonus, ma il risultato è entusiasmante.
Knights of the Round Academy raccoglie ispirazione da manga molto diversi tra di loro, ai cui due estremi potremmo mettere Gundam e Ranma 1/2. E permette di giocare tutte le sfumature comprese tra questi due estremi, raccomandandosi di mettere sempre le emozioni davanti a tutto il resto. Un esempio di gioco che si mette al servizio di quello che si propone di creare e suscitare. E che lo fa in maniera perfetta. Se tra i vostri miti d’infanzia, eroi d’adolescenza o compagni nell’età adulta ci sono i capisaldi dell’animazione giapponese, Knights of the Round Academy è imperdibile.
Se ti è piaciuta questa recensione di Knights of the Round Academy, continua a seguirci per altre novità sul mondo dei giochi di ruolo!
Oggi vogliamo proporvi la nostra recensione di Strata, manuale di espansione per Spire: la Citta deve Cadere. Innanzitutto ringraziamo Isola Illyon Edizioni per averci messo a disposizione una copia del manuale. Isola Illyon si sta occupando della localizzazione in italiano di Spire: la Città deve Cadere, il gioco di ruolo edito in originale da Rowan, Rook and Deckard Ltd.
Potete trovare una copia del manuale sul suo store ufficiale, assieme a tutto il materiale che è stato tradotto fino ad ora. Strata è disponibile a un costo di 40,00 euro, e include la versione digitale del manuale. Quest’ultima può essere acquistata separatamente alla metà del prezzo. Vi segnaliamo che, se al momento del pagamento inserite il codice NODICEUNROLLED, non pagherete le spese di spedizione!
Se preferite prima documentarvi su Spire: la Città deve Cadere, potete dare un’occhiata alla nostra recensione. Un’anticipazione: ci è piaciuto tanto da votarlo come miglior setting ai nostri NDU Awards del 2020. Complimenti a Grant Howitt e Christopher Taylor, il tandem di autori. Per ulteriori approfondimenti, vi segnaliamo il gruppo Facebook dedicato a Spire. Il team di Isola Illyon è sempre disponibile a offrire spunti e chiarimenti. E di tanto in tanto organizza anche qualche sessione di prova: un’occasione da non perdere!
Recensione di Strata: il Manuale
Strata segue la stessa linea editoriale di Spire: la Citta deve Cadere. Questo significa un manuale molto pulito, quasi sobrio. Un volume robusto e maneggevole di 241 pagine, piacevole da avere in libreria e soprattutto estremamente fitto di contenuti. Non ci sono le classiche illustrazioni a mezza pagina: sono sostituite da box di testo che approfondiscono elementi di ambientazione. Ma questo non vuol dire che il comparto artistico sia trascurato. Spiresi contraddistingue per uno stile artistico unico e riconoscibile. Illustrazioni dai colori netti e forti, privi di sfumature. Tavole campite a pagina intera in uno stile che richiama un po’ i lavori di Mike Mignola, dove l’obiettivo non è il realismo. Quanto le sensazioni suscitate dalla tavola. E viene centrato in pieno.
Le illustrazioni sono una delizia per gli occhi. Anche l’impaginazione è chiarissima, risultando molto comoda da consultare. Unica pecca del volume, una traduzione che avrebbe sicuramente beneficiato di una buona revisione. Periodi sospesi e generi e verbi non concordati sono un po’ troppo frequenti. Fortunatamente non parliamo dei sistematici errori grammaticali della localizzazione di Spire: la Città Deve Cadere. Ma sono comunque troppi. Un manuale così bello avrebbe meritato più cura sotto questo punto di vista. Soprattutto considerando tutto l’impegno di Isola Illyon nel portarci questo magnifico gioco.
Nelle Viscere di Spire
Spire è una città assurda: enorme e decrepita, malvagia e miserabile, gloriosa e profana. All’interno delle sue fatiscenti mura i crudeli Alti Elfi, signori di Spire, governano con il pugno di ferro sugli Elfi Oscuri negando loro ogni libertà.
Non avendo l’incombenza di spiegare le meccaniche e l’ambientazione, Strata può permettersi di entrare nel dettaglio di Spire. Permette così di cogliere aspetti connaturati alla città verticale abitata da Aelfir e Drow, al punto da divenire un manuale quasi indispensabile per sfruttare appieno Spire: la Città deve Cadere. La complessità del setting viene resa al meglio, acquisisce nuova tridimensionalità. Il nucleo fondamentale di Spire sono le scelte controverse che portano i Drow ad atti di terrorismo. E solo con Strata acquisiamo consapevolezza di quale degenerazione questi debbano affrontare.
Le nostre recensioni sono sempre senza spoiler. Vi basti sapere che alcuni Aelfir, una volta guadagnata l’immortalità, si fanno asportare le braccia. Questo per ostentare che non ne hanno bisogno: alle loro necessità provvederà in eterno la servitù. In Strata abbiamo una misura di ciò che i Drow devono sopportare. E solo quando possiamo arrivare a giustificare un atto di terrorismo, di fronte a simili atteggiamenti, possiamo davvero entrare nello spirito del gioco.
Recensione dei Contenuti di Strata
Il manuale si apre con due nuove classi per i personaggi. L’Inchiostraio è un giornalista d’assalto. Le sue abilità sono un misto di skill sociali e magia. Scavezzacollo professionista, si alterna tra i salotti della Spire bene e i suoi vicoli più malfamati. Le sue azioni possono apparire incoscienti, ma porta sempre a termine il suo scopo: incanalare lo zeitgeist della città nei suoi articoli, trasformandoli nella più potente delle magie.
L’Agente Ombra è invece un infiltrato. Una classica spia che ruba le identità, in apparenza. Ma si tratta di molto di più. Le sue capacità vanno infatti ben oltre la mimetizzazione e il camuffamento. Più a fondo si immerge nella sua nuova identità, più vi si immedesima. All’apice del suo percorso, l’Agente Ombra diventa letteralmente altre persone. Un lavoro rischioso, ma estremamente prezioso per il Culto e per chi lotta per i diritti dei Drow.
Il manuale è inoltre disseminato di Avanzamenti Extra. Sette, culti, associazioni, alleanze. La fittissima rete di relazioni su cui si impernia il gioco porta sviluppi che si possono riflettere anche nella scheda del personaggi. I vari capitoli del manuale sono infatti disseminati di questi Avanzamenti. Le scelte prese in gioco dai personaggi consentiranno di acquisire capacità legate alle fazioni con cui scelgono di schierarsi. Ma non commettete l’errore di pensare che questo vi possa solamente avvantaggiare. Per ogni fazione che appoggerete, ce ne sarà almeno un’altra che vi inimicherete.
Un Tuffo nel Drowpunk
Il Drowpunk, nella lore di Spire, è una controcultura Aelfir che porta i giovani rampolli dell’alta società ad adottare uno stile di vita affine a quello dei loro asserviti cugini. Ed è proprio Drowpunk, allora, quello che Strata propone. Il manuale presenta un approfondimento sui quartieri della Spire più ricca e di quella più bassa. E prosegue poi con la presentazione di dieci scenari pronti da giocare.
Ma quello che rende davvero prezioso ogni capitolo è il vissuto quotidiano che lascia trasparire. La cultura Aelfir e quella Drow, assieme a sporadici elementi di origini umane e gnoll, vanno a tratteggiare il variopinto arazzo della città verticale. La lettura di Strata permette di comprendere davvero come si vive a Spire. Certamente avere una descrizione dei luoghi d’interesse, dei PNG chiave e dei giochi di fazione in ogni quartiere è utile; ma comprendere il vissuto di un Drow a Spire è quello che dà a questo manuale un valore aggiunto unico.
Recensione di Strata: i Quartieri
La sezione di ambientazione del manuale si apre con una panoramica sui quartieri di lusso di Spire. Amaranto, antica sede dei governi Drow ora completamente cannibalizzata dagli Aelfir. Il Quartiere d’Avorio, un tempo centro culturale ora diviso tra tre diversi contendenti. E il Quartiere d’Argento, dove è il denaro a decidere le sorti di chi lo possiede, e soprattutto di chi non ne ha.
Nella bassa Spire troviamo invece il quartiere industriale dei Condotti, infestato dalla piaga tossica del nerofumo e del biancofumo. Il quartiere del Giardino, unica fonte di approvvigionamento della città; in cui la vegetazione va continuamente controllata, o finirebbe per inghiottire l’intera Spire. E infine il Trespolo, una precaria baraccopoli in cui si venerano e sfruttano divinità impotenti e dimenticate.
La descrizione dei quartieri approfondisce sia i PNG che li controllano, sia le fazioni che hanno i loro interessi nella zona. Non mancano però approfondimenti sulle casate Aelfir e sull’importanza della loro cultura delle maschere. E nei paragrafi dedicati all’equipaggiamento spiccano le gemme, un’antica tecnologia Drow che viene impiantata nel corpo, portando benefici grandi quasi quanto i rischi ad essa collegati.
Dieci Scenari Pronti da Giocare
La parte più corposa di Strata è quella composta da dieci scenari, che prendono forma nei quartieri precedentemente descritti. Scenari, non avventure. Non vengono infatti raccontate sequenze di eventi. Il manuale tratteggia fazioni, personaggi rilevanti e criticità. Vengono suggeriti degli eventi chiave o di innesco, certo. Ma da un lato, sta al master decidere come utilizzare questi elementi; dall’altro, saranno i giocatori ad avere completa libertà su come muoversi. Scenari perché non c’è nulla di predeterminato, solo un ambiente in cui muoversi.
La Bambolaia è lo scenario più inquietante. Ai personaggi viene chiesto di introdursi alla festa di un’artista Aelfir e liberarne i capolavori. Trattasi di servitori drow sottoposti a interventi di chirurgia estrema. Che ne cristallizza l’espressione per esprimere sempre l’emozione decisa dalla padrona.
In Casa Dolce Casa, l’obiettivo del Culto è quello di eliminare Qiliza, una matriarca Alefir che governa l’intera famiglia con pugno di ferro. Al punto da tenerla sotto ricatto custodendone i cuori. Il trattamento riservato alla servitù Drow può essere facillmente immaginato.
Bisquiet offre uno degli scenari più controversi. I personaggi vengono infatti inviati a verificare la lealtà dei proprietari del locale da cui è mutuato il titolo. Leali al Culto, si sono infiltrati talmente bene nella società Aelfir che questo inizia a dubitare della loro lealtà. Fino a che punto chi ha guadagnato condizioni di vita migliori è ancora disposto a mettersi in gioco?
Recensione di Strata: Una Discesa nella Follia Aelfir
Ne La Caduta della Glasshelm i tratti fantasy-punk di Spire vengono portati all’estremo. I personaggi si ritrovano a combattere contro la Glasshelm, per l’appunto. Un’impresa immobiliare che cerca di portare avanti una vera e propria opera di gentrificazione. Ovviamente con metodi tutt’altro che limpidi.
Più Crudeli del Diavolo offre una variazione al tema della lotta contro gli Aelfir. Cosa c’è infatti di peggio di dover affrontare un avversario ancora più spietato, quando appartiene al tuo stesso sangue?
I Dimenticati è lo scenario più toccante dell’intero manuale. Affronta il tema della disabilità, che unisce i personaggi nella difesa dell’unico rifugio che nel poverissimo Quartiere dei Pellegrini offra ospitalità a chi è in difficoltà. Un tema così universale da superare persino le fortissime differenze razziali di Spire: è l’unico scenario in cui è possibile giocare un umano o un Aelfir.
Ne Il Nido dell’Avèrlai personaggi hanno l’incarico di distruggere l’omonimo quartiere. Questa zona di Spire è deputata al commercio portato al parossismo, fino a diventare una parodia di uno sfrenato darwinismo sociale. Gli Aelfir usano questo mercato per introdurre pubblicamente qualsiasi cosa possa destabilizzare ulteriormente la società dei Drow. E il culto vuole porre fine a questa pratica.
Temi Adulti
Stampa Incendiariaintroduce nel gioco un aspetto gestionale. L’obiettivo del Culto, attraverso i personaggi, è quello di creare un giornale che spalleggi la loro causa. E che nel frattempo danneggi i giornali di propaganda Aelfir. Il normale sistema delle alleanze di Spire viene espanso, andando a creare un’interessante, anche se un po’ macchinosa, meccanica di creazione e gestione del giornale. Vengono così tratteggiate anche le principali testate di Spire.
Sotto Due Dita di Polvereè lo scenario in cui i personaggi hanno maggiormente da perdere. Le manovre Aelfir vanno infatti a intaccare direttamente la comunità in cui vivono. E per quanto questa si trovi a Derelictus, il quartiere più povero di Spire, è pur sempre la loro comunità. Questo scenario è particolarmente imperniato sui rapporti umani dei personaggi.
L’ultimo scenario del manuale è Raccolto di Sangue. La narrazione si sposta nel Giardino, per una volta lontana dall’opprimente ambiente urbano di Spire. Ma anche qui, i personaggi si troveranno a dover affrontare l’oppressione di una fazione e il fondamentalismo dell’altra.
Come si può intuire, questi scenari affrontano tutti temi molto maturi. Mutilazioni, abusi, disabilità, alcolismo, schiavitù; e questo solo per citarne alcuni. Gli autori sono vari, e ognuno ha dato al suo scenario la redazione che più trovava adatta. Ma tutti specificano quali sono i temi che verranno toccati nel corso del gioco. Tutti estremamente interessanti quanto delicati. Una discussione tra giocatori è sempre fondamentale, quando si approccia un gioco come Spire: la Città Deve Cadere.
Conclusioni della Recensione di Strata
Spire: la Città Deve Cadere è uno dei migliori giochi prodotti negli ultimi anni. Chi scrive questa recensione ha sviluppato una predilezione nei suoi confronti. E Strata è un manuale preziosissimo per Spire, al punto da essere quasi indispensabile. L’approfondimento sui temi sviluppati o accennati nel manuale di base è impagabile. E lo è anche l’attenzione ai lettori; in coda al manuale, alcuni backer del Kickstarter sono stati ricompensati con la pubblicazione di un culto da loro ideato.
Come avrete compreso da questa recensione, Strata è materiale forte. Spesso è un pugno nello stomaco; riesce a creare sensazioni genuinamente disturbanti. Se Spire non è un gioco adatto a tutti, Strata restringe ulteriormente il campo. Si potrebbe dire che sia un manuale non adatto a stomaci deboli, ma non è così. L’esperienza di gioco è così intensa ed estrema che non basta turarsi il naso. Bisogna avere il desiderio di ricreare attivamente certi scenari. La vittoria sarà quasi sempre negata, e quasi sempre amara. Ma Strata vi avrà fatto scavare dentro voi stessi a una profondità che neanche pensavate di avere.
Se ti è piaciuta questa recensione di Strata, seguici per altri aggiornamenti su Spire!
Oggi vogliamo proporvi la recensione di Ruins of Symbaroum. Innanzitutto ringraziamo Free League per averci messo a disposizione il bundle completo riservato ai backer del progetto. L’adattamento di Symbaroum (GdR dal sistema originale)per D&D 5eè stato tanto atteso quanto chiacchierato. In molti erano preoccupati per lo spirito di un gioco dai toni profondamente cupi e dalle meccaniche severe come solo gli svedesi sanno svilupparle. Preoccupati che mal si adattasse a Dungeons & Dragons, il cui approccio è sempre stato profondamente eroico.
Per chi fosse convinto da Ruins of Symbaroum, è disponibile sullo store ufficiale di Free League. Il bundle completo costa circa 115 €, ma è anche possibile acquistare i manuali singolarmente.
Mattias Lilja, una delle anime di Symbaroum e di Free League stessa, ci aveva già spiegato il perché di questa conversione. Potete riascoltare l’intervista sul nostro canale YouTube. Si è dedicato a questo progetto personalmente, e questa è di per sé una garanzia.
Ma l’obiettivo di questa recensione non è rispondere a questo dubbio. Ci occuperemo di recensire Ruins of Symbaroum. Tuttavia qualche rimando al gioco originale sarà inevitabile, e sicuramente ci sarà spazio anche per questo quesito.
Recensione dei Contenuti di Ruins of Symbaroum
Il bundle è più che soddisfacente; del resto Free League ci ha sempre abituati a standard altissimi. Abbiamo avuto modo di visionare i tre manuali base: Player’s Guide, Gamemaster’s Guide e Bestiary. È importante ricordare che è sempre necessario il Manuale del Giocatore di D&D 5e, come per tutti i giochi OGL.
Inoltre abbiamo potuto valutare l’utilissimo Gamemaster’s Screen e il GM Screen Booklet con una pratica avventura introduttiva adatta anche per giocatori e master novelli. Infine completa il tutto l’Artbook.
Chiunque abbia avuto modo di visionare un manuale di Symbaroum o di Ruins of Symbaroum, sa cosa significhi un Artbook dedicato. Le illustrazioni sono semplicemente perfette. Il tratto apparentemente grezzo, estremamente ruvido, rende alla perfezione le sensazioni suscitate dall’ambientazione. Martin Grip ha fatto un lavoro straordinario; non ha illustrato un manuale, ha trasposto un intero setting in immagini.
I Manuali
A differenza di altri setting per D&D 5e, Ruins of Symbaroum sceglie di deviare dall’impaginazione “standard” della quinta edizione; mantiene piuttosto quella dei manuali di Symbaroum. Una scelta che evidenzia la volontà di mantenere un forte legame tra le due versioni del gioco. Un modo per sottolineare che il cambio di regolamento è volto ad allargare la platea di potenziali giocatori, non a snaturare l’esperienza di gioco.
Certo questo influenza la leggibilità del manuale. Non la compromette, ma sicuramente rende la lettura un po’ meno agevole. In compenso rende l’identità del manuale molto più forte e riconoscibile. Nel complesso i manuali rispettano comunque gli altissimi standard cui ci ha abituati Free League, e fanno bella figura sugli scaffali o nell’archivio digitale di qualsiasi collezionista.
Recensione dell’Ambientazione di Ruins of Symbaroum
Le nostre recensioni sono rigorosamente senza spoiler. Ma qualche nota sull’ambientazione di Ruins of Symbaroum è doverosa; specialmente considerando che questa riprende il setting di Symbaroum in maniera assolutamente fedele.
Come spiega Mattias, i giochi di Free League sono sempre strutturati attorno a un conflitto di base. Ruins of Symbaroum, come il suo predecessore, è incentrato sul conflitto tra natura e civilizzazione. I personaggi devono districarsi dallo scontro di due civiltà. Da un lato Ambria, una nazione civilizzata che sta occupando i territori a nord delle proprie terre ancestrali, devastate da un conflitto con potenti stregoni; dall’altro le tribù barbariche, abituate a vivere in armonia con la natura.
Unico argine tra l’umanità e le rovine di Simbar, antica capitale imperiale, la foresta del Davokar e gli elfi del Patto di Ferro, che hanno giurato di difenderne i confini per evitare che gli uomini portino ancora la distruzione nel mondo.
Una Nuova Meccanica: la Corruzione
In Ruins of Symbaroum, la sovversione dello stato di natura genera Corruzione. Un morbo che affligge l’ambiente quanto le creature viventi, trasformandole nel corpo quanto nella mente. Man mano che la Corruzione si fa strada, i personaggi che ne sono affetti divengono sempre più mostruosi, fino a perdere completamente il controllo. E questo vale ovviamente anche per i personaggi giocanti.
Ci sono vari modi per acquisire Corruzione, ma il più diffuso è il lancio degli incantesimi. Alterazione dello stato naturale per eccellenza, la magia aumenta la Corruzione temporanea di un personaggio; se quest’ultima oltrepassa una determinata soglia, diventa permanente. E non è mai una cosa positiva.
Recensione di Ruins of Symbaroum: Player’s Guide
Questo è il manuale necessario per la conversione da Symbaroum a Ruins of Symbaroum. Qui viene presentato il setting; la storia recente, un accenno di geografia, le principali fazioni che influenzano il mondo di gioco. In particolar modo, il manuale cerca di trasmettere l’atmosfera di gioco; di far passare quelle che sono le peculiarità che dovrebbero far preferire Ruins of Symbaroum ad altri setting per D&D 5e.
Vengono presentate le nuove razze del personaggio. Gli Umani, che possono essere Ambriani o di origini barbare. I Goblin, gli Ogre e i Troll, tre stadi differenti di un unico processo biologico. Gli Elfi, gli spietati custodi del Davokar. I Changeling, elfi nascosti tra gli esseri umani che ne assumono parzialmente i tratti, e gli Umani Rapiti, che li sostituiscono tra le file del Patto di Ferro. Infine i Nani, misteriose creature immuni alla corruzione e prive di una vera anima, e i Non Morti, un recente fenomeno in grado di tornare dalla tomba con la mente intatta.
Le Nuove Opzioni per i Personaggi
In Ruins of Symbaroum, la razza del personaggio ha due particolarità che la differenziano dagli altri setting per D&D 5e. Innanzitutto ogni razza presenta una serie di background dedicati, chiamati Origini. In secondo luogo i punti ferita e i dadi vita che si acquisiscono ad ogni passaggio di livello sono determinati da questa, e non dalla classe. Un’idea interessante, che però all’atto pratico appiattisce il gioco.
Per una questione di bilanciamento tutte le razze hanno lo stesso dado vita, ad eccezione dei goblin; i troll possono tirare due dadi per determinare le ferite, ma non hanno bonus se scelgono il risultato medio. Peccato, suona come un’occasione persa.
Molto importanti sono le classi del personaggio, diverse da quelle core di D&D 5e. La scelta è ristretta, ma le sottoclassi sono piuttosto abbondanti. I giocatori di Symbaroum riconosceranno le varie professioni distribuite tra Captain, Hunter, Scoundrel e Warrior.
Menzione a parte merita il Mystic. Se in Ruins of Symbaroum la sottoclasse diventa fortemente caratterizzante in generale, il flavour del Mystic ne viene infatti profondamente cambiato. Scegliere tra Sorcerer, Wizard, Theurg e Witch cambia radicalmente l’approccio al personaggio e la matrice culturale del suo modo di approcciarsi alla magia. Artifact Crafter, Symbolist, Staff Mage e Troll Singer sono caratterizzate ancora più nello specifico: è impossibile scegliere una sottoclasse solo per una questione meccanica. Si tratta sempre di una scelta profondamente legata al pg da interpretare.
Recensione di Ruins of Symbaroum: Game Master’s Guide
Se la Player’s Guide è ricca di opzioni del personaggio, la Game Master’s Guide è forse il manuale di Ruins of Symbaroum più ricco di contenuti. Una risorsa utilissima già a partire dai consigli per il master. Fondamentali per chi si approccia per la prima volta al posto dietro lo schermo; ma un’ottima risorsa anche per i giocatori più navigati.
Le linee guida per il master occupano tutta la prima parte del manuale, che prosegue poi andando ad espandere gli elementi di ambientazione già accennati nella Player’s Guide. Entrando però molto più nel profondo. Vengono descritte con molta cura tre locazioni, prestando molta attenzione a tutti i possibili punti di gioco, ai centri di interesse e alle varie fazioni che vi si muovono. Thistle Holdè la cittadina di frontiera, il punto di partenza per ogni spedizione nella foresta del Davokar. Yndaros è la capitale dell’impero Ambriano, nata sulle ceneri di una città dei barbari la cui tribù è stata sterminata. Karvosti è invece la sede dell’unica autorità centrale riconosciuta dalle varie tribù barbariche, dove gli interessi di queste e della chiesa di Prios confliggono.
Trovano spazio anche degli approfondimenti per l’Underworld, il regno sotterraneo dove risiedono i troll, e dove si annidano le creature più profondamente corrotte. Non viene trascurato lo Yonderworld, il luogo da cui si origina la Corruzione e sulla cui natura gli studiosi si interrogano da secoli. C’è anche un accenno allo Spiritworld, un piano di esistenza non pensato per i personaggi giocanti, ma su cui vengono lanciate alcune suggestioni per possibili sviluppi per campagne di alto livello.
Strumenti per il Master
Se quanto scritto fino ad ora è un’ottima fonte di ispirazione, la Dungeon Master’s Guide prosegue con materiale utile alla gestione della campagna. Il capitolo dedicato alle spedizioni nel Davokar, forse il tema centrale di Ruins of Symbaroum, è estremamente prezioso. Permette di gestire qualsiasi aspetto della spedizione, dando riferimenti flessibili ma puntuali per ogni dettaglio, sia a monte che a valle della fase esplorativa.
Una serie di regole opzionali permette di espandere gli aspetti regolamentati di una cronaca; si va dalle regole per gli scontri campali a quelli per la gestione di un possedimento. Passando per trappole, magia cerimoniale e inseguimenti. Sono presenti anche una serie di consigli dedicati a come strutturare un’avventura, una cronaca o un’intera campagna, per una prospettiva d’insieme. Un capitolo da leggere anche per chi non stesse progettando una campagna di Ruins of Symbaroum, adattabile a qualsiasi gioco di ruolo.
Infine, il manuale presenta Blight Night, una brevissima avventura per personaggi a inizio carriera. Una storia estremamente lineare eppure al tempo stesso ricca di spunti, si concentra molto sulla suggestione e sulla difficoltà dello scontro. Ottima per far conoscere Ruins of Symbaroum anche a giocatori principianti, nonostante la complessità dei temi trattati.
Recensione di Ruins of Symbaroum: Bestiary
La prima parola che viene in mente nello sfogliare il Bestiary è semplice fino ad essere disarmante: “bello”. Le illustrazioni e l’impaginazione rapiscono gli occhi, ancora più che negli altri manuali. Molte delle creature hanno una descrizione “in lore”, estratti di uno pseudobiblion incorporato nell’ambientazione.
Il manuale è diviso in tre sezioni. The Hordes of the Eternal Night raccoglie creature uniche o intelligenti, in grado di sviluppare un’intera cultura. Beasts & Monsters, come suggerisce il titolo, raccoglie creature di uso più “banale”, raggruppate in macrocategorie; abomini, creature acquatiche o anfibie, flora, erbivori, predatori, aracnidi, non morti e creature alate. Infine l’ultima sezione, Adversaries, presenta tutti i png che possono essere usati come avversari; anche in questo caso li presenta ordinati per gruppi, in modo da poter scegliere sempre dalla fazione più adatta alla giocata in corso.
Conclusioni della Recensione di Ruins of Symbaroum
Sicuramente, Ruins of Symbaroum è un progetto ambizioso. Portare un gioco dal così gran successo nel mondo di D&D 5e è un’impresa non da poco, e con non pochi rischi. Questo porta una domanda. C’era bisogno di Ruins of Symbaroum?
In senso stretto, no. Symbaroum è un gioco completo, con un sistema asciutto, rapido e letale, perfettamente funzionale alle tematiche di gioco e all’ambientazione. Quindi no, non ce n’era “bisogno”. Ma è anche vero che il gioco non ne è stato snaturato come molti temevano. Ruins of Symbaroum non è letale quanto il suo predecessore, ma non rende la vita facile ai personaggi giocanti. L’esperienza di gioco ne esce fondamentalmente intatta, se si ha il coraggio di chiudere gli occhi e di ignorare l’etichetta “D&D 5e”.
Se invece non si conosce già Symbaroum, non ci si può che innamorare di quest’adattamento. Gli spunti di gioco sono molteplici, permettendo di gestire avventure, cronache e campagne in maniera estremamente versatile. Eppure i temi centrali del gioco non vengono mai a mancare, si respirano in ogni singola pagina dei manuali. Per chi ama un fantasy cupo, l’esplorazione di un mondo apertamente ostile e le ambientazione ricchi di conflitti tutt’altro che banali, Ruins of Symbaroum è semplicemente imperdibile.
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Oggi vi proponiamo la nostra recensione di Creatures: Netherworld, ringraziando Studio Agate per avercene inviato una copia digitale. Si tratta di un ricco bestiario pensato per Fateforge, ambientazione con cui lo studio francese ha riscosso enormi consensi nel 2019. Parliamo di D&D 5e, quindi un prodotto sotto OGL. Fateforge introduce nuove meccaniche e nuovi approcci al gioco. Creatures: Netherworld li riprende in pieno. Per quanto presenti materiale originale utilizzabile anche in altre campagne, è caldamente raccomandato utilizzarlo dopo aver quanto meno esplorato prima il manuale core di Fateforge.
Questo manuale è nato grazie al grande successo ottenuto con una campagna Kickstarter dedicata, ricca di contenuti aggiuntivi.
Recensione del Manuale di Creatures: Netherworld
Il volume è decisamente imponente. 399 pagine, che mantengono un buon compromesso tra un’impaginazione leggibile e il tentativo di ricreare l’atmosfera di un tomo antico. Parliamo di un bestiario, ma il manuale non si concentra esclusivamente sulle statistiche dei mostri. Al contrario è ricco di suggerimenti su come utilizzarli al meglio e su che ruolo assegnare loro nell’arco di una campagna. Ci sono anche svariati approfondimenti di lore. Molte pagine contengono “inserti” provenienti da libri che dovrebbero esistere nell’ambientazione; permettono così di approfondire ciò che i personaggi possono conoscere oltre ciò che possono conoscere i giocatori.
Il comparto artistico è decisamente soddisfacente. Joëlle ‘Iris’ Deschamp e Nelyhann, gli autori, hanno curato anche la direzione artistica assieme a Delphine ‘GinL’. Il risultato è un manuale che parla già per immagini. Lo stile della pur vasta platea di illustratori è estremamente armonico, e riesce a dare un tocco “fiabesco” ad ogni pagina; al tempo stesso Netherworld, il regno sotterraneo di Fateforge, è un luogo che ospita orrori di ogni tipo. E quest’impronta ai limiti dell’horror non viene mai dimenticata.
Un Sistema (Quasi) Modulare
Una particolarità piuttosto interessante di Creatures: Netherworld è quello che gli autori definiscono un sistema modulare. Forse la definizione è un po’ troppo roboante. È però certo che hanno creato un sistema interessante. Il manuale presenta infatti dieci differenti simboli, che è possibile trovare accanto a vari box nel corso della lettura. Ogni simbolo indica specifiche caratteristiche di quel paragrafo. Elementi che possono essere integrati nel gioco o che si può scegliere di ignorare, a seconda dell’esperienza desiderata.
Che si tratti di regole o di elementi di ambientazione, i simboli indicano se utilizzarli renderà il gioco più action o horror. Più impegnativo, incentrato sull’intrigo o sul mistero. Inoltre alcuni indicano elementi più precisi, strettamente legati a Fateforge. Come ad esempio il Risveglio, una prerogativa di quest’ambientazione; una sorta di epifania necessaria per poter utilizzare la magia. O la Corruzione che può divorare un personaggio dall’interno, e la Sublimazione, condizione speculare che approfondiremo più avanti.
Infine, il manuale permette di identificare il “Magic Lock”, ovvero quanto spazio si voglia dare alla magia all’interno della propria campagna. E un ultimo simbolo che indica quello che è il materiale originale creato per Fateforge. Molti mostri sono infatti stati contestualizzati, ma il lavoro di adattamento è stato decisamente vasto.
Recensione delle Opzioni per i Personaggi Contenute in Creatures: Netherworld
La prima parte del manuale è dedicata alla fauna del Netherworld. In particolar modo, il primo capitolo ne introduce le razze giocabili, precisandone le peculiarità per cui si distacchino dalle controparti di D&D 5e classico dove presenti. I Drow sono sicuramente un marchio di fabbrica inconfondibile, per quanto si discostino molto dal classico stereotipo dell’elfo oscuro malvagio. Stesso discorso vale per i Duergar; praticanti di magie proibite e maestri di tecnologie, le due stirpi in cui si dividono sono tra le più avanzate del Netherworld.
I Sidhe delle Profondità sono creature dalle ascendenze fatate; alle volte nate dal suolo stesso, hanno una consapevolezza del mondo maggiore di quella di sé stessi. I Simmaiens, spregiativamente definiti Grimlock, sono invece i primi abitanti del sottosuolo; abituati all’oscurità come nessun altro, sono ciechi ma non per questo da sottovalutare. Gli Svirfneblin, gli Gnomi delle Profondità, sono come Drow e Duergar nativi della superficie. Si sono però adattati al sottosuolo al punto tale da divenire le migliori guide disponibili.
Il secondo capitolo prosegue con delle risorse utili al Dungeon Master. I “tunnel fighters” sono più nell’ottica di un classico bestiario. Troviamo anche squadre di PNG appartenenti alle stirpi presentate nel primo capitolo, da utilizzare come avversari nel sottosuolo.
Minacce dal Sottosuolo
Creatures: Netherworld prosegue con tre capitoli dedicati agli abitanti del sottosuolo. Il primo dei tre si concentra sulle creature che ne sono originarie. Non mancano grandi classici come melme, fungus e sciami. E in generale un buon parco creature adattate da D&D 5e. Ma ci sono anche creature originali create ad hoc per il mondo di Eana, dove si svolgono le avventure di Fateforge. Come ad esempio i Pale Dragons. Creature di enorme potere, ridotte al limite della deformità dal loro “esilio” sotterraneo.
Il manuale prosegue poi con una serie di creature che possono venire evocate o create tramite rituali. La loro presenza nel Netherworld è ormai divenuta la norma. In particolar modo gli elementali dell’Ombra l’hanno eletto a loro residenza. Anche qui troviamo un buon mix di creature originali e riadattate. Queste ultime prevalgono, ma sempre con una scrittura eccellente. Non si ha mai l’impressione di leggere un copia-incolla del Manuale dei Mostri.
La prima parte del manuale si conclude con una panoramica su Blackwater, un piano parzialmente sovrapposto a quello di Fateforge da cui si originano le aberrazioni. Gli Aboleth sono sicuramente i mostri più “celebri” di questo capitolo. Ma in generale vengono presentate molte minacce da non sottovalutare. Le aberrazioni possono avere tre differenti origini. Possono provenire da Blackwater, cercando di espandersi nel Netherworld. Possono essere originarie di Blackwater ma materialmente nate su Eana. Oppure possono essere frutto delle manipolazioni di altre aberrazioni e tenute al loro servizio.
Il Canker
Il Canker è una forza che deforma la vita stessa. È responsabile della corruzione portata su Eana. Più in generale è la principale avversità nel mondo di Fateforge. Il Canker distrugge tutto ciò che è vivo. E dove non ci riesce, lo corrompe. Le forme di vita corrotte dal Canker sono deformi e mostruose. Soprattutto, sono il primo veicolo della corruzione stessa.
Il manuale presenta una prima introduzione al Canker. Non entriamo però troppo nel dettaglio, per mantenere la recensione senza spoiler. Vengono presentate le dinamiche d’ambientazione e le meccaniche per interagirvi. In particolar modo quelle che creano i Ravager; essi sono i servitori del Canker che ne diffondono la distruzione in Eana.
Il modo più tradizionale in cui i ravager si presentano è quello di creature distorte e violente. Bestie o poco più, la loro stessa forma riflette la sofferenza della corruzione. Si tratta di una minaccia che supera non di poco quella dei mostri più tradizionali. Tra mostri, creature uniche e archetipi specifici, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Ovviamente c’è sempre un focus dedicato a come il Canker usi i suoi Ravager come tramite.
La Sublimazione
La sublimazione è un processo simile a quello della corruzione, ma estremamente più raro. Avviene solo in determinate condizioni, e solo su determinate creature. Anche qui, non entriamo troppo nel dettaglio per evitare spoiler; in ogni casola sublimazione è un processo molto più infido e sottile. Le creature che ne sono vittime non diventano infatti mostri deformi. Al contrario, come il termine sublimazione stesso suggerisce, ne escono migliorate; un chiaro esempio sono i centauri, spesso alleati dei popoli del Netherworld.
La sottigliezza della Sublimazione è proprio questa. Chi ne è vittima non è consapevole, ed è convinto di agire per il meglio. Ma la sua stessa esistenza è un sovvertimento dello stato di natura. Inevitabilmente, la sublimazione porta all’avanzata del Canker, anche se con meno fragore.
Conclusioni della Recensione di Creatures: Netherworld
Quello che Studio Agate ha proposto non era un progetto semplice. Un manuale basato principalmente (ma non solo) sulla rivisitazione di contenuti non originali. Il tutto fortemente improntato all’ambientazione di Fateforge, che non è delle più semplici. Si tratta di un’ambientazione che porta temi molto articolati al tavolo da gioco e spesso anche potenzialmente pesanti. Il sistema di simboli aiuta sicuramente a modulare l’esperienza, ma sempre entro i limiti delle sue caratteristiche.
Eppure Creatures: Netherworld è un manuale perfettamente riuscito. I contenuti sono abbondanti e sempre chiari, e soprattutto non perdono mai il focus di Fateforge. Sicuramente si tratta di contenuti che hanno bisogno del manuale core dell’ambientazione; ma per chi ha già amato le atmosfere di Eana, si tratta di un volume irrinunciabile.
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Oggi vogliamo proporvi l’anteprima di Malavita – An Italian Crime Story, l’ultimo ambizioso progetto di Quality Games. Ringraziamo Mauro Longo e Acheron Games, un binomio che con Brancalonia ha già fatto parlare molto di sé, per averci messo a disposizione assieme a Valerio Ferzi una copia digitale di Malavita – Primo Colpo. Si tratta di una prima versione del gioco. Un ricco regolamento introduttivo ma anche qualcosa di più: Malavita – Primo Colpo ha infatti ben 90 pagine di materiale, che illustrano l’ambientazione, le regole del gioco e presentano un’avventura introduttiva.
Chi fosse interessato a Malavita – Primo Colpo può iniziare a seguire la pagina facebook ufficiale del progetto. Al manuale sono allegate una scheda personaggio da compilare, e tre di pg pregenerati. Anzi, per l’esattezza sarebbe corretto dire che parliamo della fedina penale di tre specialisti. In Malavita – An Italian Crime Storyil tipico gergo dei giochi di ruolo viene sostituito da quello tipico degli articoli di cronaca nera e dei polizieschi anni ’70.
A Che Gioco Giochiamo
Il titolo di Malavita – An Italian Crime Story non lascia margine al dubbio. Il gioco si rifà in maniera palese al genere “poliziottesco” del cinema italiano degli anno ’70. Criminalità organizzata, polizia corrotta, banditi senza scrupoli e (dis)onesti antieroi. E ancora la città divisa tra i palazzi del potere e le cosche di cosa nostra. Le strade infiammate dal terrorismo nero e da quello rosso. Malavita – An Italian Crime Story porta sul tavolo da gioco l’Italia degli anni di piombo, sviscerandone i suoi aspetti peggiori.
Il setting è ambientato a Porto Franco, località costiera fittizia dal nome parlante. Causa il ruolo ricoperto durante la seconda grande guerra, la città gode infatti di una speciale franchigia che abbatte i dazi doganali. Il risultato è che la città è divisa tra i sei esponenti della Santa Croce, la criminalità organizzata locale, che ne controllano quasi ogni aspetto spartendosene il territorio. Le grandi organizzazioni mafiose italiane vivono ai margini di questo giro, cercando di conquistare il loro posto al sole ma riuscendo a gestire solo le periferie, affollate e degradate. I padroni si arroccano nei loro palazzi, vivendo di corruzione e festini all’insegna di orge e droghe. Il popolo lavora in fabbrica e scende in piazza cercando di rivendicare i propri diritti. La legge spesso non può fare nulla, e quando può farlo non è detto che le vada di farlo.
Anteprima di Malavita – An Italian Crime Story: il Sistema
Il sistema di gioco utilizzato è quello che Quality Games ha già reso famoso con il grande successo di Lex Arcana, ritoccato per l’occasione. Il gioco utilizza il classico “calibro” di dadi: d4, d6, d8, d10, d12 e d20, con l’aggiunta del d3. Non ci sono classi in cui progredire o nuove abilità da acquisire. Ogni Specialista ha sei Attitudini, che riflettono le sue innate capacità di reazione, e sei Capacità che ha affinato nel tempo per interagire con il mondo. I punteggi di questi attributi corrispondono alla somma del calibro di dadi che si può utilizzare. Ad esempio, un punteggio di 12 permette di tirare 1d12, ma anche 3d4, 1d8 più 1d4, o 2d6. Scegliendo quindi tra una media più stabile, o la possibilità di ottenere un successo esplosivo (o perché no, implosivo).
Per personalizzare la Fedina Penale dello Specialista sono necessari il suo Retroscena, i suoi Contatti e le sue Ambizioni. Dal punto di vista delle meccaniche invece, oltre che con i punti distribuiti tra Attitudini e Capacità un giocatore può selezionare i Tratti Noti. Si tratta di manovre speciali e bonus legati al suo addestramento, alle sue attitudini o al suo vissuto. Completano il tutto i Punti Vita, che definiscono sia la resistenza ai danni dello Specialista che la sua capacità di restare incolume, e i Punti Morale. Questi ultimi permettono di attivare alcuni Tratti Noti e di modificare l’esito di alcune prove.
C’è da sottolineare che Malavita – Primo Colpo presenta quanto necessario per iniziare a giocare e provare l’avventura introduttiva, ma non spiega come creare né come far progredire i personaggi. Anche le regole per permettere al Regista di condurre il gioco e gestire gli scontri sono in una versione compatta, e verranno espanse con il prossimo Malavita – Regole d’Ingaggio.
L’Esperienza di Gioco
Malavita – An Italian Crime Story è un progetto molto ambizioso. I temi che va a toccare non sono caldi, ma scottanti. Non è semplicemente uno dei tanti giochi che permette di interpretare un criminale; negli ultimi anni abbiamo visto molti di questi titoli, con i più svariati approcci. Il contesto è quello che fa la differenza. Gli anni di piombo non vengono mai apertamente definiti come tali, solo citati nel soprannome di Porto Franco: la città di piombo. Tuttavia è possibile respirarli ad ogni pagina del gioco. Più che una ricostruzione, un revival di quanto hanno lasciato nella cultura popolare. Un’immersione nel sapore che quel periodo aveva. Un sapore amaro come quello delle ultime briciole di cocaina strofinate sulle gengive.
Anche la grafica del manuale aiuta. Oltre alla magnifica copertina, che riprende alla perfezione lo stile delle locandine dei film poliziotteschi degli anni ’70, anche la grafica interna richiama quel periodo. Pagine che sembrano uscite dai giornali si alternano ad altre che paiono dossier della polizia. Artwork che richiamano le riviste dell’epoca o i gialli illustrati. Tutto quanto è curato nei minimi dettagli perché una sessione di Malavita – An Italian Crime Story sia un’esperienza altamente immersiva in una delle nostre pagine più buie. Dove la politica e la cronaca nera si fondevano in un unico, torbido vortice.
Aurora Non Deve Morire
L’avventura introduttiva presentata in Malavita – Primo Colpo è particolarmente significativa. Non solo perché intrigante da giocare, ma perché perfetta a presentare tanto i temi del gioco, quanto il modo in cui gli autori hanno pensato che vadano affrontati. Non ci soffermiamo troppo per evitare spoiler, ma qualche parola va spesa.
Aurora Non Deve Morire è pensata per essere giocata con i tre Specialisti pregenerati che accompagnano Malavita – Primo Colpo. L’ambiente è controllato, ci si sposta in pochi quartieri, interagendo con un ventaglio di Comparse, Figuranti e Antagonisti strettamente correlato alle scelte dei giocatori. E ce ne sono molte da prendere. Alcune si escludono mutualmente, altre possono essere portate aventi in contemporanea. Il solco tracciato per i personaggi non è mai fisso; è impossibile lasciarsi trascinare dagli eventi.
Il ruolo del Regista è duplice. Da un lato deve scandire bene i tempi, fondamentale per evitare che gli Specialisti si rilassino troppo e perché sentano sempre la pressione. Dall’altro deve gestire le atmosfere, aiutando la potenza dell’ambientazione a farsi sentire vivida. Cosa non difficile, soprattutto perché l’avventura prevede una serie di passaggi ad alto impatto emotivo. Nonostante tutto, come detto la strada non è rigida. Gli Specialisti possono influenzare gli eventi in più modi di quanti non potrebbero immaginare inizialmente. Anche il finale non è scritto: in caso di riuscita, Aurora Non Deve Morire presenta comunque una serie di alternative tra cui scegliere. A seconda di quello che il Regista riterrà il finale drammatico più interessante da proporre ai giocatori.
Anteprima di Malavita – An Italian Crime Story: Conclusioni
Come anticipato, Malavita – An Italian Crime Story è un gioco molto ambizioso. Lo rende già chiaro la scelta di proporre un regolamento introduttivo decisamente corposo. Per mole, per contenuti e per approccio all’introduzione al gioco, possiamo considerare Malavita – Primo Colpo quasi il primo di una serie di volumi. La domanda è se quest’ambizione sia stata soddisfatta o meno.
Per noi, la risposta è un convintissimo sì. Parliamo di un gioco di ruolo rivolto a un pubblico maturo, che tocca temi sensibili. Molti giocatori potrebbero restarne disturbati, ed è giusto che non si cimentino nei panni di uno Specialista. Ma per chi vuole provare a ricreare quegli anni in cui la polvere da sparo, le paillettes e la cocaina si mischiavano indifferentemente, Malavita – An Italian Crime Story è un’esperienza unica. Da provare con la giusta colonna sonora e con l’intento di capire se il proprio specialista è un angelo vestito da diavolo, o un mostro al di là di ogni redenzione.
Se ti è piaciuta questa recensione di Malavita – An Italian Crime Story, continua a seguirci per altre novità da Quality Games!
Vogliamo iniziare questa recensione di Monogatari – Onore e Destino ringraziando Fumble GDR, che ci ha messo a disposizione una copia del gioco. Si tratta della prima espansione ufficiale di Klothos – I Fili del Destino, di cui abbiamo già avuto occasione di parlarvi. Se volete, potete trovare qui la nostra recensione; vi anticipiamo in ogni caso che ci è decisamente piaciuto. Se doveste essere interessati all’acquisto, potete trovarlo in vendita sullo store ufficiale di Fumble GDR, al momento solo in versione digitale, al costo di 9 euro.
Claudio Serena ci porta nuovamente a scoprire il suo Thread System, ma applicandolo stavolta a un contesto molto preciso. Non solo per ambientazione e “colore”, ma per le tematiche messe in gioco: come anticipa il titolo, l’onore e il destino dei samurai. E più in generale dei personaggi delle ambientazioni nipponiche. Più che di espansione di Klothos – I Fili del Destino, infatti, sarebbe corretto parlare di un vero e proprio hack. Il Thread System viene infatti adattato per dare un peso ulteriore all’aderenza del personaggio ai precetti del Bushido, rendendoli un elemento vivo del gioco, non solo di contorno.
Recensione del Volume di Monogatari – Onore e Destino
Il manuale di Monogatari – Onore e Destino ha lo stesso formato di Klothos – I Fili del Destino. Un manuale compatto, formato poco più grande di un libro tascabile. Complice anche la foliazione inferiore, il volume risulta più solido. Le pagine sono più robuste, anche se perdono un po’ del feeling che restituisce il gioco originale. Anche il volume in sé sembra essere più solido; la copertina soft touch è estremamente piacevole al tatto. E contribuisce anche a dare l’impressione di un volume più resistente e durevole in caso di uso frequente.
Con 174 pagine, compresa un’avventura dedicata e un prontuario di creature ed avversari pronti per ogni occasione, Monogatari – Onore e Destino si presenta decisamente snello. Del resto la maggior parte delle meccaniche e lo spirito del gioco sono ampiamente descritti in Klothos – I Fili del Destino. In giapponese, “Monogatari” significa racconto. Questo significa che l’epica del gioco principale è perfettamente adattata a una narrazione in stile nipponico.
Cambiamenti: i Dettami
La differenza principale tra Monogatari – Onore e Destino e il manuale base è nei Dettami. Questi sostituiscono gli Approcci, e si rifanno alle virtù tradizionali di chi pratica il Bushido. Compassione, Coraggio, Dovere, Giustizia, Sincerità e Umiltà guidano le azioni degli eroi, e rappresentano il loro modo di affrontare le avversità. Ma ad ogni Dettame corrisponde un Comportamento Disonorevole, un suo speculare condannato dal Bushido. Crudeltà, Codardia, Egoismo, Vendetta, Slealtà e Superbia.
Scegliere come ripartire i punti a disposizione tra Dettami e Comportamenti Disonorevoli aggiunge una caratterizzazione ancora più forte all’eroe. Non si tratta tuttavia di una scelta priva di conseguenze in gioco. Le meccaniche di Monogatari – Onore e Destino riflettono pienamente l’obiettivo del gioco: creare una storia eroica che segua gli schemi della narrazione epica.
Onore e Disonore
Se in Klothos – I Fili del Destino il gioco è imperniato sui Punti Fortuna e sulle Sventure, nel Paese del Sol Levante è l’Onore la principale discriminante. Ai Punti Fortuna si sostituisce infatti l’Onore. Le Sventure cedono invece il passo al Disonore. In termini di effetto meccanico, tra i due giochi cambia poco.
Il cambio di prospettiva è dato proprio da Dettami e Comportamenti Disonorevoli. Se infatti i primi rappresentano quanti punti Onore si possono accumulare, non è scontata la scelta di puntare tutto su un personaggio privo di difetti. I Comportamenti Disonorevoli determinano infatti quanto Disonore l’eroe possa sopportare. Prima di dover pagare le conseguenze delle proprie azioni. Monogatari – Onore e Destino trova quindi un sottile senso di bilanciamento. Che non riguarda l’ottimizzazione del personaggio, ma tenendo fede allo spirito del gioco, la gestione del suo percorso eroico.
Siamo padroni del destino dei nostri eroi. Siamo noi a decidere quanto sono leali al loro codice d’onore; ma siamo sempre noi a decidere quanto siano in grado di sopportare i compromessi cui decidono di scendere. Una soluzione che forse rende il gioco leggermente meno immediato rispetto a Klothos – I Fili del Destino. Ma che aggiunge uno spessore ulteriore che restituirà un’esperienza ancora più intensa.
Recensione di Monogatari – Onore e Destino: le Caste
In questo hack di Klothos – I Fili del Destino troviamo anche un ulteriore elemento di personalizzazione dell’eroe: le Caste. Oltre alla Costellazione di riferimento ogni giocatore deve scegliere a quale casta appartiene il proprio eroe. Un elemento che rispecchia bene la complessa stratificazione della società tradizionale giapponese. Le capacità concesse dalle Caste progrediscono ogni volta che l’eroe sacrifica uno dei suoi fili del destino, in perfetta coerenza con il Thread System.
I Bonzi abbandonano il Bushido per seguire gli insegnamenti di Buddha; il loro percorso li porta ad aiutare chiunque incroci la loro strada a percorrere la via verso il Nirvana. Il Bushi, al contrario, abbraccia pienamente la vita marziale dedita al servizio del proprio signore feudale. La Geisha, al di là dell’accezione più scontata, si muove perfettamente a proprio agio nelle lunghe ombre della corte imperiale. Il Ronin ha perso qualsiasi onore che potesse avere il suo nome, ma non necessariamente ha smesso di aderire al codice del Bushido. Al contrario, lo Shinobi dà ben poco peso a qualsiasi codice, puntando alla brutale efficacia di una vita nell’ombra. Infine, dagli estremi limiti del mondo civilizzato lo Yamabushi è il tramite tra il mondo dei mortali e quello degli spiriti.
Chanbara
Chanbara, in giapponese, è un termine usato per indicare i racconti di cappa e spada. In Monogatari – Onore e Destino, è il nome scelto per l’avventura introduttiva proposta nel manuale. Si tratta di un’avventura relativamente semplice, ma molto articolata. Le nostre recensioni sono rigorosamente senza spoiler. Vi anticipiamo soltanto che nel dipanarsi della trama di un intrigo di corte, i personaggi saranno costretti a scegliere la fazione con la quale schierarsi; e compiere varie missioni che, a seconda delle loro decisioni, imporranno differenti conflitti morali. E le scelte saranno sempre significative, mai fini a sé stesse.
L’avventura in sé potrebbe non essere troppo emozionante, forse. Ma ha come punto di forza la perfetta compenetrazione nello spirito del gioco. Ad ogni passo, gli eroi dovranno decidere quanto mantenere intatto il proprio onore, e quanto scendere a compromessi. Ogni casta avrà modo di far valere la propria condizione sociale nell’una o nell’altra scena, restituendo un flavour tipico dei racconti tradizionali giapponesi.
Conclusioni della Recensione di Monogatari – Onore e Destino
In definitiva, Monogatari – Onore e Destino è davvero un buon prodotto. Certo non parliamo di qualcosa che soddisferà gli yamatologi più esigenti; la visione cui il gioco è ispirato è comunque filtrata da ciò che in occidente, e nello specifico in Italia, ci arriva sulla cultura giapponese. Ma stiamo parlando di un gioco di narrazione, e non di un trattato accademico; non si può quindi neanche ipotizzare di etichettarlo come un difetto.
Possiamo anzi dire che nell’inseguire un focus più definito, e nel ritagliarvi su misura le meccaniche del Thread System, Monogatari – Onore e Destino sia un lavoro persino più riuscito di Klothos – I Fili del Destino. Un gioco emozionante e intenso, perfetto per chi voglia portare al tavolo la struggente divisione tra l’onore e il compromesso. Sempre mantenendo l’attenzione su quello che è l’epico percorso dell’eroe, seguito grazie al Thread System dal suo difficoltoso inizio alla sua drammatica fine.
Se ti è piaciuta questa recensione di Monogatari – Onore e Destino, continua a seguirci per altre recensioni sul mondo del gioco di ruolo!
Oggi vogliamo presentarvi la recensione di Nightfell, l’attesissima ambientazione made in Italy per D&D 5e. Innanzitutto ringraziamo Mana Project per averci messo a disposizione un bundle davvero molto molto ricco. Se questa recensione dovesse farvi venire voglia di acquistarlo, vi rimandiamo direttamente allo store ufficiale di Mana Project. Un’anticipazione: definirlo consigliato sarebbe riduttivo!
Il bundle è decisamente ricco. Si inizia ovviamente con il Manuale Base, che presenta l’ambientazione, le opzioni di personalizzazione del personaggio e le nuove meccaniche originali. Il Bestiario raccoglie una serie di nuovi mostri, tipici dell’ambientazione e ispirati anche al folklore italiano.
Il Libro delle Avventure è, come lascia intuire il nome, una raccolta di avventure, giocabili come un’unica campagna. Cui Il Divoratore di Morte può fare da corollario. Il bundle prevede inoltre le schede di ben 16 pg pregenerati e 10 mappe digitali. Per non farci mancare nulla, abbiamo anche la colonna sonora originale di Nightfelle un bellissimo Schermo del Nightmaster! Completa il tutto il sacchetto dei dadi ufficiali dell’ambientazione: due d20 e sette d8 con le fasi lunari. Oltre a delle comodissime carte incantesimo.
La Recensione di Nightfell: i Manuali
Diciamolo subito: la qualità non è alta. È altissima. I volumi sono solidi, le pagine spesse, le copertine robuste. L’impaginazione mantiene il classico schema di D&D 5e, quindi si tratta di volumi estremamente pratici da consultare. Ma quello che lascia a bocca spalancata è la qualità delle illustrazioni.
Fin dall’annuncio del kickstarter, Nightfell ha subito mostrato di prestare particolare attenzione al comparto artistico. Del resto Mana Project ci ha abituati a standard molto elevati, basti pensare a Journey to Ragnarok o ad Historia. Ma con Nightfell Angelo Peluso, che del progetto è direttore artistico e parte del team di illustratori oltre che autore, si è semplicemente superato. Questi volumi fanno bella figura anche nelle collezioni più ambiziose.
Dal punto di vista della realizzazione, l’unico neo dei manuali di Nightfell è il numero dei refusi, piuttosto abbondante. Purtroppo i progetti in crowdfunding si trovano spesso a dover fare i conti con tempi piuttosto stretti, questo è innegabile. Ma davanti alla maestosità di questi volumi, non c’è bisogno di chiudere un occhio per perdonare queste sviste.
Il Manuale Base
“Sarete invero l’ago della bilancia, poiché dalla vostra condotta dipenderà la sorte di ciò che resta di tutti noi.
Restate saldi dinanzi alle tenebre e non lasciate che il vostro cuore ceda, e possa la luna guidarvi attraverso le silenti lande del continente.”
Nel mondo di Nightfell i personaggi non vanno all’avventura. I più cinici possono cercare di arricchirsi, i più perversi possono cercare nuovo potere negli Echi della Morte. Ma per la maggior parte del tempo, il gioco verterà sul sottile confine tra la sopravvivenza e il tentativo di porre una linea tra il buio e la vita. La luce della luna concede tregua, ma il calore del sole non è più neanche un ricordo.
Le nostre recensioni sono rigorosamente senza spoiler; ma su Nightfell ci sono comunque un bel po’ di parole da spendere. Il gioco si presenta come “un’ambientazione horror fantasy, un mondo grimdark sotto l’influenza della luna”. Questo perché su Iùrmen, il mondo di gioco, non c’è il normale alternarsi di notte e giorno. Quando la luna scompare dal cielo non viene sostituta dal sole, e dove non viene acceso un fuoco il mondo piomba nell’oscurità assoluta. Oscurità nella quale prosperano e si diffondono gli Echi della Morte, riflesso oscuro dei Primordiali che hanno creato il mondo.
Recensione di Nightfell: un’Ambientazione Completa
Nel Manuale Base viene presentata per intero la storia di Iùrmen. Parallela a quella di Sidìr e di Ènferun, il piano sidereo da cui il mondo dei mortali è stato tagliato via e l’Abisso che al contrario l’ha invaso. Tra mito e storia vera e propria, è possibile scoprire cosa abbia portato via la luce del sole. E cosa questo implichi per i personaggi.
La geografia del mondo di gioco tratteggia tutte le principali regioni e i loro principali centri d’interesse. Il manuale non scende troppo nel dettaglio, da questo punto di vista. Ma non mancano spunti più che sufficienti per sfruttare al meglio ogni ambiente presentato.
Quello su cui ci si concentra maggiormente è, al contrario, l’aspetto culturale. In un mondo in cui alla notte si avvicenda il buio, la religione diventa un elemento fondamentale. Che si tratti di venerare la divinità lunare o perpetrare le antiche tradizioni, di confidare negli ormai scomparsi Primordiali o di appartenere a culti pagani. Per non parlare di religioni ben più sinistre, culti dei morti e venerazione degli stessi Echi della Morte.
Quattro discendenze umane…
Il mondo di Nightfell è popolato da stirpi ideate appositamente per quest’ambientazione. Sono quindi tutte fortemente caratterizzate per sfruttare i temi portanti del gioco.
Gli Anireth, o Primi Uomini, sono gli involontari responsabili dell’Ultimo Sole, l’evento che ha portato l’Ènferun a sovrapporsi a Iùrmen. Per quanto molti di loro siano incolpevoli, portano addosso il marchio di queste azioni. E anche se sono i progenitori di tutte le altre stirpi umane, il pregiudizio nei loro confronti ne condiziona le azioni.
Al contrario gli Ejre, o Primievi, hanno un legame con le energie della terra estremamente forte. Appartengono a una cultura druidica che li rende i principali baluardi contro l’oscurità.
Anche i Garnar, o Alperni, non sono esattamente campioni di civilizzazione. Questa popolazione dai tratti barbarici vive tra le catene montuose del nord, ancora più fredde da quando il sole è andato letteralmente distrutto. Marchiati da un’antica maledizione, alla luce della luna rivelano una natura bestiale.
La Gente Grigia è forse la popolazione che più richiama gli umani di D&D 5e: tra tutti i popoli discendenti dagli Anireth, infatti, sono i più variegati e versatili. Il nome di Gente Grigia viene infatti dalla mescolanza di colori di questo popolo, che di fatto lo rende privo di un colore specifico.
… e Altre Più Esotiche
Gli Ishdrim, la Gente d’Oltremare, sono gli unici esseri umani di Nightfell a non discendere dai Primi Uomini. Strettamente legati a Hollon, il defunto Primordiale che era il sole di Iùrmen, intrecciano i loro eleganti incantesimi a una naturale affinità con il fuoco.
I Krampus sono l’unica stirpe giocabile originaria del Riflesso Nero. Creature selvagge e brutali, credono nella violenza e nel branco. Che viene rafforzato dalla lotta interna. Solo pochi di essi osano rivolgersi contro questa brutale cultura, dimostrando un insospettabile potenziale.
I Lyvar, detti Folletti Notturni, sono i discendenti di una stirpe un tempo appartenente al Piccolo Popolo. Mutati dalla notte eterna, sono piccole creature diffidenti e sfuggenti. Poco inclini ai rapporti con gli esterni, quando riescono ad aprirsi dimostrano tuttavia una lealtà fuori dal comune.
Infine, i Rizadrin sono gli ultimi discendenti delle tre stirpi di satiri che un tempo erano in contatto con la linfa vitale di Iùrmen. I Satiri Lunari sono creature sagge eppure crepuscolari. Primi ad aver intuito come la luna sarebbe diventata il fulcro delle creature viventi dopo l’ultimo sole, sono stati loro stessi a fondare il Culto Lunare, la religione dominante di Nightfell.
La Recensione di Nightfell: un’Ampia Scelta
Le opzioni per la personalizzazione del personaggio non sono certo poche. Innanzitutto il manuale presenta 12 nuovi background, fondamentali per integrare al meglio il proprio personaggio nell’ambientazione. Ogni classe del manuale core, inoltre, ha una nuova sottoclasse da scegliere, sempre profondamente intrecciata al mondo di Nightfell.
Particolarmente interessanti sono le nuove classi originali presentate. Il Cultista Lunare è un soldato che si schiera contro l’oscurità incombente; sfruttando un misto di capacità marziali e di conoscenza del misticismo dei veneratori della Dea Triplice, diventa un formidabile alleato, o avversario. Il Mastro di Tradizione cerca invece di gettare luce sul mistero, accumulando nozioni su qualsiasi argomento; leggenda, storia o mito, non c’è argomento che non possa piegare al proprio utile.
In un mondo infestato dagli spiriti, il Medium si fa canale di comunicazione tra questi e Iùrmen. Lasciandosi possedere parzialmente dall’anima di un trapassato, o utilizzandola per tormentare i suoi nemici, la sua inquietante figura teme ben pochi rivali. Infine, in un mondo privato della luce del sole non poteva mancare il Vampiro. Perseguitato dalla luce della Luna Piena, può sviluppare progressivamente i suoi poteri oscuri in un percorso di classe, cercando la redenzione o, al contrario, la discesa nella dannazione.
Non mancano nuovi oggetti, magici e non, nonché tutta una serie di nuovi incantesimi, carichi del senso di orrore e meraviglia che permea gli abitanti di Iùrmen.
La Recensione di Nightfell: Nuove Meccaniche
Uno degli aspetti più interessanti del Manuale Base sono le sue meccaniche originali. Volte ad esaltare l’ambientazione e a farne pesare ancora di più le caratteristiche opprimenti, sono un valore aggiunto non da poco. Non sono semplici opzioni di gioco, sono parte del cuore pulsante di Nightfell.
I Punti Spirito sono sicuramente la più interessante tra queste nuove meccaniche di gioco. A rappresentare la tenuta psicologica e spirituale del personaggio, ricordano un po’ i punti di sanità mentale di altri giochi. Attacchi speciali, scene che causino sconvolgimento o creature particolarmente aliene possono ridurre la riserva di Punti Spirito; ma anche indulgere in comportamenti abietti può intaccarla. Una volta consumata questa riserva, il personaggio viene posseduto dagli Echi della Morte, e solo un delicato rituale può sperare di riportarlo in sé.
Le Armi Tetre sono un’altra interessante peculiarità di Nightfell. Più un’arma colpisce le creature di Ènferun, infatti, più si intride della loro corruzione, fino a soccombervi. Un’Arma Tetra diventa più efficace contro queste creature, ma al tempo stesso la sua sete di sangue finisce per erodere l’anima di chi la brandisce.
Infine, non poteva non avere un ruolo da protagonista la Luna. La fase lunare sotto cui nasce un personaggio, infatti, ha un po’ il ruolo del suo segno zodiacale. Non una caratterizzazione fine a sé stessa, ma che influenza direttamente i personaggi tramite gli esiti del rischioso rituale di Divinazione Lunare. Senza dimenticare che i poteri di molti mostri vengono influenzati dalla Luna e dalle sue fasi.
Il Bestiario
Un ulteriore punto di forza di Nightfell è sicuramente il suo Bestiario. Non un semplice “manuale”. Per quanto le 100 nuove creature abbiano ovviamente tutto ciò che è necessario per utilizzarle in gioco, il loro punto forte è l’integrazione nella lore.
Gli orrori di Nightfell comprendono i draghi un tempo morti e ora animati da energie necromantiche, o i loro meno potenti ma non meno terrificanti discendenti. Non morti di ogni foggia e fattezza, e orrori informi venuti dal mondo di Ènferun. Creature uniche o intere popolazioni. Folletti corrotti dall’oscurità e cultisti che, invece, la corruzione la bramano. E infine le streghe, vere protagoniste dell’orrore senza sole di Nightfell.
Ogni mostro o avversario rientra in una categoria più ampia, e oltre alle statistiche ha un’ampia introduzione. Che lo contestualizza nel mondo di gioco. Diventa un elemento di cultura e di ambientazione, al punto che il Bestiario presenta tutta una serie di dicerie che lo riguardano. Alcune fondate, altre no. Alla bontà del Nightmaster quali far arrivare alle orecchie dei personaggi.
La Recensione di Nightfell: all’Avventura
Il Libro delle Avventure è una raccolta di sei avventure, che possono essere giocate separatamente. Ma che rendono il massimo se divise in due campagne distinte, che possono essere raccordate tra di loro. In questo modo, permettono di portare i personaggi dal primo al quattordicesimo livello.
Scritte da autori diversi, presentano di conseguenza anche stili diversi. Non che sia un problema, anzi questo permette di affrontare più stili di gioco. E di vivere diversi aspetti del mondo di Nightfell all’interno di una stessa campagna, in un arco narrativo coerente. Sicuramente le avventure più riuscite sono quelle che lasciano più spazio all’interpretazione e alla narrazione; permettono di assaporare al meglio lo strisciante orrore che caratterizza il gioco. Ma l’azione non manca, ed è necessaria.
Le prime tre avventure del manuale si snodano tra i ghiacci di Alper, cercando di affrontare la minaccia dei vampiri che si avvantaggiano di un mondo privo di sole. Le restanti si spostano invece in un ambiente urbano, permettendo di esplorare un orrore più angosciante, che bracca i personaggi violando il loro stesso senso della realtà.
Il Divoratore di Morte è una piccola chicca extra, sbloccata in fase di Kickstarter. Può essere giocata a conclusione delle due campagne collegate del Libro delle Avventure, o autonomamente. Porterà i personaggi dal 14imo al 17imo livello, permettendo di affrontare una delle più grandi minacce di Iùrmen, il Culto del Serpente.
Props… e che Props!
Come potrete constatare in questa recensione, uno dei punti di forza di Nightfell sono i suoi accessori. Curatissimi, di gran pregio, sono oggetti da collezione che non sfigurano davanti ai magnifici manuali di quest’ambientazione. A cominciare dai dadi. Parliamo qui di collezionismo puro. Infatti non si tratta del classico set di dadi completo per giocare a D&D 5e. Troviamo semplicemente due d20, perché fortemente simbolici, e i sette dadi con le varie fasi lunari; utili ma neanche fondamentali, per giocare la Divinazione Lunare. O per determinare casualmente la fase lunare, sempre importante per il gioco. Sono semplicemente belli.
Le schede dei personaggi prefatti sono utili, così come le mappe. E la colonna sonora è un bonus da dieci e lode, perfetta per rendere le atmosfere del gioco; e decisamente qualcosa che non si trova in ogni bundle. Ma è lo Schermo del Nightmaster il vero pezzo forte. Robusto, pratico, è semplicemente bello: nella sua semplicità, non c’è modo migliore per definirlo. Attenzione, non sostituisce lo Schermo del Dungeon Master per D&D 5e: al suo interno sono riportate solo le meccaniche originali di Nightfell.
Conclusioni della Recensione di Nightfell
Alla fine dei conti di questa recensione, su Nightfell c’è tanto da dire, e tanto ce ne sarebbe ancora. Ma bisogna tirare le somme. E il risultato è sicuramente positivo. Si tratta di un progetto ambizioso. Avere un’idea originale non è facile; renderla un prodotto adatto al mercato è forse ancora più impegnativo. Nightfell ci riesce, e lo fa superando le pur altissime aspettative che Mana Project aveva fissato.
I tempi del Kickstarter certo hanno creato qualche problema. Oltre ai refusi di cui sopra, nel Libro delle Avventure il coordinamento tra i vari autori non è stato perfetto, creando un’incongruenza tra due trame. E tra la descrizione dei vampiri, le regole per giocarli come pg e quelle per usarli come mostri, si finisce per creare un po’ di confusione su come gestire le penalità alla luce della luna piena.
Ma si tratta davvero di piccolezze, davanti a un lavoro così monumentale. E soprattutto così ben riuscito. Nightfell è ben scritto e interessante. Forse un’ambientazione horror fantasy così viscerale può non essere adatta a tutti i palati; e certo giocarla alleggerendo questi aspetti sarebbe un peccato mortale. Ma se non siete eccessivamente sensibili a queste tematiche, Nightfell è l’ambientazione che volete provare nella vostra prossima campagna!
Se ti è piaciuta questa recensione di Nightfell, continua a seguirci per altre novità sul mondo di D&D5e!
Oggi abbiamo il piacere di presentarvi la recensione di The One Ring Bundle, un lavoro di Francesco Nepitello e Marco Maggi. Innanzitutto vogliamo ringraziare Free League per averci messo a disposizione questo ricco cofanetto. Lo trovate sullo store ufficiale, dove potete acquistare individualmente anche il manuale Core Rules o lo Starter Set che compongono il bundle. Quest’ultimo, costando 1184 corone (circa 119 euro), si presenta con un rapporto qualità prezzo straordinario.
Il bundlecomprende appunto il manuale base del gioco, lo schermo del Loremaster, il Rivendell Compendium e lo Starter Set. In quest’ultimo troverete una guida introduttivaalle regole, il compendio The Shire e il volume The Adventures, che raccoglie cinque avventure brevi ma molto immersive. Completano il materiale di gioco 8 schede con personaggi pregenerati, una mappa dell’Eriadore una dello Shire, 30 carte equipaggiamento, 6 carte con sintesi dei ruoli durante l’esplorazione e delle opzioni di combattimento.
Infine Free League ci vizia come suo solito con un set di dadi dedicato: due d12 (Feat Dice) e sei d6 (Success Dice).
Una Scelta Coraggiosa
Free League ci ha già dimostrato di non avere paura di toccare mostri sacri, come fatto con la nuova edizione di Twilight 2000. Ma in questo caso va oltre. Il Signore degli Anelli è il punto di riferimento di qualsiasi appassionato di fantasy, volente o nolente. Cimentarsi con la riedizione di uno dei giochi ad esso dedicato non è impresa semplice. Scopriamo come Free Leagueha deciso di affrontare l’impresa.
Prima di continuare, una piccola nota. La versione italiana de Il Signore degli Anelli ha visto di recente una nuova traduzione, con un adattamento diverso dalla traduzione storica di Vittoria Alliata di Villafranca. Per evitare di creare confusione, in questa recensione manterremo i nomi originali, quando necessario.
Recensione delle Meccaniche di The One Ring
La meccanica di fondo del gioco è piuttosto semplice. I personaggi hanno tre caratteristiche:Strenght, Heart e Wits. Questo punteggio viene sottratto al valore di 20, ottenendo il Target Number, il risultato che si dovrà ottenere con il tiro di dado. Ovvero 1d12 (il Feat Dice), più un numero di d6 (Success Dice) pari al punteggio nella skill utilizzabile, se ce n’è una. Questo sistema, che può apparire complesso ma in realtà è molto semplice da utilizzare, merita due riflessioni.
Innanzitutto è il cambiamento più profondo rispetto al sistema precedente. Questo perché Free League ha deciso di introdurre un sistemaroll under “camuffato”: a una prima occhiata, infatti, si tratta di ottenere un classico risultato più alto possibile. Ma dato che il Target Number è dato da 20 meno il punteggio di caratteristica, di fatto abbiamo un sistema in cui la difficoltà è intrinseca alla scheda del personaggio. Un roll under vero e proprio, cosa che rende il gioco molto più avvincente e interessante.
In secondo luogo, pur trattandosi di un gioco con difficoltà fisse più modificatori, come tutti i roll under, The One Ring offre la possibilità di scalare il Target Number. Il manuale propone infatti una regola alternativa, pensata per campagne brevi o singole avventure che non prevedano una progressione del personaggio nel lungo periodo. È sufficiente calcolare il Target Number partendo dal valore di 18 anziché di 20, per ribaltare completamente gli equilibri a favore anche dei gruppi meno scafati e con meno prospettive.
Una Meccanica per ogni Fase di Gioco
Pur contando su regole di fondo semplici, il regolamento si fa moltoarticolato. The One Ring prevede infatti specifiche fasi in cui suddividere il gioco, ognuna delle quali ha delle meccaniche dedicate. Queste sono l’avventura, il viaggio, il concilio (una sorta di riunione diplomatica con le autorità locali), il combattimento e il riposo.
Ovviamente sono previste meccaniche dedicate anche per determinare il valore e la saggezza di un personaggio, che influenzano il suo percorso di crescita e il suo rapporto con l’Ombra, il male che si diffonde nella Terra di Mezzo e la corrompe. Particolarmente interessante la professione del personaggio (NdA: in lingua inglese è chiamata “calling”, che può avere anche valore di vocazione). Oltre a definire un pacchetto di competenze, infatti, la professione determina anche l’approccio del personaggio, e in che maniera questo finisca per degenerare se corrotto dall’ombra.
Recensione dei Personaggi di The One Ring
Le professioni sonoCapitano, Campione, Messaggero, Studioso, Cacciatore di Tesori e Guardiano. Ogni professione può essere incrociata con una delleCulture che possono essere scelte dai giocatori. Gli esseri umani possono appartenere ai Barding, i fieri uomini del nord, o ai più concilianti abitanti di Bree. O essere Ranger delNord, con lontane ascendenze elfiche e una missione da compiere. In alternativa, è possibile giocare un Nano della stirpe di Durin, un Elfo di Lindon o un Hobbit dello Shire.
Ci sono svariate altre opzioni di personalizzazione del personaggio. Diventa possibile ottenerecaratterizzazioni molto differenti anche con un gioco che offre un pacchetto di abilità non eccessivamente ampio, una scelta molto intelligente e pratica.
Inoltre, The One Ring offre uno spunto molto interessante. Il gioco è molto rigoroso nel tracciare loscorrere del tempo, e il modo in cui questo influisce sul personaggio. Nessuno può andare all’avventura in eterno, soprattutto in un mondo in cui la magia, è bene notarlo, esiste ma è al di là della portata delle persone comuni. I personaggi possono però scegliere di crescere il proprioerede, che potrà sostituirli una volta che avranno raggiunto l’età pensionabile. Permettendo al giocatore di continuare le avventure di una stirpe ininterrotta.
Recensione dell’Ambientazione di The One Ring
One Ring to rule them all, One Ring to find them,
One Ring to bring them all, and in the darkness bind them,
In the Land of Mordor where the Shadows lie.
Forse non la citazione più originale, ma senza dubbio la più rappresentativa de Il Signore degli Anelli (anche qui, per evitare confusione, manteniamo la versione in lingua originale). Questo perché pretendere di recensire l’ambientazione di The One Ring sarebbe folle, ambizioso e superfluo al tempo stesso. Parliamo del fantasy più famoso di sempre, la saga che ha a lungo dettato gli stilemi e gli stereotipi del genere.
Ci possiamo concentrare sull’ambiente di gioco, mantenendoci come sempre rigorosamente senza spoiler. Sono passati trent’anni da quando Bilbo Baggins ha trovato l’Unico Anello. In questo periodo l’Ombra ha avuto modo di rafforzarsi, foraggiando le proprie creature e chiamando a raccolta i propri servitori. Le opportunità per un avventuriero sono tante; gloria e ricchezza aspettano solo che qualcuno prenda l’iniziativa. Ma altrettanto fanno i rischi, e spesso la morte non è la peggiore delle opzioni.
Un Lavoro Impeccabile
Nel complesso, Free League ha preparato un lavoro straordinario. A distanza di dieci anni, ha apportato a un sistema di gioco rodato un ingente numero di modifiche riuscendo a non snaturarlo. Il “roll under camuffato”, il maggior impatto della professione del personaggio, gli equilibri tra l’Ombra e la Speranza che permette di resistervi, hanno un design moderno e fresco. Al tempo stesso il gioco mantiene un impianto molto tradizionale, per la più tradizionale delle ambientazioni.
Qualcuno potrebbe storcere il naso davanti a un regolamento che scandisce in maniera così rigida le varie fasi del gioco, pur non divenendo mai ingombrante. Sicuramente è questione di gusti, ma una cosa rimane innegabile. La seconda edizione di The One Ring permette di ricreare alla perfezione le atmosfere trasmesse dall’opera diJ. R. R. Tolkien.
Una sensazione che si riflette anche nell’aspetto grafico dei manuali. L’impaginazione ricorda quella di unantico tomo, rendendo la lettura immersiva ma mai difficile. E lo stesso si può dire delleillustrazioni, che sembrano schizzi da diario di viaggio ma al tempo stesso sono abbastanza vivide da animare le pagine, ricreando proprio l’effetto di un’edizione illustrata della trilogia. Chapeau ad Alvaro Tapia, concept artist del progetto.
Discorso a parte vale per le copertine e le immagini che separano i vari capitoli, soprattutto nel Core Book. Martin Grip, i cui lavori abbiamo già ammirato in Alberetor, The Haunted Waste, fa un lavoro semplicemente straordinario. Il suo tratto “sporco” taglia le pagine, aggredisce il lettore e lo catapulta a confrontarsi con l’Oscurità. Da solo, vale l’intero bundle.
Conclusioni della Recensione di The One Ring
Come anticipato nella premessa, Free League ha deciso di raccogliere una sfida non da poco, con la seconda edizione di The One Ring. Confrontandosi con un vero e proprio mostro sacro, e proponendo modifiche sottili ma d’impatto a un gioco già rodato. Pare proprio che in Svezia non abbiano paura di nulla.
E fanno bene, perché The One Ring è un gioco che soddisfa pienamente le aspettative, proponendo un’esperienza completamente aderente all’ambientazione e alle sue tematiche. Esplorazione, avventura, alleanze tra popoli e, soprattutto, confronto con la propria metà più oscura, ovvero quanto coviamo di inconfessabile nei recessi più segreti della nostra personalità. Se vi interessa un tipo di gioco del genere, e siete appassionati di meccaniche non ingombranti ma sempre presenti nel corso di una sessione, questo bundle è assolutamente consigliato!
Se ti è piaciuta questa recensione, continua a seguirci per scoprire altre novità su The One Ring!
Oggi vogliamo presentarvi la nostra recensione di Klothos – I Fili del Destino. Innanzitutto vogliamo ringraziare Fumble GdR per averci messo a disposizione una copia di questo gioco unico nel suo genere. Se questa recensione dovesse invogliarvi ad acquistare il gioco, potete trovarlo sul loro store ufficiale. Klothos – I Fili del Destino è disponibile in versione fisica al prezzo di 19,90 euro; per chi preferisse la versione digitale, il PDF ne costa invece 10,00. Dallo store è comunque possibile scaricare sia un quickstart del gioco che un’avventura gratuita. Nel caso questa recensione vi lasciasse qualche dubbio insoluto, questo materiale è sufficiente a fare completa chiarezza.
Una piccola nota è doverosa: Klothos – I Fili del Destino è stato premiato per il Miglior Game Design e per il Miglior Regolamento ai Player Awards del 2019. Stiamo parlando quindi di un gioco con un certo pedigree, che va affrontato cercando non soltanto uno svago. Questo gioco di ruolo si promette infatti di far vivere una vera e propria esperienza. Tanto di cappello a Claudio Serena, autore di spessore.
Recensione del Volume di Klothos – I Fili del Destino
Il volume è di formato piccolo, di dimensioni poco superiori a quelle di un libro tascabile. Questo sicuramente aiuta la solidità del manuale, soprattutto tenendo conto del fatto che la copertina è flessibile. In generale si tratta di un volume da maneggiare con una certa cura. Non è pensato per sostenere le stesse battaglie che affronteranno i vostri eroi, questo è poco ma sicuro. 228 pagine, compresa la scheda del giocatore; che occupa una sola facciata, discreto plus per gli amanti della compattezza. Compreso anche un agevole “bestiario” che presenta un ampio campionario di avversari, facilmente adattabili ad ogni contesto di gioco.
Le pagine del manuale hanno una bella porosità, non sanno di plastica al tatto. Chi ha la piccola mania di annusare i libri mentre li sfoglia avvertirà un piacevole sentore di carta. Dato il formato di Klothos – I Fili del Destino, l’impaginazione a una colonna risulta ben ordinata, e ne aumenta di molto la leggibilità. Le pagine sono molto spartane, il che è un bene visto il formato. Le illustrazioni di Pietro Bastas impreziosiscono ulteriormente il volume, siglando definitivamente un lavoro completamente italiano.
Un Approccio Unico
Quello che permette a Klothos – I Fili del Destino di spiccare tra molti altri giochi di ruolo, è l’approccio unico che ha alla narrazione. La costruzione del personaggio, il suo sviluppo e quello delle trame attraverso cui evolve, infatti, non segue il normale percorso di un gioco di ruolo. L’intero impianto di Klothos – I Fili del Destino è innestato sulla narrativa, prima ancora che sulla narrazione. L’analisi del viaggio dell’eroe e di tutte le figure che lo accompagnano, la struttura dell’epica, lo sviluppo dell’intreccio.
Giocare a Klothos – I Fili del Destino nei panni di un eroe o in quelli del Tessitore che conduce la storia, significa immergersi pienamente nel mito. Ogni eroe ha un percorso molto preciso. Un background con dei canoni da rispettare, un punto di partenza, un modo di affrontare le avversità, un epilogo epico. Ed “epico” non è un aggettivo utilizzato a caso. I personaggi sono infatti eroi nel senso più tradizionale del termine, individui straordinari che affrontano le avversità, superandole, per un bene comune.
Recensione del Thread System di Klothos – I Fili del Destino
Il motore di Klothos – I Fili del Destino è un sistema di gioco completamente originale, il Thread System. Si tratta di un sistema estremamente semplice e con pochi fronzoli, in cui le classiche caratteristiche del personaggio vengono sostituite dai suoi Approcci, dal modo in cui sceglie di affrontare la situazione. Ogni prova va affrontata sommando al punteggio dell’approccio il risultato di 1d6; con un risultato di 7, la prova è superata. Quando il personaggio è specializzato in quel che sta facendo, può aggiungere il “dado del fato” alla prova, che può far accumulare Punti Fortuna; se ad essere specializzato è l’avversario, però, ci sarà il rischio di accumulare al contrario Sciagure.
Punti Fortuna e Sciagure non modificano mai il risultato di una prova, ma permettono al Tessitore di creare ulteriori sviluppi della storia. Ovviamente, come si può immaginare, a favore o a sfavore degli eroi. Ci sono vari effetti che si possono ottenere, e il manuale è piuttosto ricco di esempi. Ma in definitiva l’unico limite è la fantasia del Tessitore.
I Fili del Destino
Altro elemento fondamentale del Thread System sono i Fili del Destino, che danno il nome tanto al gioco quanto al suo sistema stesso. Ogni volta che l’eroe si trova in una situazione senza via d’uscita, o in cui la posta in gioco sia troppo alta, può consumare uno dei suoi Fili del Destino. Questo gli permetterà di riuscire automaticamente nell’azione che vuole portare a termine, e sbloccherà una delle capacità legate al suo percorso. In più, ad ogni Filo del Destino pari consumato, otterrà anche una nuova specializzazione.
Ma attenzione, un destino epico non può sottrarsi ad un tragico epilogo; una storia deve necessariamente avere una conclusione. Quando un eroe consuma il suo settimo e ultimo Filo del Destino, il suo percorso è compiuto. Sarà il suo sacrificio, che gli permetterà di completare il suo viaggio e di riposare finalmente in pace.
Recensione di Klothos – I Fili del Destino: i Personaggi
In Klothos, i Fili del Destino non troviamo un’ambientazione, né razze per i personaggi né classi, per lo meno non in senso stretto. Il sistema è pensato per essere applicato in maniera universale a qualsiasi tipo di contesto. Quel che conta è la narrazione: il percorso dell’eroe, appunto, e il ruolo che questi acquista nella storia.
Il personaggio viene costruito quindi secondo il ruolo che assume più nella narrazione che nell’avventura in senso stretto. Dopo una serie di domande preliminari, che gli danno una vera e propria identità, vengono distribuiti i punti tra i vari approcci: Accuratezza, Acume, Ascendente, Prudenza, Impeto e Fermezza. Si passa quindi a definire quello che maggiormente caratterizzerà la l’eroe: la sua Costellazione.
Questa rappresenta il destino del personaggio, il ruolo che assumerà all’interno della sua narrazione. Le Costellazioni non sono pensate per ricalcare le classiche “classi” dei giochi di ruolo, anche se sembrerebbero a grandi linee corrispondervi. Ricalcano piuttosto l’archetipo narrativo da cui queste sono state tratte nel corso del tempo. Non si parla di ruolo all’interno del gruppo, ma di ruolo all’interno della storia epica che l’eroe vivrà.
Un Destino Scritto nelle Stelle
Ogni Costellazione determina il ruolo che il personaggio avrà nell’epica della sua storia. Il Campione incarna l’eroe nel suo archetipo più tradizionale; il condottiero incorruttibile, che porta alla vittoria la luce e la verità. Il Cantastorie è invece colui che lo accompagna, che nel documentarsi sulle gesta eroiche finisce per viverle. Il Cercatore è un esploratore, sempre vigile; è colui che nella storia ha il compito di trovare l’elemento che si rivelerà fondamentale per la sua risoluzione.
Il Distruttore, come suggerisce il nome, è colui che con la magia o con la forza, abbatte ogni ostacolo; in costante mutamento, sfugge persino alle leggi di natura. Il Folle potrebbe apparire come un giullare privo di buon senso, e alle volte lo è; ma è proprio il suo “pensiero laterale” a essere spesso risolutivo. Il Guardiano è votato alla difesa degli altri, incurante della propria incolumità. Il Saggio, invece, è colui che guida gli eroi; consapevole di verità negate agli altri, conduce i suoi compagni incontro al loro destino.
Conclusioni della Recensione di Klothos, i Fili del Destino
In conclusione, Klothos – I Fili del Destino è un gioco che si fa apprezzare. Non solo per la sua semplicità e praticità, ma per l’idea. Si tratta di un gioco di ruolo che ha un’identità forte, e che la porta avanti con costanza. Il regolamento è molto rapido da apprendere e divertente. Soprattutto è pensato per supportare l’esperienza di gioco promessa; quindi non è solo interessante, ma anche funzionale. Dovendo individuare un difetto, al di là del manuale che è un po’ fragile ma che comunque vale il suo prezzo, è la mancanza di qualche meccanica più narrativa. Chi scrive non ne è un amante, ma un gioco in cui il senso del racconto è così forte ne avrebbe beneficiato. Sicuramente un peccato veniale, che non inficia la brillante idea di base.
Quindi se siete interessati a un gioco di ruolo che evidenzi non tanto l’avventura quanto il percorso, e che faccia evolvere i vostri personaggi secondo gli schemi di quello che l’umanità si racconta da millenni attorno al fuoco, Klothos – I Fili del Destino è sicuramente il gioco che fa per voi.
Se ti è piaciuta questa recensione di Klothos – I Fili del Destino, continua a seguirci per altre novità sul mondo del gioco di ruolo!
Oggi vogliamo proporvi la recensione di Great Wyrms of Drakha. Innanzitutto ci teniamo a ringraziare Draco Studios per aver messo a nostra disposizione una copia di questa raccolta di avventure di alto profilo per D&D5e. Dopo una campagna Kickstarter di gran successo, il manuale può essere preordinato al costo di 40 $ (poco più di 35 €). Sono disponibili anche degli accessori, come un set di dadi limitati e i file STL per stampare le miniature dei draghi. Un lavoro davvero molto curato per giocare, soprattutto dal vivo!
Great Wyrms of Drakha è basato su Dragonbond, il lavoro di Daniel Servitje. Ma vede il lavoro di un’ampia platea di professionisti che hanno contribuito allo sviluppo. Cui si aggiungono i 1408 backer del kickstarter, ringraziati uno ad uno nel manuale. Una bella attenzione, per chi ha contribuito a un progetto così ambizioso. E una gran bella soddisfazione vedere che ne è valsa la pena!
Recensione del Manuale di Great Wyrms of Drakha
Great Wyrms of Drakha è una raccolta di sette avventure per D&D5e, tutte pensate per portare i personaggi dal 17imo al 20imo livello. Un manuale monumentale, ben 320 pagine impaginate secondo i criteri della quinta edizione. Di queste, quasi 40 sono di bestiario dedicato. Il tutto per un volume solido, creato con una professionalità impeccabile. Un manuale di quelli belli da sfogliare, anche soltanto al tatto.
Ma non soltanto al tatto. La qualità degli artwork è altissima; nonostante la bellissima copertina, l’interno riesce ugualmente a sorprendere. Sicuramente è vero che, quando si tratta di draghi, non ci si può permettere di sbagliare. Soprattutto quando si parla del 50% del nome di battesimo del gioco di ruolo più famoso al mondo. Ma Great Wyrms of Drakha riesce a fare un ulteriore passo in avanti, portando sulle proprie pagine dei piccoli capolavori. Non si tratta solo delle illustrazioni in sé, ma del design che c’è dietro ogni tipo di drago rappresentato. Eccellente.
Avventure di Alto Livello
Come anticipato, in questa recensione di Great Wyrms of Drakha parliamo di una raccolta di avventure, tutte per personaggi di alto livello. L’apice della carriera di un avventuriero di successo. A volte forse lascia un po’ l’amaro in bocca non poterle collegare, ma essere costretti a giocarle individualmente. Stiamo però parlando di sfidare gli azhurma, i signori dei draghi. Non sono imprese pensate per essere replicate nella stessa vita. Inoltre queste avventure possono diventare la conclusione di una campagna storica, o andare a colmare il vuoto che c’è per avventure brevi ma di alto livello, per D&D5e.
Oltre alle avventure e al succitato bestiario, il manuale presenta anche dei nuovi artefatti e oggetti meravigliosi, prettamente funzionali alla storia. Non ci sono opzioni di personalizzazione per i personaggi, in compenso viene introdotta una meccanica completamente nuova per gli scontri contro di azhurma. Scontrarsi con i signori di Drakha nella loro dimora significa infatti articolare la battaglia in differenti fasi. Un’escalation in cui il combattimento diverrà sempre più impegnativo, sfruttando l’ambiente anche per ricorrere a trucchi che distraggano o indeboliscano il drago, oltre che danneggiandolo.
A rendere tutto ancora più avvincente, Great Wyrms of Drakhanon si limita a proporre delle avventure fini a sé stesse, ma in ognuna di esse tratteggia un’intera ambientazione, che da sola può ospitare un’intera campagna a tema!
Recensione dell’Ambientazione di Great Wyrms of Drakha
L’ambientazione è sicuramente uno dei punti forti di Great Wyrms of Drakha. Le nostre recensioni sono sempre spoiler free, ma qualche indizio possiamo darlo.
Drakha, la Luna Rossa, è la luna del mondo di Rhaava; il più importante del setting di Dragonbond, il progetto di Draco Studios. Quando Rhaava era ancora ai suoi primordi, la sua superficie era solcata dai Protogons, creature dotate di tale potere da modellarlo a proprio piacimento. Tra i Protogons fu Kadmos, il Drago Primordiale, a scoprire come moltiplicarsi e a spaventare i suoi simili con la sua ambizione. L’esilio con la sua stirpe fu l’unica soluzione possibile.
Ma la progenie di Kadmos non è morta come ci si poteva aspettare; ha colonizzato Drakha e vi ha prosperato. I draghi più potenti hanno modellato la società in covate, trasmettendo le proprie caratteristiche e idee secondo una gerarchia piuttosto rigida. E ogni 27 anni, l’Occhio di Kadmos si apre, e un portale permette loro di portare razzia su Rhaava. Le creature intelligenti che non vengono immediatamente divorate per assorbirne il Vaala, l’energia magica di cui i draghi sono sprovvisti, vengono portate su Drakha. Un posto dove la migliore aspettativa è diventare schiavo per la vita.
Una Vita Difficile
Per molti diventare cibo per draghi potrebbe davvero essere un’opzione preferibile. In questa recensione di Great Wyrms of Drakha ci preme sottolineare che la società draconica è infatti spietata. Ambire a essere cittadini di terza classe per gli abitanti di Rhaava è già in sé un traguardo difficilmente raggiungibile.
Gli azhurma, i signori dei draghi, hanno modellato intere regioni secondo la propria volontà e le proprie inclinazioni. Non troverete i draghi cromatici e metallici cui siete abituati; la loro caratterizzazione, su Drakha, è legata alla natura dell’azhurma da cui discende l’intera covata. Nei secoli l’intero satellite si è modellato sui suoi colonizzatori. Ogni forma di vita o si è rivelata abbastanza forte per sopravvivere, o è stata rimodellata sull’immagine dei suoi nuovi signori.
I personaggi giocanti sono esuli, prigionieri sopravvissuti alle razzie dell’Occhio di Kadmos che hanno trovato la propria strada su Drakha. Umani, elfi, orchi, halfling; qualsiasi personaggio normalmente giocabile può essere diventato una fonte di Vaala o uno schiavo, una volta sulla Luna Rossa. Le sue interazioni più frequenti saranno con i dragonkin, versioni umanoidi degli azhurma, che costituiscono il grosso della popolazione di Drakha e ne sono veri cittadini, per quanto inferiori ai draghi.
Qualora i personaggi dovessero arrivare a interagire direttamente con questi ultimi, faranno bene ad essere pronti ad ogni evenienza.
Recensione di Great Wyrms of Drakha: un Manuale per Tutti i Gusti
Il principale punto di forza di Great Wyrms of Drakha, assieme alla potenza dell’ambientazione e all’innegabile fascino dei draghi, è la sua versatilità. Ognuna delle sette avventura, infatti, non si limita a presentare una differente zona della Luna Rossa governata da un azhurma. E già ognuna di queste regioni è sufficientemente caratterizzata da ospitare un’ampia porzione di una campagna che vada oltre l’avventura stessa.
Quello che davvero rende questo manuale un prodotto di eccellenza è che ogni avventura ha uno stile di gioco completamente diverso dalle altre. Pur mantenendosi coerente con l’ambientazione, e presentandone il tema cardine – la sfida ai draghi – ogni avventura presenta un’esperienza di gioco completamente diversa dalle altre. Che sia per una one shot, per un’avventura breve o per il segmento di una campagna più ampia, questo significa avere una risorsa unica nel suo genere.
Andiamo a vedere nel concreto di cosa stiamo parlando.
The Voice of Dissent
La prima avventura presentata in Great Wyrms of Drakha si svolge tra le mura della Città Dorata, il regno di Aureus Fulgen, il Legislatore. Forse l’unico luogo su tutta la Luna Rossa che i PG possano in qualche modo trovare rassomigliante a Rhaava, ammesso che non siano nati in cattività su Drakha, la Città Dorata è l’unico insediamento urbano rilevante del setting. L’unico posto in cui i personaggi giocanti possano sperare di vedersi riconosciuti dei diritti, per quanto minimi e sempre soggetti all’arbitrio dei draghi.
The Voice of Dissent è un’avventura di intrigo e politica. Pur non mancando della componente action che ci si aspetta giocando a D&D5e, proietta i protagonisti in un vortice di intrighi che si sovrappongono tra di loro. Varie fazioni si contendono il controllo della Città Dorata, ognuna con i suoi obiettivi. In ballo non c’è solo la sopravvivenza personale, ma le sorti dell’ordine sociale stesso della città.
The Primordial Shard
La seconda avventura del manuale parte sempre dalla Città Dorata, ma si avventura stavolta al di fuori dei suoi confini. I personaggi esplorano l’inospitale deserto di Drakha. Avventurandosi nel regno di Baastherox, il più forte combattente tra gli azhurma. L’unico che si dice sia stato in grado di affrontare Kadmos, che si è ritirato in una terra in cui soltanto i più forti riescono a sopravvivere.
In totale contrasto con The Voice of Dissent, The Primordial Shard pone i personaggi dinanzi a prove basate principalmente sulla prodezza fisica, in particolar modo sul combattimento. L’obiettivo dell’intera avventura è dimostrare il proprio valore, facendosi strada con la forza attraverso le avversità che Baastherox e i suoi seguaci pongono sul percorso. Un approccio classico, quasi “ignorante”, che può sempre però contare sulla solidità dell’ambientazione e sull’intensità dei momenti narrati.
Secrets of the Forge’s Core
Le Pianure di Ossidiana sono il regno di Dehrilya, signora della forgia. Nel ventre della Grande Volta, il vulcano che ha eletto a propria dimora, vengono prodotte le più mirabolanti opere di metallurgia di tutta Drakha. In una serie di cunicoli in cui la lava scorre viva e il rischio di essere sopraffatti dal calore è costante, viene lavorata la più grande minaccia alla vita dei non draghi. Le armi in Va’ra, il minerale in grado di risucchiare il Vaala, e quindi la forza vitale.
Secrets of the Forge’s Core è un’avventura di infiltrazione. Per quanto un approccio più diretto al combattimento sia sempre possibile, il modo migliore per conseguire l’obiettivo dei personaggi è quello di muoversi nell’ombra ed eludere i controlli. Certo menare le mani ogni tanto sarà inevitabile, ma il taglio dell’avventura è innegabilmente quello di un’infiltrazione per una “strike squad”.
The Hearts of Permutation
Kuxcoatl è tra gli azhurma il più interessato allo studio e alla conoscenza. Il suo reame è fiorente e rigoglioso, ma non per questo più ospitale degli altri. Ricco di insidie e trappole, come tutto ciò che è controllato dai draghi è fortemente nocivo per le altre forme di vita. Arcanista che vive la propria ricerca del sapere come una passione che sfocia nell’ossessione, Kuxcoatl ha riempito il proprio reame di tutto ciò che può essere rilevante ai fini delle proprie ricerche.
The Hearts of Permutation è dedicato agli amanti delle trappole e degli enigmi. Ripercorrendo gli schemi più classici dei dungeon, quest’avventura alterna fasi di combattimento ad altre in cui fermarsi a riflettere diventa necessario. E proprio quando i giocatori staranno pensando di essere finiti in una serie di trappole per topi fini a sé stesse, il filo rosso che lega tutte le avventure di Great Wyrms of Drakha ricompare.
To Be in the Shadows
Nixis è, tra tutti i draghi, quello che più si è distaccato dal concetto di vita stessa. Ossarium, una sorta di gigantesco cimitero a cielo aperto, è meno ospitale di molti altri luoghi di Drakha. E di conseguenza è diventato la meta ideale per alcuni profughi di Rhaava. Meno ambito dai draghi e dai dragonkin, è un posto migliore è per le altre forme di vita. Ma il potere di Nixis l’ha portato sulla strada della non-morte, e pensare che questo possa significare una vita tranquilla è una chimera.
To Be in the Shadows è una classica avventura horror per D&D5e, tanto da iniziare con un disclaimer che suggerisce di discuterne i contenuti in anticipo. Per evitare di urtare la sensibilità di qualche giocatore. In realtà i toni sono sicuramente horror, ma non al punto da essere disturbanti. Sicuramente è uno spunto che però permette di concentrarsi su un tipo di gioco un po’ diverso dal solito.
The Scent of Creeping Death
Rawraxxa, l’azhurma che controlla le Shrilling Sands, è il predatore apicale. Se Baastherox è il miglior combattente di Drakha, Rawraxxa non ha rivali nella caccia. E impone a tutto il suo “regno” la medesima spietata legge del più forte. Nelle Shrilling Sands conta una sola cosa: sopravvivere. Chi non riesce a soddisfare gli impossibili standard dei predatori diventa una preda. Le prede più deboli diventano semplicemente vittime sacrificali.
Tra tutte le avventure di Great Wyrms of Drakha, The Scent of Creeping Death è quella che più si affida alla pressione. I giocatori sono spinti a una folle corsa. Contro il tempo, contro gli avversari che li braccano, contro i propri istinti. Proprio questi diventeranno fondamentali nel corso dell’avventura. I personaggi potranno scegliere se resistervi o assecondarli; in entrambi i casi, l’impatto sulla conclusione sarà determinante.
The Crystal Haunts
Il signore delle arti e della bellezza di tutta Drakha, Sivax, ha trasformato il suo reame sotterraneo in un’accademia d’arte. I draghi della sua covata sperimentano sui più disparati materiali, non ultime le creature viventi; persino su sé stessi. In una regione che si articola come uno sterminato dungeon, le opere di Sivax e dei suoi accoliti prendono vita – o la tolgono.
L’ultima avventura presentata è incentrata su temi horror. Ma a differenza che in To Be in the Shadows, qui affrontiamo un senso di orrore differente, strisciante. Basata sull’inquietudine e sulla perversione, su una visione distorta della realtà che genera orrori, più che mostri in senso classico. Uno stile vagamente lovecraftiano, che richiede sicuramente più impegno da parte del DM, ma che va anche molto più in profondità. L’uso costante delle meccaniche per la Follia dice tutto quel che c’è da sapere.
Conclusioni della Recensione di Great Wyrms of Drakha
Andando a tirare le somme di questa recensione di Great Wyrms of Drakha, non se ne può parlare che bene. Un prodotto curatissimo in ogni dettaglio, un’aggiunta di valore anche soltanto dal punto di vista collezionistico. A rendere il tutto ancora più unico, l’uso di regole dedicate non soltanto per il mondo di Drakha, ma per ogni singola avventura, che modificano l’uso della magia in maniera significativa.
Lo scorrere del tempo sulla Luna Rossa, che vede luce e buio alternarsi nell’arco di settimane e non di giorni, permette di gestire drammaticità e pressione in maniera molto efficace. Il timing degli spostamenti diventa essenziale, ma il manuale mette a disposizione gli strumenti per sfruttarlo al meglio. Così come le meccaniche di affaticamento e la possibilità di ottenere Ispirazione assecondando la natura dell’azhurma nel cui territorio ci si sta spostando.
Se cercate avventure di alto livello, se siete amanti dei draghi che battezzano il 50% del gioco di ruolo più famoso del mondo, o se semplicemente volete aggiungere un volume di gran pregio alla vostra collezione, Great Wyrms of Drakha è consigliatissimo.
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Oggi vi proponiamo la nostra recensione di What Happened to Evy Ashwood. Innanzitutto vogliamo ringraziare Tove Lund Jorgensen ed Erik Jorgensen di Midnight Tower per averci messo a disposizione una copia di quest’avventura per D&D5e. La potete trovare su DriveThruRPG, sia in PDF a 7,50 $ (circa 6,50 €) che in versione cartacea, a 29,90 $ (poco più di 26 €). Se questa recensione dovesse entusiasmarvi particolarmente, potrete prendere in considerazione anche la versione premium.
What Happened to Evy Ashwood è un’avventura di 79 pagine, che propone al gruppo un’esperienza ispirata alle opere Lovecraftiane. Il manuale è piuttosto ricco, e forse trova il suo punto di forza proprio nel materiale accessorio e nel dettaglio dell’ambientazione, piuttosto che nell’avventura stessa.
Recensione del Manuale di What Happened to Evy Ashwood
Quest’avventura è sicuramente confezionata bene. Le pagine cercano di replicare un po’ il classico effetto da antico tomo arcano; l’impaginazione ricorda però molto quello tipico di D&D5e, semplificando una lettura già di per sé molto pratica; sia dal punto di vista della vera e propria leggibilità che da quello della consultazione.
Purtroppo la qualità del comparto artistico è un po’ incostante. La maggior parte delle illustrazioni è in realtà davvero ben fatta. Interessante la scelta di utilizzare materiale fotografico, rielaborato per non stonare con le atmosfere D&Desche dell’avventura. Il problema sono proprio i disegni. Soprattutto quando vanno a raffigurare le creature, fondamentali in un contesto del genere, sono piuttosto deludenti per la loro diversità. Un vero peccato, su un prodotto che per tutti gli altri aspetti risulta molto curato.
Struttura dell’Opera
Il volume è idealmente diviso in due parti. Le prime 41 pagine sono dedicate all’avventura e al materiale accessorio per condurla al meglio. La seconda metà del manuale è invece intitolata The Great Old One Compendium. Per gli appassionati della penna di H. P. Lovecraft, e più in generale della letteratura horror classica, questo titolo dice già tutto.
Per chi fosse meno pratico del lavoro del Solitario di Providence, basti sapere che What Happened to Evy Ashwood si ispira parzialmente alle figure dei Grandi Antichi. I personaggi risultano piccoli di fronte a minacce antiche e oscure che non appartengono al loro mondo. Nell’oscurità si nascondono orrori di dimensioni lontane. Rappresentano un pericolo non solo fisicamente, ma soprattutto perché capaci di portare la mente dei mortali alla follia con la loro sola presenza. Alle volte, con la loro sola esistenza.
Recensione della Trama di What Happened to Evy Ashwood
What Happened to Evy Ashwood è un manuale ricco di materiale utile e spunti coinvolgenti. Ironicamente è proprio l’avventura a non essere interessante come il resto. Mettiamo subito le cose in chiaro: è tutt’altro che brutta. Soprattutto si tratta di un’avventura per un gruppo di sesto livello, breve ma molto ben organizzata. Il lavoro di pianificazione che ha alle spalle è piuttosto evidente, e l’idea è gestita molto bene.
Purtroppo si tratta di un’avventura estremamente breve e lineare. Sono presenti indicazioni per adattarla a gruppi di qualsiasi livello, oltre che per modificare gli scontri in modo da ridurli al minimo o eliminarli completamente. In questo modo è possibile incentrare What Happened to Evy Ashwood esclusivamente su interpretazione e investigazione, approccio solitamente preponderante nei giochi di ruolo di ispirazione lovecraftiana.
Il pretesto dell’avventura è molto semplice, ma efficace. La nipote di un locandiere sembra essere scomparsa, e questi cerca qualcuno che raggiunga la vecchia torre in cui dimora, per scoprire cosa le sia accaduto. Tutti i PNG sono estremamente dettagliati, acquisiscono tridimensionalità molto facilmente. Gli eventi inspiegabili che possono accadere durante il viaggio sono coerenti con il tema dominante, gli incontri casuali perfetti per risvegliare il senso dell’orrore. Le scelte da prendere in game sono pochissime, ma hanno un forte impatto sull’esito dell’avventura, se non sull’intera campagna.
Un Manuale Che Funziona Meglio a… Ruoli Invertiti
Il “problema” principale di What Happened to Evy Ashwood è proprio che sembra essere un supporto a tutto il resto del materiale presentato nel manuale. Come se fosse un’avventura introduttiva che permette di sfruttarlo al meglio. E in effetti si tratta di un problema in senso lato, perché il volume funziona benissimo, se non per come viene presentato.
Il modo migliore per godersi What Happened to Evy Ashwood è pensarlo comeun supplemento che permetta di inserire elementi lovecraftiani in una campagna, con un’avventura a corredo. Così facendo si ha il setting di una cittadina decisamente particolare, Winterhold, in cui si svolge l’avventura. Accompagnato da PNG, organizzazioni, culti oscuri e oggetti magici potenti e gravati da maledizioni decisamente originali e in tema con il manuale; ma anche nuovi mostri, avversari, personaggi prefatti e ovviamente mappe, scaricabili anche da un link esterno indicato nel manuale. Segnalo inoltre una versione della scheda del personaggio completamente rieditata, per essere in tema con i toni dell’ambientazione.
Approcciata in questo modo, What Happened to Evy Ashwood diventa un’avventura estremamente godibile. Ottima per testare i temi approfonditi nel The Great Old One Compendium o per inserirli in una campagna più ampia. Homebrew, se preferite, ma anche restando in casa Midnight Tower, visto che il materiale non manca; What Happened to Evy Ashwood ha infatti molti riferimenti ad altri lavori di Tove Lund Jorgensen ed Erik Jorgensen. E fa da introduzione a Rise of the Ice Dragons Trilogy, un set di avventure più corpose che in questo manuale manuale vedono anche un piccolo teaser.
Considerazioni Finali della Recensione di What Happened to Ivy Ashwood
Al netto del fatto che l’avventura proposta sparisce rispetto al materiale accessorio presentato, What Happened to Evy Ashwood è un manuale davvero interessante. Non è pensato per portare il mito di Cthulhu all’interno di D&D5e; ci sono già altri manuali dedicati a questo. Ma permette di riproporre atmosfere ed elementi tipici del genere lovecraftiano, garantendo nuovi spessore, linfa e oscure profondità a campagne che vogliano discostarsi da un gioco di tipo più classico. Tutto questo senza tuttavia snaturare il gioco di base.
Nel complesso si tratta di un lavoro perfettamente riuscito, che porta per mano il master per un paio di sedute, dandogli modo di assimilare una serie di strumenti utili a prolungare un’intera campagna. Forse non un must have per chiunque, ma per gli amanti del genere un manuale assolutamente consigliato.
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Oggi vi presentiamo la recensione di Ancestry & Culture, un bundle di moduli accessori per D&D5e pubblicato da Arcanist Press. Innanzitutto ringraziamo Eugene Marshall, l’autore, per averci messo a disposizione una copia digitale dei vari manuali che compongono il bundle. Li trovate in lingua inglese su Drivethrurpg al prezzo di 22,20$, poco meno di 20€.
Il bundle contiene Ancestry & Culture: An Alternative to Race in 5e, il primo manuale della serie. Cui fanno seguito i due manuali tematici Artic Ancestries, Cultures & More e Gothic Ancestries & Cultures. Assieme a Custom Ancestries & Cultures, More Ancestries & Cultures, il bundle è completato da schede del personaggio e da alcuni personaggi pregenerati secondo le regole contenute nei manuali.
Ovviamente si tratta di manuali che possono essere acquistati anche individualmente. In totale parliamo di 243 pagine di materiale. Il rapporto qualità prezzo è decisamente alto, soprattutto considerando che Ancestry & Culture: An Alternative to Race in 5e ha ottenuto il secondo posto agli Ennies Awards 2021., nelle categorie Best Electronic Book e Best Supplement. Considerando che i rivali erano del calibro di Brancaloniae MÖRK BORG: Feretory, parliamo di argenti che valgono quanto un oro.
Recensione di Ancestry & Culture Bundle: la Stirpe
Presupposto fondamentale di Ancestry & Culture è, come suggerisce il nome, l’eliminazione della “razza” dal gioco come opzione del personaggio. Per sostituirla con l’ancestry, la “stirpe”. La sfumatura diventa sottile, ma secondo Marshall sostanziale.
Innanzitutto, il termine razza si presta storicamente ad essere piegato a interpretazioni pericolose. Dalla razza al razzismoil passo è breve. E per quanto in alcuni paesi la percezione di questo problema possa essere differente, intervenire sul linguaggio è sempre un punto di partenza fondamentale. Il potere delle parole è quello delle idee, e noi che con le parole giochiamo lo sappiamo bene. Del resto non si tratta certo del primo gioco che sostituisce la “razza” con la “stirpe”.
Purtroppo il ragionamento viene indebolito nel tentativo di fare un passo oltre, sostenendo che siccome il termine “razza” non si applica alle etnie umane (vero) non è scientifico (falso, è solo usato impropriamente), e quindi non è adatto alle creature fantastiche umanoidi. Una forzatura logica. Eppure sarebbe bastato limitarsi a specificare che per, queste ultime, il termine “razza” non è opportuno, perché pensato per indicare le specie animali addomesticate (in estrema sintesi), e di nessun valore quando usato per supportare un pericoloso costrutto sociale.
Natura versus Cultura
Il secondo punto cardine di Ancestry & Culture è la classica divisione tra natura e cultura. In estrema sintesi: perché un nano cresciuto tra gli elfi dovrebbe eccellere nella lavorazione della pietra? I classici bonus “razziali” vengono quindi divisi in due: quelli di stirpe e quelli culturali. Se i primi sono legati alla biologia del personaggio, i secondi sono vincolati al contesto in cui è cresciuto. Un’ottima trovata che risolve un problema annoso, e permette di ampliare in maniera intelligente la personalizzazione del proprio personaggio.
Purtroppo anche in questo caso, alcune forzature indeboliscono un’idea altrimenti solidissima. Marshall cita la pluripremiata scrittrice N. K. Jemisin, che sostiene come gli orchi siano esseri umani disumanizzati, per alimentare la narrazione con avversari che possano essere uccisi con leggerezza. Un pensiero sicuramente interessante, che però Ancestry & Culture devia in un’accezione letterale: siccome gli orchi hanno questa funzione narrativa, sono come umani. Quindi tutte le stirpi sono meccanicamente umane.
Siamo Tutti Diversi ed È un Bene
La conseguenza di questo ragionamento è l’azzeramento dei modificatori di caratteristica razziale, che diventano culturali. L’ambiente in cui è cresciuto un orco lo renderà più forte perché lo spinge ad allenarsi, quello in cui è cresciuto uno gnomo lo spingerà a studiare e così via. Se l’interpretazione letterale di un pensiero che era ben più sofisticato sembra una premessa fallata, la conseguenza lo è coerentemente a sua volta. I modificatori razziali (in questo caso, di stirpe) dovrebbero essere a parità di condizioni, legati alla fisiologia del personaggio. Il modo in cui è stato cresciuto si riflette già nell’assegnazione dei punti alle caratteristiche in fase di creazione.
La dicotomia natura/cultura viene così banalizzata. L’obiettivo di esaltare la diversità finisce invece per impoverirne la ricchezza. E la regola opzionale che permette di creare la propria cultura ad hoc finisce per diventare solo uno strumento diottimizzazione. Peccato, perché anche in questo caso un’ottima intuizione viene sminuita, e il ragionamento encomiabile di fondo reso solo più attaccabile. Peraltro difficile da far quadrare con un approccio a D&D5e che parta già di suo con più maturità sul tema della diversità.
Recensione del Materiale di Ancestry & Culture Bundle
Al di là delle forzature logiche per rinforzare idee che non ne avevano assolutamente bisogno, Ancestry & Culture è un bundle ricco dimateriale utile. I cinque manuali traboccano di spunti e di opzioni per i personaggi. Purtroppo la qualità delle illustrazioni è molto altalenante. Alcune sono magnifiche, altre meno; un paio non adeguate al livello del prodotto. L’aspetto grafico è però molto curato, leggibile e con richiami allo stile di D&D5e sufficienti a far sentire il lettore sempre “a casa”.
Il Punto di Partenza
Ancestry & Culture: An Alternative to Race in 5e è il modulo da cui sono nati tutti gli altri. Contiene gran parte dei ragionamenti discussi sopra, e presenta i fondamenti dell’opera. Il manuale presenta quindi le stirpi e le culture equivalenti alle razze base del Manuale del Giocatore di D&D5e. Aggiunge inoltre le regole per fondere due stirpi diverse, estendendo la possibilità di creare mezzosangue a tutte le stirpi, e per creare una cultura personalizzata.
Concludono il manuale due brevissime avventure, risolvibili ognuna in una sessione. Avventure in cui ovviamente si applicano le regole di Ancestry & Culture, mediamente godibili. Onestamente, viste le tematiche trattate e le motivazioni date, sarebbe stato lecito aspettarsi qualcosa di più. Invece il tema della collaborazione tra stirpi rimane molto fine a sé stesso; in particolare nella prima avventura, Light of Unity, diventa solo una connotazione estetica. Lo si nota meglio in Helping Hands, ma rimangono spunti nella media, decisamente non in linea con gli standard del manuale.
Recensione di Ancestry & Culture Bundle: Creature Glaciali e Incubi
Gothic Ancestries & Cultures e Artic Ancestries, Cultures & More sono forse i prodottipiù interessantidel bundle. Seguendo le regole presentate nel manuale principale, questi due moduli propongono una serie di stirpi e di relative culture tematiche. Ovviamente nel primo caso il riferimento è a creature tipiche del folklore gotico e dei classici racconti del terrore. Nel secondo invece si tratta di stirpi adatte a prosperare in ambienti glaciali.
Oltre alle meccaniche di stirpe e cultura, in questi due moduli sono presentati anche oggetti magici ed equipaggiamento dedicato, oltre a creature mostruose a tema. Di particolare rilievo l’Eldritch Thing, presente in entrambi i volumi, un palese omaggio a La Cosa resa famosa sul grande schermo da John Carpenter. In Artic Ancestries, Cultures & Morec’è anche un breviario diregole specifiche per gli ambienti dalle temperature estremamente rigide.
Se proprio si vuole trovare un difetto a questi due manuali, è il poco spazio per il background. Le culture proposte in Ancestry & Culture: An Alternative to Race in 5e, forti del Manuale del Giocatore di D&D5e, non hanno bisogno di particolari descrizioni. Avere qualche riga in più su quelle proposte in questi due moduli aggiunti sarebbe stato gradevole.
Una Vasta Scelta
Completano il tutto More Ancestries & Cultures e Custom Ancestries & Cultures. Laddove gli altri manuali del bundle puntano tutto sulla qualità, qui a farla da padrona è la quantità. Gli altri manuali, sommati tra di loro, presentano 36 diverse stirpi e relative culture. More Ancestries & Cultures ne riporta 44, Custom Ancestries & Cultures ben 62.
Va notato che non poche stirpi di questi due manuali sono ripetute anche nelle loro controparti gotica e artica. E sicuramente altre sono decisamente più sciatte: in molti casi, si tratta semplicemente di animali antropomorfi, in alcuni casi anche ripetuti con cambiamenti più che altro di sfumature.
Tra i due, Custom Ancestries & Cultures risulta quello con maggior attrattiva; anche perché le varie stirpi e relative culture sono state spesso “richieste” dai backer del progetto, sopperendo a una naturale crisi d’inventiva a lungo andare. Particolarmente interessanti i Couatl Folk e i Re-forged; più che per il design, per il processo che ha portato l’autore a confrontarsi con creature estrapolate da specifiche culture, e con altre vittime di menomazioni. Per evitare appropriazioni culturali e incoerenze, Marshall si è infatti direttamente confrontato con chi aveva esperienze dirette.
Conclusioni della Recensione di Ancestry & Culture Bundle
Volendo trarre qualche conclusione, il bundle di Ancestry & Culture è sicuramenteinteressante. Da un lato offre riflessioni cui non ci si può più fingere sordi, cui tutti siamo chiamati con urgenza crescente. Dall’altro mette a disposizione di Master e giocatori un numero di risorse e opzioni davvero notevole. Difficile sfogliare uno di questi manuali senza trovare qualcosa di interessante, che si cerchino opzioni di personalizzazione o spunti su cui costruire un personaggio.
I manuali sonolontani dall’essere privi di difetti. Le riflessioni vengono impoverite da alcune forzature logiche fatte passare per assunti, e il design di non poche stirpi è stato pigro. Quest’ultimo fattore è anche trascurabile, vista la mole di stirpi e culture sviluppata. Gli artwork sono molto, molto incostanti, pur se con picchi notevoli. In generale, a tratti sembra che l’autore voglia che il messaggio prenda il sopravvento sul contenuto. Non trattandosi di un saggio, il rischio di diventare didascalico è in agguato ad ogni pagina.
Ma alla fine, quello che conta è che il materiale prodotto è davvero buono. Dividere i tratti naturali da quelli culturali è un’opportunità enorme sia dal punto di vista delle meccaniche che proprio concettualmente. Un miglioramento non da poco che permette di portare il gioco a un livello superiore.
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Oggi vogliamo presentarvi l’analisi delquickstart di RAYN, il nuovo progetto di Aristea. Ringraziamo Dario Leccacorvi e Andrea Tupac Mollica, gli autori, per avercene inviato una copia digitale. Potete scaricarla gratuitamente dal sito ufficiale di Aristea. Se poi il quickstart RAYN dovesse incuriosirvi particolarmente, potete acquistarne anche una copia stampata, con la quale riceverete anche quindici carte da utilizzare nel corso del gioco.
Di Cosa Parliamo?
Entriamo ora nel vivo di questa anteprima del quickstarter di RAYN. Tanto per cominciare, di cosa si tratta? Parliamo di un gioco di ruolo dalle meccaniche rapide e intuitivedi remota ispirazione al movimento OSR, ma con una freschezza sicuramente di respiro più moderno. Gli autori lo definiscono un esoteric fantasy. E in effetti la definizione è perfettamente calzante.
Fortemente improntato all’interpretazione e alla narrazione, RAYN porta il nome del mondo di gioco stesso. Un mondo in cui i personaggi non si limitano ad accumulare esperienza, in cui andare all’avventura significa compiere un viaggio iniziatico. Un gioco in cui scoprire le verità più profonde sul tessuto stesso della realtà significa al tempo stesso scoprire qualcosa di nuovo su sé stessi.
L’Ambientazione di RAYN
“La Luce guardò dentro di sé e vide la Tenebra; dall’orrore che ne provò, nacque l’Abisso.”
Così viene presentato RAYN, un gioco in cui i protagonisti devono camminare sul confine sottile tra l’influenza e l’affinità con tre grandi principi. La Luce, ideale di libertà, automiglioramento e conoscenza che illumina i passi delle Genti, gli esseri umani. La Tenebra, principio di vincolo di sangue, gerarchia e sapere esoterico, da sempre cardine degli Antichi che anticamente tenevano le Genti in schiavitù. E l’Abisso, anarchia pura, individualismo ed emozione, che alimentano gli Spiriti che vivono oltre la realtà materiale.
Sono passati ormai secoli da quando le Genti hanno spezzato il giogo degli Antichi, e si sono affrancati dalla schiavitù cui erano ridotti nelle loro città sotterranee. Ma il bene e il male non hanno distinzioni nette, in RAYN. La Tenebra non è il male, così come non tutti gli Antichi, creature del mito, sono ostili. Così come la Luce non rappresenta il bene in maniera scontata: l’umanità ha sperimentato ogni forma di governo, dalla più illuminata alla più tirannica. Passando per ogni ambigua sfumatura.
Il quickstart di RAYN promette un’esperienza di gioco profonda, che permette di esplorare la moralità dei personaggi. Mettendoli davanti a dilemminon scontati, e soprattutto tenendo traccia del modo in cui le loro scelte li fanno evolvere. Ogni decisione rilevante li avvicinerà un po’ di più alla Luce, alla Tenebra o all’Abisso. Fino a far spezzare loro i Sigilli, soglie oltre le quali lo spirito riceve una sorta di Epifania, permettendo di passare a uno stato diconsapevolezza superiore. Con ovvie capacità annesse.
Le Meccaniche di Gioco
Come anticipato, il sistema di gioco di RAYN è molto semplice, pensato per avere un impatto in gioco senza rubare tempo alla narrazione. I personaggi hanno tre Abilità: Valore, Saggezza e Astuzia. Che corrispondono un po’ alle caratteristiche di altri giochi, ma vanno intese in senso più generale. Ad esempio una prova di Valore potrà riguardare sia il combattimento vero e proprio, quanto la tattica o il tentativo di esaltare un gruppo di soldati. Le tre Abilità definiscono quindi l’ambito dell’azione, più che il modo in cui viene affrontata. Inizialmente si distribuiscono 21 punti tra le Abilità, e 30 tra Energie Fisicheed Energie Mentali, ovvero la capacità di resistenza ai traumi del personaggio.
Per superare la prova si tirano due dadi a 6 facce: un risultato pari o inferiore all’Abilità utilizzata equivale a un successo. Per le azioni particolarmente difficili si tirano ulteriori dadi, fino a un massimo di 4. Interessante che le complicazioni esterne invece diano un modificatore diretto al risultato, permettendo di distinguere la difficoltà intrinseca di un’azione da quella dettata da altri fattori.
Ad arricchire ulteriormente i personaggi ci sono poi le Specializzazioni, che permettono di ottenere vantaggi su specifiche azioni, e i Retaggi hanno una funzione simile ma fanno riferimento al vissuto del personaggio. Ovviamente il gioco prevede ulteriori sfumature, e altre ancora vengono annunciate per la versione definitiva del manuale.
Analisi del Quickstart di RAYN: Magia…
Menzione a parte merita la magia, che può essere approcciata in molti modi differenti.
La Magia Rituale permette di interferire con il mondo degli Spiriti, manipolandoli e cercando di piegarne la volontà. Prima che siano loro a farlo. La Iatromanzia si concentra sulla protezione, e sul limitare proprio l’influsso degli Spiriti sul nostro mondo, secondo le vie della Luce. La Goezia è invece affine alla Tenebra, e li sfrutta per i suoi effetti malevoli. La Stregoneria è più simile a una pratica imbastardita delle due, riti volgari e impreparati da streghe di villaggio. Chiunque può compiere un rituale, ma solo chi ha l’adeguata Specializzazione può assicurare che il suo fallimento non degeneri in qualcosa di rischioso.
ISuoni Ancestrali sono invece sillabe dotate di potere arcano, in grado di scatenare effetti sovrannaturali. Anche questi divisi in gruppi a seconda del principio cui sono più affini, possono essere combinati tra di loro per intessere parole di potere. Un Suono Ancestrale non può essere banalmente memorizzato. Per invocarne il potere la sua natura esoterica va interiorizzata e decifrata, e persino il modo in cui viene pronunciato richiede una certa preparazione.
… e Dintorni
Le Opere Technite non sono vera e propria magia. Ma la tecnologia degli Antichiche sfruttano è talmente sofisticata e potente che sembrano quasi replicarla. Un Technita deve possedere conoscenze che rivaleggiano con quelle di uno Iatromante, per poter piegare la tecnologia al proprio volere. Il sapere degli Antichi riesce addirittura a replicare la vita: i Creati e i Generati, macchine senzienti e organismi sintetici, sono l’apice del loro sapere.
Infine, l’Oniromanticapermette di orientarsi nel reame del sogno, una manifestazione del reame degli Spiriti dove la coscienza umana tende per natura a perdersi. Di più, un Oniromante sufficientemente potente può diventare un Viandante in grado di plasmare un’intera porzione di questo reame tra i mondi.
Considerazioni Generali sul Quickstart di RAYN
RAYN si presenta con dei punti di forza innegabili. Il primo a spiccare è il comparto artistico. Fabio Porfidia è oramai un patrimonio nazionale, ma Silvia Pasqualetto non gli è certo da meno. E oltre alle illustrazioni meravigliose, il lavoro grafico di Alessandro Pedarra e Luca Trentin per l’impaginazione è magistrale. Leggere una pagina equivale immediatamente a essere trasportato nell’ambientazione. Peraltro parliamo di 160 pagine, un quickstart davvero corposo.
L’ambientazione forse non brilla per originalità, ma non è certo facile prendere così tanti elementi e riuscire ad accorparli in un lavoro coerente e, soprattutto, che dia ispirazione. La lore di RAYN sembra uscire a viva forza dalle pagine. Interessante, coinvolgente, permette di esplorare l’esoteric fantasy promesso. Ogni scelta dei personaggi ha un peso oltre che un senso, ogni conseguenza permette di esplorare il mondo un po’ più a fondo.
Cosa Aspettarsi dal Quickstart di RAYN?
Certo questo è un quickstart, e c’è ancora del lavoro da fare. Il manuale ha bisogno di una fase diediting: le descrizioni si perdono in toni troppo alti quando, a mio avviso, dovrebbero essere più semplici; i testi di flavour rischiano di non essere abbastanza incisivi nella ricerca di una prosa adatta a testi di esoterismo.
Non sempre c’è una logica comprensibile nell’ordine in cui vengono spiegate le cose. La natura del Paredro, lo spirito tutelare del gruppo di personaggi, viene ad esempio illustrata solo svariate pagine dopo che questo viene nominato. E l’avventura introduttiva, Il Lugubre Canto della Notte, è sicuramente utile per esplorare le meccaniche; un po’ meno per dare spazio all’esplorazione dei temi che il gioco propone.
Ma questo è un quickstart, ed è appunto solo un assaggio. Il proverbiale meglio deve ancora venire, e c’è una succosa pagina di anticipazioni nel volume. Tra cui un sistema di conversione anche per D&D5e. Il compito di quest’anteprima di RAYN è stuzzicare la curiositàcon una prima prova, e porta il suo compito egregiamente a termine!
Oggi vi proponiamo la recensione de La Piuma di Aka’ayah, di cui vogliamo ringraziare l’autore Leonardo Benucci per averci inviato una copia in PDF. Si tratta di un’avventura autoconclusiva per D&D5e, adatta a 4-6 personaggi di quinto livello. La potete trovare in formato digitale su DMsGuild al prezzo di 4,99 $, poco più di 4€.
Potete anche leggere la nostra recensione di Prima Avventura, precedente lavoro di Benucci.
Cos’è La Piuma di Aka’ayah
La Piuma di Aka’ayah è un’avventura che si propone di far vivere emozioni piuttosto ambiziose a personaggi di quinto livello; in grado quindi di fronteggiare minacce importanti, ma non ancora su larghissima scala. Lo fa con alcuni espedienti narrativi che permettono ai PG di ficcare il naso nelle proverbiali faccende più grandi di loro. Ha inoltre la peculiarità di essere un’avventura “a tempo”; vedremo più avanti di cosa si tratta.
L’avventura ha toni “blandamente horror“, riprendendo la definizione dell’autore. La citazione alla saga di Nightmaree al suo protagonista Freddy Krueger è piuttosto evidente, anche se non dichiarata esplicitamente. L’autore stesso precisa tuttavia di adattare la narrazione alle esigenze del gruppo, anche se non dà alcuna indicazione su come farlo.
Il Manuale
Nelle sue 57 pagine a colori, La Piuma di Aka’ayah contiene illustrazioni piuttosto apprezzabili (come potete vedere da quelle incluse in questa recensione), inaspettate per un prodotto di questa fascia di prezzo.
Purtroppo non si può dire altrettanto dell’impaginazione del volume. Il layout è stato pensato per essere a tema con l’avventura, cosa positiva; ma lo fa purtroppo a discapito della leggibilità. Anche il font utilizzato per i titoli poteva essere scelto con un maggior riguardo per l’occhio del lettore. Si tratta però di un dettaglio marginale. Lo sfondo delle pagine è invece per forza di cosa onnipresente, facendo risultare spesso pesante la lettura.
Per il resto, l’avventura segue grossomodo il tipico schema di impaginazione di D&D5e. Cosa che garantisce praticità di lettura e rapidità di consultazione.
Esploriamo La Piuma di Aka’ayah
“Alcuni luoghi non dovrebbero mai essere disturbati”
Questo è il sottotitolo dato a La Piuma di Aka’ayah. L’avventura, ridotta all’osso, ha uno svolgimento molto classico. I personaggi ricevono da un PNG l’incarico di recuperare per lui un oggetto incantato e vengono teletrasportati nella remota località in cui poterlo trovare. Come sempre le nostre recensioni sono spoiler free, quindi ci fermiamo qui.
Ci limitiamo ad accennare al fatto che il classico dungeon che dà il nome al gioco più famoso del mondo qui è “scomposto”. Ogni stanza, con le avversità che presenta, è presentata singolarmente. Saranno i giocatori a scegliere la sequenza con cui affrontare le varie sfide proposte. Alla fine del volume è presente anche un piccolo compendio delle creature originali incontrate.
Lo spunto sicuramente originale offerto da La Piuma di Aka’ayah è, come accennato in precedenza in questa recensione, l’essere un’avventura “a tempo”. Una volta che i pg sono arrivati a destinazione, l’autore consiglia di far partire un timer di quattro ore, il tempo in cui è previsto possa essere risolta l’avventura. Scaduto il tempo non sarà possibile continuare, che il compito sia stato portato a termine o meno.
Sul Piatto della Bilancia
Purtroppo proprio l’elemento del count down non funziona troppo bene. L’avventura è pensata per svolgersi in maniera piuttosto articolata, alternando varie fasi e varie scene. L’autore consiglia di approcciarvisi con uno stile interpretativo, rimarcando la cosa al punto tale da chiedersi anche perché abbia scelto proprio D&D e non un sistema dedicato. In generale, un gruppo che abbia davvero voglia di interpretare molto sarebbe particolarmente svantaggiato dal conto alla rovescia. Anche solo l’eventualità che il gruppo si divida rende l’idea del cronometro quantomeno scomoda.
Peraltro l’autore parla di combattimenti in “stile Benucci“. L’autoreferenzialità è un difetto piuttosto diffuso in La Piuma di Aka’ahya. A mio avviso non è piacevole avvertire la presenza dell’autore in maniera così intrusiva dietro le note. Ma decantare uno stile in cui
“il combattimento […] deve essere divertente, diverso, mai banale, e soprattutto il 90% delle volte deve essere evitabile”
crea delle aspettative nel lettore. I personaggi, di fatto, si ritroveranno invece davanti a una serie di sfide tutto sommato abbastanza convenzionali. Sicuramente è possibile (e anzi consigliato) avere un approccio più investigativo che di combattimento aperto, ma non si tratta di nulla di particolarmente originale o innovativo. Peraltro gli indizi spesso sono prevedibili o, al contrario, hanno senso solo a posteriori. In ogni caso il problema non si pone: non seguendo i vari dungeon un ordine predeterminato, può capitare di non avere neanche la possibilità di scoprirli.
Troppi Errori
Un altro elemento originale de La Piuma di Aka’ayah che voglio analizzare in questa recensione sono le “opzioni diaboliche“. Complicazioni gratuite che il Dungeon Master può decidere di adottare per rendere la vita più difficile ai suoi giocatori. Va detto che per lo più si tratta di misure gratuitamente punitive che non apportano nulla di interessante al gioco. Certo non gli elementi dello “stile Benucci” promesso in precedenza. Stesso discorso vale per alcuni eventi più o meno randomici che possono avverarsi o meno, a seconda del comportamento dei personaggi. Diversivi davvero poco utili, inseriti solamente per rendere più pressante, ma anche più complesso da gestire, il conto alla rovescia.
In generale, La Piuma di Aka’ayah è un’avventura piuttosto pretenziosa che, nel tentativo di darsi un tocco di originalità, finisce per collassare su sé stessa. Si nota moltissimo l’assenza di una fase di editing nel prodotto finale: gli errori sono frequenti quanto i refusi; le descrizioni sono inutilmente ampollose e i dialoghi hanno un tono particolarmente artificioso.
È comprensibile la volontà dell’autore di utilizzare molte similitudini per rendere la narrazione più efficace, ma ascoltare passaggi come
“il protoplasma fuoriesce come se fosse pasta fatta in casa estrusa da una trafilatrice”
richiede davvero troppa concentrazione da parte del giocatore. Non perché complessi, ma perché purtroppo esilaranti.
Conclusioni della Recensione de La Piuma di Aka’ayah
Un buon editor, o un gruppo di lettura scrupoloso, avrebbero anche sottolineato un’ulteriore mancanza. Presentare due nuove divinità e proporle come possibili spunti futuri implica fornire informazioni di gioco, non solo descrittive. Quanto meno ne andrebbero indicati allineamento e domini, cosa che non avviene. Certo il suggerimento di una colonna sonora ad hoc è una bella attenzione. Sarebbe però stato meglio dedicare prima qualche riga alla conversione dell’avventura per personaggi di livello diverso da quello proposto; limitarsi a scrivere che la conversione è possibile non è molto utile al master.
A dispetto di un ampio numero di playtester e di buoni risultati di vendita, La Piuma di Aka’ahya è un’avventura che vuole essere ambiziosa e finisce per essere pretenziosa. Purtroppo, al momento della valutazione la bilancia finisce per pendere più verso il piatto dei difetti che verso quello dei pregi.
Se avete apprezzato questa recensione de La Piuma di Aka’ayah, continuate a seguirci per altri contenuti per D&D5e!
Oggi abbiamo il piacere di presentarvi la recensione di Quest Spells & Other Divine Magic, un modulo di espansione per D&D5e.
Innanzitutto vogliamo ringraziare gli autori per avercene fatto provare una copia digitale. Marco Bertini e Daniel Chivers, Art Director e Art Consultant, sono nostre vecchie conoscenze. Se Underwater Campaigns, The Complete Hag, Down the Garden Path o The Complete NPC non vi dicono nulla, recuperatene le nostre recensioni, e poi gli utilissimi manuali. Anche del Lead Designer, Marco Fossati, abbiamo avuto modo di scrivere in passato. Potete trovare una recensione del suo Acererak’s Guide to Lichdom sul nostro sito.
Quest Spells & Other Divine Magic è disponibile su DMs Guild, al prezzo di 3.95 $, circa 3.50 €. Un volume digitale di 24 pagine, con un rapporto qualità prezzo altissimo. Andiamo a scoprire meglio di cosa si tratta.
Recensione di Quest Spells & Other Divine Magic: il Volume
Come anticipato, il manuale è piuttosto snello e pratico. Presenta quaranta nuovi incantesimi, raggruppati in due categorie: le “quest spell” e le “cooperative spell”.
Quest Spells & Other Divine Magic è stato realizzato con Homebrewery, tool online open source di cui non si parlerà mai abbastanza bene. Con pochi accorgimenti, permette di dare un tocco estremamente professionale al proprio materiale. Ed è quel che hanno realizzato gli autori, sfruttandone al massimo le potenzialità. Il manuale ha infatti l’impaginazione e la struttura tipica dei materiali ufficiali prodotti per D&D5e, cosa che ne rende la consultazione pratica e intuitiva. Al tempo stesso però non manca di una certa personalità, uno stile non invadente ma che gli conferisce una sua identità.
Come molti lavori in vendita su DMs Guild, Quest Spells & Other Divine Magic si avvale di immagini di stock della Wizards of the Coast. Cosa che se da un lato lascia di tanto in tanto un effetto di deja vu, allo stesso tempo offre la possibilità di utilizzare illustrazioni di professionisti dal tratto ormai iconico pur mantenendo il prezzo del volume basso. E non si può negare che siano state selezionate in modo da avere un forte impatto sulla pagina.
Quest Spells…
Veniamo al sodo di questa recensione di Quest Spells & Other Divine Magic: cosa troviamo all’interno del manuale?
“Un incantesimo può essere un puro atto di volontà, un’antica forza della natura o semplicemente il Verbo di un dio. In fin dei conti non è davvero importante, finché compie il proprio scopo.”
Le Quest Spell sono incantesimi che vanno ampiamente oltre i normali limiti di D&D5e. Vengono infatti concessi direttamente da una divinità, perché un servitore compia la sua volontà. Sono per questo solitamente riservati ai Chierici, ma in casi eccezionali possono essere estesi anche ad altri incantatori divini. In casi particolarmente eccezionali, perché certo le Quest Spell non vanno utilizzate con frequenza.
Il manuale presenta le regole e le restrizioni necessarie a memorizzare e lanciare una Quest Spell. Inoltre una serie di tabelle permette di ricostruire in maniera casuale quello che può avere spinto una divinità a concederla a un suo servitore. Seguono ben ventidue Quest Spell, appartenenti a varie scuole di magia e affini a vari domini.
Il punto forte delle Quest Spell è la possibilità di “mettere in scena” eventi archetipici dell’epic fantasy senza dover forzare le regole. Un incantesimo come Implosion, ad esempio, permette di invertire la struttura molecolare di una creatura, facendone appunto implodere il corpo senza possibilità di scampo. Un castigo divino di rara portata, come Undead Plague, che permette di rianimare come non morti tutti i cadaveri nel raggio di un miglio.
… e Cooperative Magic
Al contrario delle Quest Spell, la Cooperative Magic non è un dono calato dall’alto da un dio al suo sacerdote. Come suggerisce il nome, è invece il frutto dell’unione di più membri del suo cleroche si concentrano su un obiettivo comune.
Lanciare una Cooperative Spell funziona un po’ comepotenziare un incantesimo. Ma anziché per slot di livello più alto, il suo effetto sarà amplificato dal numero di incantatori divini che partecipano al suo lancio. Una meccanica semplice, forse non originalissima ma trasposta con particolare efficacia nel regolamento di D&D5e.
Diciotto incantesimi, tabelle casuali per il reclutamento di altri sacerdoti ed eventuali complicazioni. E soprattutto la possibilità di giocare un gruppo di incantatori che unisce le forze per bandire un immondo con Great Circle. O che abbatte una roccaforte di miscredenti lanciando Raze.
Recensione di Quest Spells & Other Divine Magic: Conclusioni
Quest Spells & Other Divine Magic è un volumetto in PDF compatto, che si legge in una mezz’orao poco più, ma che offre moltissimispunti. Gli incantesimi sono ben calibrati, le idee solide e visibilmente rodate. Sia per il nutrito gruppo di playtester, sia perché già ad una prima lettura risultano quadrate e funzionali.
Se avete intenzione di proporre ai vostri giocatori missioni assegnate direttamente dalla loro divinità patrona, o volete fa provare loro la sensazione di muoversi all’interno di un clero con delle conseguenze anche meccaniche; o ancora se volete semplicemente aggiungereun tocco di divinoalle vostre campagne, Quest Spells & Other Divine Magic è consigliatissimo. Una piccola chicca da non lasciarsi assolutamente sfuggire!
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Oggi abbiamo il piacere di presentarvi la recensione di The Red Opera: Last Days of the Warlock. Innanzitutto vogliamo ringraziare Apotheosis Studioe Jamison Stone, CEO e direttore creativo, per avercene inviato una copia. Si tratta di una campagna dal setting unico per D&D5e, firmata da Rick Heinz e con la supervisione artistica di David Granjo. Potete acquistarla sullo store ufficiale di Apotheosis Studio al prezzo di 59,95 $, poco più di 53 euro; la versione digitale costa 29,95 $, circa 26 euro.
Noi ci aspettavamo grandi cose già dall’anteprima che vi abbiamo proposto un po’ di tempo fa. Se The Red Opera: Last Days of the Warlock farà innamorare anche voi, potrete considerare l’acquisto anche dell’edizione con cofanetto. Oltre anche ad una serie di accessori, tra cui un set di miniature dedicate e una confezione di caffè prodotto da una cooperativa che combatte le disparità di genere in Indonesia. Chi ha detto che il gioco di ruolo non salverà il mondo?
Recensione del Manuale di The Red Opera: Last Days of the Warlock
Partiamo da un assunto: questo manuale è monumentale. 320 pagine fittissime di contenuti, con un lavoro di grafica e impaginazione semplicemente perfetto. Il volume richiama un tomo proibito, perfettamente in tema con la storia che propone ma senza affaticare gli occhi. Talmente ricco da sembrare quasi difficile da affrontare, ma la lettura è scorrevole e il tono della scrittura perfetto per mantenere l’atmosfera.
Unico neo in quello che è in ogni caso un manuale che non sfigura nelle collezioni più ambiziose, gli artwork. Di livello altissimo, per carità, ma realizzate con uno stile da “computer grafica” che cozza un po’ con lo stile dell’intero volume. A riprova di questo, le illustrazioni non a pagina intera, stessa mano ma stile da bozzetto, sono molto più efficaci. Meglio integrate nel volume, magari meno d’effetto se prese singolarmente, riescono però a creare un racconto pagina dopo pagina.
Ma quello che rende davvero unico The Red Opera: Last Days of the Warlock è ovviamente il contenuto. Una via di mezzo tra un’avventura molto ampia e una campagna breve, o un segmento importante di una campagna più grande. Da cui è possibile ricavare un intero setting che, con un po’ di lavoro, potrà ospitare altre campagne o essere integrato in altre ambientazioni.
Di Cosa Parliamo?
Più che ogni altra cosa, la storia proposta da The Red Opera: Last Days of the Warlock è intensa, animata da grandi passioni. Pensata per personaggi di livello medio alto, può essere adattata a gruppi di qualsiasi tier. Non aspettatevi però guide estremamente dettagliate e conversioni ad ogni capitolo. Questa campagna ha un’impronta fortemente narrativa, e anche le soluzioni di questo tipo prendono la stessa direzione. Un avversario depotenziato sarà già ferito, o dietro al suo schermo il DM si assicurerà che i suoi colpi manchino il bersaglio più spesso del dovuto; la sua scheda non andrà però ritoccata.
L’importante è che si mantenga la trama proceda con fluidità. Certo, stiamo parlando di una campagna che propone dieci capitoli, ognuno diviso in tre atti; e una “side quest” alla conclusione di ogni capitolo. Il materiale per giocare è tanto, e padroneggiarlo richiederà un lungo lavoro. Anche in prospettiva, perché più volte nel corso del gioco i personaggi avranno l’opportunità di fare scelte che si ripercuoteranno sul loro futuro. Ma si tratta di un lavoro appagante, che dà i suoi frutti. Come anticipato, The Red Opera: Last Days of the Warlock pone l’accento sul gioco interpretativo, sulle decisioni e sulla passione dei personaggi, giocanti e non.
Certo non mancano però i modi per aggiungere pepe alla narrazione. I combattimenti sono ricchi, e soprattutto hanno sempre una funzione drammatica. La diplomazia e l’intrigo la fanno da padroni, ma anche la fase di esplorazione trova il suo spazio. Certo si tratta di una campagna prettamente urbana, ma quali scoperte e imprevisti possono riservare i vicoli?
Recensione dell’Ambientazione di The Red Opera: Last Days of the Warlock
“Senza le tue divinità, cosa ti distingue dagli animali?”
Con queste parole viene introdotto The Red Opera: Last Days of the Warlock. La premessa narrativa è intrigante. Nelle terre delle Shadelands i confini tra i mondi sono particolarmente labili. Questo rende molto più forte l’influenza dei Patroni e, di conseguenza, il loro rapporto con i Warlock, da cui il titolo dell’opera. In un mondo dominato dal potere concesso dalle divinità e dal potenziale della magia arcana, i Warlock si sono costruiti un piccolo regno felice. Dove i confini tra i piani sfumano, e le bizzarrie sovrannaturali abbondano ad ogni angolo di strada.
Nel manuale viene descritta la doppia città di Yon-Cath, parziale fusione delle città nate sulle due sponde del fiume Obsidian Rush. Dopo una prima panoramica, località, gilde, fazioni e png di rilievo vengono presentati man mano che la narrazione si allarga fino a coinvolgerli. Solo un’eccezione, i quattro png chiave che daranno vita all’intreccio con le loro motivazioni e le loro passioni. Dorian, l’Accursed King, colui che ha reso le Shadelands ciò che sono oggi. Fayte, la Shield Maiden, l’anima della doppia città, la sua figlia prediletta. LaCroix, il Knight Captain, pronto a farsi carico della volontà del popolo. E la misteriosa figura di Majin.
Come sempre, le nostre recensioni sono prive di spoiler. Non vi toglieremo il piacere di scoprire personalmente come si articola la storia di The Red Opera: Last Days of the Warlock. Possiamo però anticiparvi che troverete storie tormentate e anime fiammeggianti, affrontando un mercato che probabilmente i vostri personaggi non hanno mai sondato prima: quello in cui si ottiene il favore dei patroni.
Strumenti e Risorse
A livello di meccaniche, The Red Opera: Last Days of the Warlock offre un discreto numero di soluzioni. Tra le opzioni per i personaggi ci sono due nuovi background, per i pg autoctoni delle Shadelands e di Yon-Cath, e cinque nuove sottoclassi per Warlock. Sempre per Warlock ci sono due nuovi doni del patto, nuove invocazioni e tre patroni nuovi di zecca. Per tutti i pg sono invece disponibili due nuove razze giocabili.
I Glau’bjurn appartengono a una stirpe elfica strettamente legata alla natura delle Shadelands e alla Danza Elementale, il turbinio di energie dei Patroni che confluisce nella regione. Sviluppano abilità, tratti somatici e caratteriali in sintonia con la stagione dell’anno in cui sono nati. I Kaldenking sono invece umanoidi dall’aspetto di orsi, dalla mentalità aperta e abituati a perseguire obiettivi comunitari. Da sempre residenti nelle Shadelands, hanno sviluppato una cultura estremamente cosmopolita.
Col dipanarsi della trama, vengono aggiunti altri strumenti, per lo più a disposizione del DM. Principalmente si tratta di schede di creature o di PNG. Non mancano però oggetti magici, spesso anche piuttosto potenti: è bene ricordare che The Red Opera: the Last Days of the Warlock è di base pensata per personaggi di alto livello. Divertenti le regole per svolgere in game svariati giochi d’azzardo, e la regola della “lettera a casa” darà una seconda possibilità ai personaggi in punto di morte.
Un Gioco Unico
Oltre alle meccaniche e agli elementi narrativi, questa campagna per D&D5e presenta altri elementi di rilievo che sicuramente meritano una menzione. Tanto per cominciare c’è la contaminazione musicale. L’ispirazione all’album metal dei DiAmorte, The Red Opera, è dichiarata anche ben oltre il titolo. Ad ogni atto è infatti disponibile un QR Code che, se inquadrato, riporterà al brano della versione orchestrale dell’album che più si addice a fare da colonna sonora per quello specifico momento.
Merita inoltre particolare attenzione il rilievo dato alla figura del Warlock, una classe molto popolare presso i giocatori. Ma non per questo semplice. I Warlock vivono di potere preso in prestito, suscettibili ai capricci dei loro Patroni, schiacciati tra i più “semplici” incantatori arcani e divini. Eppure al tempo stesso intrecciati in un rapporto diretto con entità ultraterrene, non divine ma troppo oltre la sfera mortale. Un approfondimento unico nel suo genere. Al punto che a tratti farebbe venire voglia di un sistema slegato da D&D5e, che pur nella sua versatilità risulta molto stretto a una campagna così incentrata sulla narrazione. Un difetto tutt’altro che rilevante, considerando che il fulcro di The Red Opera: the Last Days of the Warlock è proprio una classe di D&D5e.
Una nota va dedicata anche all’inclusività. Questa campagna vi presta particolare attenzione. Personaggi non binari, o semplicemente al di là delle distinzioni del genere, hanno uno spazio agevole, anche laddove la trama non tocca la loro sessualità o identità. Una nota per i lettori italiani: “they”, in inglese, non indica solo la terza persona plurale, ma è anche una convenzione per indicare al singolare una persona che non si riconosca né nel genere maschile né in quello femminile. Tenetelo presente, soprattutto quando si parla di Majin.
Conclusioni della Recensione di The Red Opera: Last Days of the Warlock
Il modo migliore per definire un lavoro come The Red Opera: the Last Days of the Warlock è “ispirato”. La campagna ha dei temi portanti mai dimenticati, si pone degli obiettivi e li propone con costanza. Si tratta di tematiche di spessore, che andranno a definire l’intero stile di gioco lasciando al tempo stesso una libertà interpretativa enorme. Anzi, richiedendola come requisito: non è il tipo di campagna che potrebbe divertire giocatori dall’atteggiamento passivo.
Certo non è materiale facile da padroneggiare. L’opera è non solo vasta ma anche molto articolata, e il DM avrà molto lavoro da svolgere in fase di preparazione. Le scelte dei pg sono molte, mai scontate e avranno sempre delle conseguenze, anche se quelle in grado di rivoluzionare davvero gli eventi si concentrano sul finale della campagna. E ogni tanto il gioco propone degli scenari dagli orizzonti più ristretti, per permettere di mantenere la narrazione fluida. Inevitabile, per cercare di mantenere un binario nel lungo periodo.
In definitiva The Red Opera: the Last Days of the Warlock offre un gioco di spessore, che si differenzia da campagne e ambientazioni più leggere. Ma se amate l’interpretazione e la narrazione che prevalgono sul lato ludico, e se apprezzate le campagne che lasciano spazio a diplomazia e investigazione quanto al combattimento, c’è poco da dire. Questo è il gioco che fa per voi, e per la sua qualità è consigliatissimo.
Se ti è piaciuta questa recensione di The Red Opera: the Last Days of the Warlock, continua a seguirci per essere sempre aggiornato sulle novità per D&D5e!
Oggi vi presentiamo la recensione di Forbidden Lands. Vogliamo innanzitutto ringraziare Free League per averci messo a disposizione i PDF del core set per provarlo. Sullo store ufficiale trovate il Forbidden Lands Core Boxed Set a 398 corone, poco più di 39 euro. È disponibile un’ampia gamma di accessori per personalizzare ulteriormente le vostre sessioni.
Forbidden Lands non è un gioco qualsiasi. Uno sguardo al 2019: agli Ennie Awards si accaparra due ori (Best Production Values e Best Cartography) e due argenti (Best Rules e Product of the Year). Risultati importanti, per un gioco che è stato amato fin dal suo debutto sugli scaffali.
Recensione dei Volumi di Forbidden Lands
Di cosa parliamo? Forbidden Lands è un bundle di due manuali. Il Player’s Manual contiene tutto quello che può servire per una rapida immersione nel gioco. La Gamemaster’s Guide va più in profondità, dando al GM tutti gli strumenti per gestire il dietro le quinte del gioco. Nel Core Boxed Set troverete anche l’opuscolo Legends & Adventures. Ma soprattutto una mappa a colori con tanto di adesivi per personalizzarla. Vedremo tra un po’ a cosa servono.
Forbidden Lands è un gioco sospeso tra due mondi. Da un lato soddisfa molti dei requisiti dei giochi OSR, l’Old School Reinassance che punta nella direzione degli albori dei giochi di ruolo. Abbiamo quindi uno stile fortemente improntato sull’esplorazione, meccaniche asciutte, combattimenti letali e tante, tante tabelle per un elemento di forte casualità. Tutte tematiche molto care a chi ama la “vecchia scuola”.
L’Anello di Congiunzione
Dall’altro lato abbiamo soluzioni di game design molto innovative. Il motore è lo Year Zero Engine, che Free League ha lanciato appunto con Mutant: Year Zero. Ma che ha reso celebre con Vaesen, Alien, Coriolis e altri. Un sistema che con poche modifiche si adatta a qualsiasi ambientazione, severo ma non gratuitamente punitivo. E che con la meccanica dei “pushed roll” permette ai giocatori di sfidare la sorte, affrontando maggiori rischi pur di portare a termine l’azione.
Forbidden Lands fa da ponte tra vecchio e nuovo anche dal punto di vista artistico. Già dalla copertina richiama illustrazioni fantasy degli anni ’80, quello stile à la Frazetta, forse un po’ meno muscolare, per capirci. Gli artwork interni, in bianco e nero, richiamano quelli dei manuali dello stesso periodo. Volutamente retrò, mantengono però una certa plasticità che non li fa sembrare automaticamente “vecchi”. Un lavoro eccellente che richiama uno stile di gioco ben preciso, senza sembrare datato.
Recensione del Player’s Manual di Forbidden Lands
Il Player’s Manual si apre con una buona introduzione al gioco di ruolo, per poi andare subito ad approfondire le meccaniche. Forbidden Lands mette subito in chiaro le cose. Questo gioco non è pensato per interpretare eroi, ma esploratori, avventurieri in cerca di fortuna. Che siano disposti a rischiare quanto i loro giocatori. Inoltre non è un gioco che richieda una grande pianificazione; basta lasciare che l’avventura proceda, decidendo di volta in volta che tipo di sfide sottoporre al gruppo e lasciando che il dado e le apposite tabelle diano una forma.
Tratti distintivi dello Year Zero Enginesono infatti nella gestione del gioco. La mappa viene costruita man mano che si gioca, popolandola delle sfide preparate; a questo servono gli adesivi di cui vi parlavo. Ci sono inoltre le regole per la costruzione del quartier generale dei personaggi, un punto di riferimento al quale tornare tra un’avventura e l’altra.
Creazione del Personaggio
Il manuale prosegue quindi con le opzioni per il personaggio. Che sono piuttosto classiche.
Tra le razze (Kin) a disposizione ci sono umani, elfi, mezzelfi, nani, halfling, orchi e goblin. Lo “standard” dell’immaginario fantasy, con l’aggiunta dei wolfkin, umanoidi dalla testa di lupo e dagli istinti ferali.
Discorso analogo per le classi (Profession), che permettono di scegliere tra Druid, Fighter, Hunter, Minstrel, Rider, Rogue e Sorcerer; il primo e l’ultimo sono gli unici in grado di utilizzare la magia. Anche qui, nulla di più classico, se non forse per l’aggiunta del Peddler, il venditore ambulante.
Sia i Kin che le Profession permettono di accedere a dei talenti esclusivi, che si accompagnano a quelli più generici.
Meccaniche e Rischi
Il sistema su cui si muove lo Year Zero Engine è molto semplice. Si tira un pool di d6 pari alla somma dei punteggi di caratteristica (una tra Forza, Agilità, Intelletto ed Empatia) e abilità, più quelli dati dall’equipaggiamento. Ogni 6 è un successo, e solitamente ne è sufficiente uno per riuscire nella prova. Nel caso il risultato tirato non fosse sufficiente, si può usare il “push“. Si ritirano i dadi che non hanno ottenuto un 6 o un 1, ma in questo caso ogni asso infligge un danno alla caratteristica utilizzata.
Questo è un sistema che permette al giocatore di scegliere il destino del proprio personaggio, rischiando per ottenere maggior gloria. Da notare che proprio in questo modo si ottengono i punti Willpower, che permettono di utilizzare gli incantesimi, divisi per scuole di magia accessibili al Druid o al Sorcerer.
Le regole sono piuttosto ricche, soprattutto per il combattimento, ma mai confuse. Seguire lo svolgersi del gioco è molto semplice, e la consultazione in caso di vuoti di memoria molto pratica. Particolarmente importanti sono le tabelle dei critici, alla fine del manuale. Quando un punteggio di caratteristica raggiunge lo zero, il personaggio è “broken“. Se l’attributo è Forza o Intelletto, questo comporta appunto una ferita critica, che può avere anche conseguenze letali.
Recensione della Gamemaster’s Guide di Forbidden Lands
La Gamemaster’s Guide si concentra, come suggerisce il titolo, sugli aspetti che interessano la narrazione. Il capitolo introduttivo è ricco di suggerimenti, validi per qualsiasi gioco di ruolo ma in particolar modo per l’esperienza che Forbidden Lands vuole trasmettere.
Si passa quindi all’ambientazione. Nel Player’s Manual questa è volutamente tratteggiata per sommi capi. La blood mist, la foschia letale che si alzava ogni notte dal terreno, è scomparsa da pochissimo tempo, permettendo di nuovo di viaggiare. I personaggi fanno parte quindi della prima generazione di esploratori da lunghissimo tempo. Così si giustifica anche la pochissima conoscenza che i giocatori hanno dell’ambientazione.
Questo non vale ovviamente per il Game Master, che nella guida dedicata trova tutta la storia e i retroscena dell’ambientazione. Assieme a un approfondimento sulle varie divinità e sugli usi e costumi dei vari popoli giocabili e non (altri classici del fantasy), forniscono tutti gli strumenti per una cornice adeguata alle avventure del gruppo.
Una Tabella per ogni Occasione
La Gamemaster’s Guide prosegue con un pratico bestiario e un’immancabile sezione dedicata agli oggetti magici, qui chiamati artefatti. Le restanti 100 pagine sono interamente dedicate alla costruzione degli incontri e delle località, sfruttando una mole impressionante di tabelle che permette di affrontare una sessione di gioco con una preparazione davvero minima. Una vaga idea e qualche tiro di dado mettono ogni Game Master in condizioni di gestire l’avventura del giorno in maniera perfettamente soddisfacente.
Per chi volesse maggiore profondità vengono presentate tre avventure d’esempio. Tre località provviste di background, spunti d’avventura, PNG ed eventi significativi. Utili sia per avere qualcosa di pronto da giocare, sia per farsi un’idea di come vada gestito lo stile di gioco di Forbidden Lands.
Conclusioni della Recensione di Forbidden Lands
Complessivamente, il Player’s Manual e la Gamemaster’s Guide offrono più di 500 pagine di materiale. Free League ci ha abituati a standard altissimi, e anche qua non delude assolutamente. Non era affatto semplice combinare un sistema dinamico, quasi cinematografico come lo Year Zero Engine, ricco di espedienti molto moderni, con uno stile di gioco che si avvicini all’OSR. Forbidden Lands ci riesce, proponendosi come un punto di riferimento per chi voglia recuperare certe suggestioni senza avere la sensazione di fare un passo indietro.
Un prodotto ricco e curatissimo in ogni aspetto, un gioco che vale assolutamente la pena provare per perdersi in un mondo completamente nuovo da esplorare. Non è consigliato: è consigliatissimo.
Se vi è piaciuta questa recensione del Core Boxed Set, continuate a seguirci per rimanere aggiornati su altri prodotti legati a Forbidden Lands!
Vogliamo aprire questa recensione della quarta edizione di Twilight 2000 con un sentito ringraziamento a Free League, per averci messo a disposizione il Core Set del gioco. E con lei anche Tomas Härenstam e Chris Lites, i due autori. Dare nuova linfa a un gioco che si avvicina ai quarant’anni di storia è sicuramente un progetto ambizioso. Noi vi diamo la nostra opinione. Se dovesse convincervi, potete ordinare il core set sullo store ufficiale diFree League. È disponibile al prezzo di 498 corone, poco più che 49 euro. Il Player’s Manual da solo costa 198 corone, circa 19.50 euro; parte degli accessori del core set è acquistabile anche fuori dal cofanetto.
Un Po’ di Storia
Twilight 2000 nasce nel 1984 per permettere di giocare lo scenario della terza guerra mondiale. E di giocarlo in maniera cruda e diretta. È importante notare che il gioco nasce in pienaguerra fredda, e che la sua ucronia è stata aggiornata più volte negli anni.
Free League ne presenta l’ultimo aggiornamento, supportato da una versione fortemente customizzata del suo ormai rodato Year Zero Engine. Si tratta della prima volta che Twilight 2000cambia così radicalmente il proprio impianto di regole. Forse uno shock per i fan più affezionati, ma il risultato è un’esperienza di gioco perfettamente riuscita.
Recensione di Twilight 2000: Core Set
Innanzitutto spendiamo due parole sul box che Free League ci ha messo a disposizione. Oltre al Player’s Manual troviamo il Referee’s Manual, per 264 pagine complessive. I manuali hanno la copertina flessibile, ma essendo molto snelli non si sente la mancanza del cartonato. Nel box troviamo inoltre due mappe grandi, per i viaggi, e altre venti più piccole, tattiche. Quattro di queste sono per locazioni specifiche, le altre sono modulari.
Avremo inoltre più di un centinaio di segnalini fustellati, per sfruttare le mappe da combattimento al meglio, 52 carte per gli incontri e 10 per l’iniziativa. A completare il tutto, cinque schede del personaggio pronte da compilare e quindici dadi. Twilight 2000 può essere giocato con i comuni dadi poliedrici in commercio, ma questi hanno una simbolistica dedicata per i successi e i fallimenti.
Un GdR Gamista?
Già dal contenuto del core set, appare chiaro che Twilight 2000 è un gioco di ruolo molto improntato allastrategia (e all’uso della cosiddetta plancia). Personalmente non è una caratteristica che mi entusiasmi di solito, ma l’obiettivo è quello di riprodurre uno scenario di guerra. Il tatticismo e la gestione delle risorse sono d’obbligo per ricreare le giuste sensazioni, e Twilight 2000 ci riesce benissimo.
Il motore di tutto, come accennato prima, è lo Year Zero Engine. Il sistema di gioco che Free League ha reso famoso con Mutant Year Zero e con altri giochi di cui vi abbiamo già parlato (Vaesen, Alien). Lo Year Zero Engine pone l’accento sulle scelte dei personaggi, sulla gestione delle loro risorse e su quanto sono disposti a rischiare per ottenere ciò che vogliono.
Recensione delle Meccaniche di Twilight 2000
Ridotto al nocciolo, il sistema di gioco è molto semplice. Si tirano due dadi, uno per la caratteristica e uno per l’abilità utilizzate: più alta è la competenza in quel campo, più la classe del dado sarà alta. I risultati pari a sei conferiscono un successo; valori più alti possono conferirne più di uno. Per riuscire nell’azione è sufficiente un successo, gli altri migliorano l’esito. Inoltre i giocatori possono scegliere di “forzare” il tiro, lanciando di nuovo i dadi che non hanno dato successi. Maggiori probabilità di riuscita, ma in questo caso con il rischio di incappare incomplicazioni anche molto rischiose.
Questa è la meccanica di base, un riadattamento più “impegnativo” dello Year Zero Engine. Come detto, Twilight 2000 è un gioco molto basato sulla tattica. Quindi a questo sistema di azione particolarmente rapido e intuitivo viene aggiunta un’ampia serie di opzioni. Queste pongono l’accento su tre aspetti in particolar modo: il combattimento, la gestione delle risorse e l’esplorazione. Del resto, è la terza guerra mondiale.
Creazione del Personaggio
Personalizzare il proprio personaggio è particolarmente semplice. Twilight 2000 prevede quattro attributi (Strength, Agility, Intelligence, Empathy) e dodici abilità, tutte ovviamente adeguate a un contesto bellico e di sopravvivenza.
Una volta assegnati questi punteggi si sceglie tra nove diversi archetipi, che garantiscono aggiungono delle specializzazioni, con le quali si ottengono danno ulteriori bonus in specifici campi. Gli archetipi danno anche dei suggerimenti per il codice morale, il grande sogno e l’aspetto del personaggio. Suggerimenti di ruolo che impattano anche sulle meccaniche. Fondamentale è anche la scelta della nazionalità, come vedremo a breve.
Un metodo alternativo di generazione del personaggio permette invece di ricostruirne il percorso per tutto il suo vissuto. Sicuramente meno rapido e intuitivo dell’archetipo, ma molto più ricco e soddisfacente.
Recensione delle Risorse per l’Arbitro di Twilight 2000
Queste informazioni sono reperibili nel Player’s Manual, assieme ad altre regole interessanti come la capacità di mantenere il sangue freddo durante una sparatoria, un valore che fluttua a seconda della direzione presa dal gioco.
Nel Referee’s Manual, invece, è possibile trovare un maggiore approfondimento sull’ambientazione e sulla gestione del gioco da parte del master (o per meglio dire dell’arbitro, per l’appunto). In particolar modo il manuale mette a disposizione strumenti per gestire il viaggio e l’esplorazione, i rifugi e gli scontri a fuoco. Per questi la griglia esagonale, caratteristica dello Year Zero Engine, è caldamente consigliata. Per non menzionare alcune zone già pronte da usare, vere e proprie avventure sandbox preconfezionate, o la vastissima mole di informazioni su veicoli e armi, altri due elementi imprescindibili per un gioco del genere.
Materiale molto utile e dettagliato; inizialmente si può avere la sensazione di perdersi un po’, in effetti. Ma si tratta di informazioni scritte in maniera asciutta, per quanto l’estetica dei due manuali sia molto curata per essere leggibile (pur dando sempre l’impressione di esser presa da un rapporto militare). In calce, le illustrazioni sono davvero curatissime, in particolar modo quando ritraggono veicoli storici (o ucronici). Un po’ di pratica renderà tutto estremamente scorrevole.
Giocare di Ruolo nella III Guerra Mondiale
“Good luck. You are on your own now.”
Una premessa doverosa. Il Referee’s Manual contiene informazioni d’ambientazione che sono pensate per i soli occhi dell’arbitro di gioco. Le nostre recensioni sono sempre spoiler free, ma questa volta ci limiteremo a darvi le informazioni più essenziali. Che sono comunque più che sufficienti per lasciarsi suggestionare da Twilight 2000.
L’assunto di base è semplice: la storia è andata come sappiamo fino alla fine della guerra fredda, con la caduta delmuro di Berlino. Da lì in poi non c’è più stata tregua. Anziché entrare in una fase di distensione e poi di scioglimento, infatti, l’Unione Sovietica ha subito un colpo di mano dei reazionari. La tensione è stata alzata sempre di più, portando a un conflitto con gli Stati Uniti che si è svolto principalmente sul suolo europeo.
Il focus del gioco sono laPolonia e laSvezia, ma la terza guerra mondiale non ha risparmiato nessuno. Ordigni atomici sono stati scagliati persino oltreoceano, e anche i paesi che non sono stati toccati direttamente dal conflitto sono piombati in una nuova barbarie a causa della distruzione delle linee di comunicazione e commercio. Il manuale presenta un accenno su Germania, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, ma come detto sono Svezia e Polonia ad essere dettagliate con cura, regione per regione. In ogni caso non importa se il personaggio sia un soldato, un civile, un invasore o altro: ormai è da solo in territorio ostile.
Conclusioni della Recensione di Twilight 2000
Come anticipato, chi scrive non è un fan dei giochi di ruolo estremamente incentrati sulla tattica, né della plancia. Ma andando al di là del gusto personale,Twilight 2000 colpisce per la cura che mette nel ricreare questo tipo di esperienza. Il sistema di gioco è stato riadattato con estrema attenzione ma senza tradirne la natura, ogni singolo elemento del core set ha una specifica funzione da assolvere. Ci vuole davvero poco per perdersi nella mappa, alla ricerca della strategia migliore per aggirare il nemico. O per ricoprirlo di piombo.
È sicuramente necessaria una dose di coraggio tale da sconfinare nella follia, per pensare di rimaneggiare un titolo storico come questo. Per nostra fortuna, la scintilla della follia non manca in Free League, quella follia che la aiuta a regalarci l’ennesimo gioiellino. Un gioco affascinante, che richiede pochissima preparazione ma in cambio garantisce enorme soddisfazione. E voi, siete pronti ad affrontare la terza guerra mondiale che non è mai avvenuta?
Se ti è piaciuta questa recensione di Twilight 2000, continua a seguirci per altri contenuti sui prodotti di Free League!
Oggi vi proponiamo la recensione di Alberetor, The Haunted Waste. Il quinto nonché penultimo capitolo de Il Trono di Spine anticipa la conclusione di questa lunga e intensa campagna per Symbaroum. I ringraziamenti a Free League sono doverosi, per averci messo a disposizione il manuale in versione digitale. Potete acquistare Alberetor, The Haunted Waste direttamente sul sito di Free League al prezzo di 348 corone, poco più di 33 euro; troverete inoltre vari bundle per recuperare tutti i capitoli precedenti e altro materiale di Symbaroum. Per chi preferisse aspettare la traduzione italiana, è disponibile sul sito di Space Orange 42; The Haunted Waste non è ancora stata tradotta, ma per il momento potete reperire il resto della campagna.
Il Trono di Spine
Realizzata da da Mattias Johnsson Haake, una delle due menti dietro Symbaroum assieme a Mattias Lilja (di cui potete vedere la nostra intervista riguardo Ruins of Symbaroum, la conversione per D&D 5e), Il Trono di Spine è un’opera monumentale. The Haunted Waste non è da meno. 178 pagine fitte di materiale, ricche di spunti e di altrettanti consigli per adattare l’avventura alle decisioni prese nel corso del gioco. È perfettamente giocabile in maniera autonoma: il manuale comprende tutti gli strumenti necessari per fornire un contesto ai pg, per crearli da zero e anche per far giocare le conseguenze del capitolo presentato.
Ma è innegabile che l’esperienza migliore possibile sia quella di giocare le varie sezioni della campagna in continuità. Non si rischia certo di restare senza materiale, perché ogni volume ne presenta davvero molto, sufficiente per svariati mesi di gioco. Collegare The Haunted Waste alle altre avventure permette di calarsi nella storia del mondo di gioco di Symbaroum a un livello di profondità progressivo e inaspettato, fino ad arrivare a scoprirne i più oscuri segreti.
Per chi fosse curioso, ecco l’elenco dei precedenti capitoli, ognuno dei quali prende il nome dalla località in cui è ambientato:
A concludere Il Trono di Spine sarà Saroklaw, The Battle for the Throne.
Alberetor, The Haunted Waste: Realizzazione Impeccabile
La fattura di Alberetor, The Haunted Waste è pregevole, come per tutti i prodotti di Free League. Le illustrazioni hanno il tratto tipico di Symbaroum, dotato di un potere evocativo che ha pochi paragoni. Senza affannarsi nella ricerca del dettaglio iperrealistico a tutti i costi, hanno un impatto a colpo d’occhio davvero impressionante.
Anche l’impaginazione del manuale segue i canoni di Symbaroum: chiarezza, leggibilità e praticità nel recupero delle informazioni, senza rinunciare a una grafica accattivante che crea di per sé atmosfera. Scelta in controtendenza rispetto al mercato, che cerca sempre più un’impostazione neutra, ma che Free League porta avanti con molti dei suoi prodotti. Le pagine non sono cariche di sole informazioni, portano con sé un valore aggiunto in questo senso.
La Lotta per il Potere, le Sfrenate Passioni, gli Intrighi, i Tradimenti
“Noi siamo la roccia, la fondazione da cui verrà costruito il muro.
Siamo l’ossevatore pensieroso, che controlla, comprende e guida ma non costruisce, non gestisce, non comanda.
Costruirai, ma ascolterai anche – o le mura che costruirai attorno alla fiamma della vita saranno una prigione che soffoca e adombra.”
Con queste parole viene presentato Alberetor, The Haunted Waste. Le nostre recensioni sono rigorosamente spoiler free, quindi non approfondiremo la trama, neanche quella sviluppata nei volumi precedenti.
Quello che possiamo dirvi è che Il Trono di Spine è una cronaca che esplora i misteri del Davokar e dell’antico impero Symbar, così come i segreti della guerra che ha sconvolto l’Alberetor e portato alla creazione del nuovo regno ambriano. Inizialmente i personaggi vengono introdotti al mondo di gioco e messi in contatto con le varie fazioni che avranno ruoli importanti se non da protagoniste nella trama. Andando avanti si troveranno ad affrontare colpi di scena, tradimenti, scene altamente drammatiche dal punto di vista sociale e umano, decisioni difficili. La trama e i suoi intrighi si infittiscono di capitolo in capitolo, fino a portare i personaggi a diventare elementi chiavi per il futuro del mondo.
Analisi di Alberetor, The Haunted Waste
Alberetor, The Haunted Waste, come anticipato, riporta tutti gli elementi necessari sia per affrontare gli eventi descritti come singola avventura, sia per inserirla all’interno de Il Trono di Spine.
Il volume è diviso in tre sezioni: War & Blood, The Lost Land e Into the Storm.
I primi capitoli di War & Blood servono principalmente a definire il setting di gioco, con una panoramica della guerra civile che sta spaccando il regno di Ambria tra Lealisti e Riformisti, e delle varie fazioni coinvolte. C’è una cronologia molto dettagliata dello svolgimento del conflitto, con ampia descrizione delle sue ripercussioni sul mondo di gioco. Ovviamente non mancano le regole per la creazione di personaggi adatti alle sfide proposte; nel caso in cui non siano stati giocati i precedenti capitoli de Il Trono di Spine, ci sono anche dei preziosi consigli sulla gestione del gruppo. Infine ci sono gli agganci dell’avventura e l’inizio vero e proprio.
In The Lost Land i personaggi si dedicano all’esplorazione della nazione di Alberetor, precedente reame degli ambriani. Una terra devastata dalla guerra, e proprio questa devastazione nasconde un segreto di cui i protagonisti potrebbero venire a conoscenza. Un’informazione abbastanza importante da cambiare le sorti dell’intera ambientazione, al punto che forse avrebbe meritato di essere inserita nel manuale core di Symbaroum. Troviamo vari scenari da esplorare, a discrezione del Game Master, in cui reperire i vari indizi che conducono alla sezione successiva.
In Into the Storm i personaggi esplorano la terra perduta di Lyastra, dove ancora regnano alcuni dei Signori dei Demoni che hanno iniziato la guerra con l’Alberetor. Anche qui vengono proposti vari scenari e vari espedienti per trasmettere immediatamente il tono della narrazione ai personaggi, fino a condurli all’epilogo della storia.
Punti di Forza
Uno dei pregi di Alberetor, The Haunted Waste che maggiormente mi colpisce è sicuramente la minuzia con cui è stato realizzato. Il materiale è davvero tanto, non c’è neanche una delle quasi duecento pagine del manuale che sia sprecata. Una completezza a doppio taglio, perché per il Game Master ha bisogno di parecchio studio per orientarsi nella mole di informazioni, densa di date e nomi, ma che sicuramente permette di padroneggiare alla perfezione gli eventi.
A questo si unisce la possibilità di utilizzare in maniera perfettamente modulare l’avventura. Gli autori sono stati particolarmente attenti a inserire gli sviluppi della trama più probabili, e a lasciare le maglie della narrazione abbastanza ampie da potersi adattare alla proverbiale imprevedibilità dei giocatori. Ogni capitolo di Alberetor, The Haunted Waste presenta varie minacce e vari eventi, che possono essere selezionate in base allo stile di gioco e alle preferenze del gruppo. Investigazione, intrigo, azione, horror sono tutti approcci che il Game Master può avere, miscelandoli nelle proporzioni che più ritiene nelle sue corde.
Alberetor, The Haunted Waste è ovviamente corredato da mappe e schede dei png, di rapida consultazione. Sono presentate alcune creature nuove, così come alcuni rituali e il livello Grandmaster del tratto mostruoso Tunneler. Le prove di abilità da effettuare sono in evidenza alla fine di ogni paragrafo, e alla fine del volume sono presenti tutti i documenti presentati nel corso di tutto il manuale, in modo da poterli far leggere ai giocatori come fossero vere pergamene.
Conclusioni della Recensione di Alberetor, The Haunted Waste
Alberetor, The Haunted Waste è sicuramente un lavoro eccellente. L’impegno dietro l’intera campagna de Il Trono di Spine è enorme, e traspare dalla cura di ogni singolo dettaglio.
Adatta a qualsiasi stile di gioco, come avventura singola o come parte della cronaca più articolata, è sicuramente un must have per gli amanti del dark fantasy che contraddistingue Symbaroum.
Se avete apprezzato questa recensione di Alberetor, The Haunted Waste, continuate a seguirci per altri contenuti per Symbaroum!
Oggi abbiamo il piacere di presentarvi la recensione di Underwater Campaigns, un modulo di regole addizionali per D&D 5e. Ringraziamo Daniel Chivers e Marco Bertini per averci inviato una copia in pdf del manuale. Lo trovate su DMsGuild al prezzo di 19.99 $, poco più di 17 euro. Parliamo di un best electrum seller da cinque stelle su cinque, scusate se è poco.
Daniel Chivers e Marco Bertini sono una coppia abbastanza rodata. Questa è la loro sesta collaborazione. Già da tempo si possono però definire veterani di D&D 5e, con moltissime pubblicazioni all’attivo. Underwater Campaigns si concentra su tutti gli aspetti che potrebbero riguardare una campagna subacquea. Totalmente o per buona parte del suo svolgimento. Da questo punto di vista il titolo non nasconde tranelli.
La Recensione di Underwater Campaigns: il Volume
Underwater Campaigns offre ben 166 pagine di contenuti, impaginate secondo lo standard di D&D 5e. La lettura è agevole, la consultazione estremamente pratica e chiara. Il manuale è stato realizzato con Homebrewery, ma non tradisce alcuna nota di improvvisazione. Al contrario. Se non sapeste di cosa stiamo parlando, controllate questo link. Si tratta di uno strumento preziosissimo per i creatori di contenuti in erba. O anche solo per i DM più metodici.
Purtroppo le illustrazioni sono il tasto dolente del manuale. Non sono originali: si tratta di materiale riutilizzato da altre fonti. E per quanto il lavoro fatto per adattarle ad Underwater Campaigns sia stato oggettivamente enorme, ha i suoi limiti. In alcuni casi le illustrazioni sembrano fuori contesto rispetto al tema della pagina. I lettori più scafati avranno sicuramente una sensazione di déjà vu non esattamente piacevole. In particolar modo, per chi conosce bene D&D 3.5 sarà inevitabile le sensazione di già visto. E questo anche quando la qualità degli artwork in sé è altissima.
Cosa Aspettarsi
I contenuti sono ovviamente il punto forte del manuale. Daniel si rivela un profondo conoscitore delle regole, oltre che dell’argomento. Al punto da aprire il manuale con un glossario per renderne la consultazione più pratica. Oltre che con una premessa: la lettura potrebbe avere un carattere un po’ troppo “National Geographic“. Non preoccupatevi. Questo è voluto, inevitabile ma anche perfettamente funzionale.
Una nota importante: Underwater Campaigns è un compendio di regole, piuttosto che una raccolta di materiale innovativo. Le soluzioni originali si limitano a colmare i vuoti. Il pregio principale del manuale è quello recuperare e raccogliere tutte le regole più utili per l’esperienza subacquea del gioco di ruolo più famoso del mondo. Ovviamente c’è dietro un grande lavoro di adattamento alla quinta edizione. Un compito portato a termine in maniera eccellente da questo punto di vista. Soprattutto il risultato è estremamente flessibile.
Underwater Campaigns permette infatti di gestire il gioco sia per momentanee incursioni nel mondo sottomarino che permanentemente sommerso. Presenta inoltre regole adatte a diversi livelli di profondità, e una panoramica delle varie culture che si possono sviluppare sott’acqua. Sicuramente più di quante non avreste pensato senza sfogliare i manuali.
La Recensione di Underwater Campaigns: i Contenuti
Ogni capitolo affronta uno specifico aspetto del gioco sottomarino, evidenziandone le difficoltà e le peculiarità. Ovviamente c’è sempre un focus su quelli che possono essere gli accorgimenti per permettere a personaggi nati sulla terraferma di sopravvivere agli spunti proposti. O quanto meno di provarci, a seconda della clemenza del DM di turno.
Nel primo capitolo troviamo una descrizione delle più “tipiche” locazioni sottomarine, comprese due completamente originali. Underwater Campaigns affronta anche il tema dei collegamenti planari, per estendere il fondale abissale a trame di più ampia portata. Il secondo capitolo affronta più in generale la pianificazione di una campagna, il modo in cui strutturarla e gli agganci da sfruttare. Sono presenti anche gli elementi di un’avventura già pronta, tratteggiata con contorni volutamente vaghi per permettere di adattarla a qualsiasi campagna.
Segue un capitolo che presenta avversità, complicazioni e rischi tipici degli ambienti subacquei. Underwater Campaigns presenta minacce sia reali che fantastiche. Ed è sicuramente molto utile la scelta di presentarne anche il rovescio della medaglia, quello che devono affrontare razze sottomarine quando si trovano sulla terraferma. Il quarto capitolo affronta più nello specifico il combattimento, sia con regole standard che con la componente tridimensionale che l’ambiente acquatico offre.
Seguono due capitoli su equipaggiamento e magia specifici per gli ambienti sottomarini. Qui si sente in particolar modo il lavoro di adattamento di Daniel, dalle passate edizioni del gioco alla quinta. Stesso discorso vale per i due capitoli conclusivi, che presentano creature e PNG utili per una campagna subacquea.
Conlusioni della Recensione di Underwater Campaigns
Chiudono Underwater Campaigns un nuovo patrono per Warlock, la Pale Lady, e un divertente generatore per “exceptional fish”. Oltre a una pagina di reference in cui l’autore elenca tutte le fonti utilizzate per la stesura del manuale. Materiale sicuramente utile, sia per stimolare la creatività che per approfondire ulteriormente quanto trattato nel testo.
In generale, si tratta di un manuale che si rivela estremamente tecnico. Ricco di opzioni di gioco, è però specificamente riservato ai DM che vogliano rendere l’esperienza del gioco subacqueo più profonda (no pun intended) per i propri giocatori. Solo un nuovo patrono, qualche talento e nuovi incantesimi possono effettivamente rivelarsi utili a questi ultimi.
In definitiva, Underwater Campaigns non esattamente un tassello fondamentale nella vostra collezione. Ma se avete in mente una campagna incentrata su questi temi, è sicuramente uno strumento utilissimo.
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Oggi vi presentiamo la recensione di Kisarta. Prima di tutto vogliamo ringraziare Isola Illyon Edizioni per averci inviato una copia fisica del manuale. Kisarta è un’ambientazione originale per D&D 5e che ci ha dato fin da subito forti vibrazioni “souls like“.
Il manuale è disponibile sullo store ufficiale di Isola Illyon Edizioni, al prezzo di 40 euro netti. Il pdf è incluso, o acquistabile singolarmente per la metà del prezzo. Vi segnaliamo che, se al momento del pagamento inserite il codice NODICEUNROLLED, non pagherete le spese di spedizione! Per i più scettici c’è anche un quickstart da scaricare gratuitamente.
Souls Like Vibes
Dicevamo che il lavoro di Lupo Condotta per l’ambientazione, e Guido Maicol Campanini per le meccaniche, ci ha dato forti vibrazioni “souls like”. Perché è proprio quello che Kisarta si propone di fare: permettere di giocare in un mondo tetro e angosciante, dove la morte perde di significato. Tutto quello che conta è la capacità di mantenere intatta la propria sanità mentale. I personaggi di Kisarta hanno infatti un punteggio di Anima, che si consuma ad ogni morte; una volta esaurito del tutto, si “dissipano”. Un personaggio “morto” in questo modo diventa Etere, la sostanza di cui è composto l’intero mondo di gioco, modellato dalla volontà collettiva che si innesta sui ricordi dei singoli.
In perfetto stile Dark Souls, i personaggi si “risvegliano” in uno sterminato cimitero. Da questo momento sono Anime, puro Etere la cui forma è scolpita solo dalla volontà e dalla coscienza di sé. Sotto il bianco sole detto Kisarta, le Anime raggiungono la città di Limbo e i Domini circostanti, dove entità oscure e misteriose gestiscono il Grande Gioco e alterano le leggi della fisica stessa.
Da questo momento verranno coinvolti in una fitta rete di complotti, intrighi e alleanze in cui chiunque abbia un minimo di potenziale cerca di metterlo a frutto, il cui obiettivo finale è sconosciuto. Il Grande Gioco fa parte di quelle che vengono presentate come delle Verità in grado di condurre alla follia anche le più resilienti delle Anime, i cui dettagli sono analizzati nella parte conclusiva del manuale. Noi, come sempre, siamo spoiler free, e vi lasciamo il piacere di scoprirli.
Recensione di Kisarta: il Volume
Kisarta è un prodotto ottimamente realizzato. Il manuale è piacevole da tenere fra le mani, if you know what I mean, e ha una linea grafica davvero accattivante. È importante sottolineare come il volume riesca a dare fin da una prima occhiata un’idea dei temi e delle atmosfere del gioco, senza rinunciare alla chiarezza espositiva e alla praticità di consultazione tipica di D&D 5e.
Le illustrazioni non sfigurerebbero su uno dei manuali ufficiali di Dungeons & Dragons, con il valore aggiunto di essere sempre fedeli all’ambientazione. L’unico difetto che si possa rilevare da questo punto di vista è che sarebbe stato bello averne di più per le opzioni dei personaggi e per il breve bestiario contenuto nel manuale. Certo aumentarle avrebbe fatto lievitare il costi e quindi i prezzi, ma alcuni degli artwork sono così belli da mettere la voglia di vederne altri.
Recensione di Kisarta: Cosa Aspettarsi?
Pur non trattandosi di un tomo particolarmente ingombrante, Kisarta è piuttosto ricco di materiale. Una buona metà del manuale è dedicata alla descrizione del mondo di gioco; e anche se le descrizioni sono piuttosto sintetiche, sono complete. Già una prima lettura garantisce molti spunti, pur lasciando un ampio margine per la personalizzazione. Cosa molto apprezzabile, è dedicato abbastanza spazio non solo alla descrizione dei luoghi, ma anche al modo in cui viverli, a come gestire la quotidianità e i rapporti sociali. Un aspetto fin troppo spesso dato per scontato, che gli autori hanno avuto la cura di approfondire.
Per la parte regolistica, oltre alla meccanica del punteggio di Anima che si consuma ad ogni morte del personaggio, sono presentate svariate opzioni del personaggio.
Nuove Opzioni per i Personaggi
Cinque nuove razze giocabili. Il Dimenticato risiede da talmente tanto tempo in uno dei Domini di Kisarta da aver dimenticato la propria identità; il Disincarnato, al contrario, ha dimenticato le proprie fattezze prima di risvegliarsi, incarnandosi nel corpo di una statua. Il Dissognatore è la manifestazione di un predatore dell’inconscio, che si nutre di incubi. L’Effige è una sorta di elementale del luogo, una parte di Etere che prende vita spontaneamente, mentre al contrario un Feticcio è una sorta di patchwork di quello che rimane di alcune Anime in seguito alla loro consunzione ultima.
Anche le nuove classi sono cinque. L’Abominio viene alterato dalle energie mistiche di Kisarta, che gli permettono di sfruttare letali mutazioni. I Cavalieri Stregati coniugano la propria prodezza marziale alle arti arcane. I Demiurghi, probabilmente la classe più interessante per me, imparano a manipolare la natura stessa dell’Etere che li circonda, abbinando a limitate capacità marziali la possibilità di distribuire bonus o malus per influenzare le sorti di uno scontro. I Devastatori, animati da un infinito tormento, sfogano la propria frustrazione sul mondo evocando delle armi create dall’Etere stesso. Infine, i Viaggiatori sono mossi dal desiderio di conoscere più profondamente i Domini di Kisarta, specializzandosi nella loro esplorazione.
Sono proposte inoltre nuove sottoclassi, una per ogni classe del manuale Core di D&D 5e, e nuovi incantesimi. Non tantissimi, ma è una scelta particolarmente indovinata: ogni nuova magia è infatti profondamente in tema con l’ambientazione, non una semplice corsa alla novità.
Analisi di Kisarta
In generale, Kisarta è un’amientazione particolarmente riuscita. Non si può negare che il genere souls like sia uno dei maggiori successi degli ultimi anni, in campo videoludico; e con pochi semplici interventi il manuale riesce a riproporlo al suo meglio. Le modifiche rispetto a D&D 5e sono poche ma efficaci, in particolare il riposo realistico; le opzioni di gioco sono interessanti e la possibilità di riutilizzare personaggi morti in altre campagne, indipendentemente dalle loro origini, è sicuramente un valore aggiunto.
Da sottolineare per gli amanti di Dark Souls e simili che l’esperienza di gioco è comunque diversa. Kisarta prevede una forma di società e di interazioni con creature intelligenti molto più estesa. Se questo potrebbe far storcere il naso a qualche purista, va ricordato che stiamo parlando di un gioco di ruolo, oltretutto adattato a D&D 5e che propone esperienze molto specifiche. Kisarta è probabilmente il miglior modo possibile per trasmettere le sensazioni di giochi di questo tipo, ma un grosso lavoro di adattamento in tal senso era inevitabile: il risultato sarebbe stato altrimenti ingiocabile.
Sul fronte degli aspetti che si possono migliorare, sicuramente ci sono alcune ripetizioni continue di concetti che sono chiariti fin dall’inizio, di cui il manuale potrebbe fare a meno. Anche a una lettura veloce alcuni concetti sulla natura stessa di Kisarta sono ben chiari, riproporli ogni volta che ce n’è l’opportunità non era necessario.
Inoltre, l’inizio di una campagna o di un’avventura può avvenire in due modi: con personaggi che si sono appena risvegliati, o con personaggi che hanno già preso confidenza con il mondo in cui si trovano. Per quanto entrambe le opzioni abbiano i loro vantaggi, la prima sarebbe molto più affascinante; peccato che il manuale la trascuri un po’, offrendo principalmente materiale per il secondo tipo di spunto.
Conclusioni della Recensione di Kisarta
Dopo aver importato un piccolo capolavoro come Spire: la Città Deve Cadere (di cui potete trovare qui la nostra recensione), Isola Illyon Edizioni ci propone un’ambientazione originale made in Italy per D&D 5e. Kisarta promette un certo stile di gioco con specifiche atmosfere, e tiene fede a quanto promesso.
Ricca tanto di spunti quanto di meccaniche originali, ha l’intelligenza di cavalcare uno dei temi del momento senza per questo limitarsi a fare fan service. Per chi ama il dark fantasy applicato al gioco di ruolo più famoso al mondo, per chi ha amato la saga di Dark Souls e vuole provare a trasporne le sensazioni al tavolo, per chi ha semplicemente voglia di cambiare approccio, è sicuramente consigliatissimo.
Se avete apprezzato questa recensione di Kisarta, continuate a seguirci per altri contenuti per D&D5e!
Oggi abbiamo davvero il piacere di presentarvi la recensione di Valda’s Spire of Secrets, un compendio di regole supplementari per D&D 5e firmato daMichael Holik. Innanzitutto ringraziamo Mage Hand Press per averci permesso di avere in anteprima questo ricchissimo compendio. Il progetto è nato da una campagna Kickstarter di successo; per amor di cronaca, l’obiettivo minimo è stato raggiunto in due ore e mezza. E ve lo anticipiamo: ripaga assolutamente questo sostegno!
La Recensione di Valda’s Spire of Secrets: un Primo Impatto
Diciamolo subito: Valda’s Spire of Secrets ha carattere, e ne ha da vendere! Una promessa che inizia con la copertina, mantenuta in ogni singola pagina. Gli artwork infatti, oltre ad essere di altissimo livello, mantengono uno stile unico e riconoscibile; tanto di cappello a Martin Kirby Jackson, Lead Artist del progetto, e al suo team di illustratori. Un lavoro che a tratti sembra quasi prendere vita dalle pagine. Peraltro su un volume particolarmente corposo, con più di 380 pagine!
Uno stile vivace che si riflette anche nell’impaginazione. A differenza di molte pubblicazioni per D&D 5e, Valda’s Spire of Secrets adotta una struttura originale. La praticità di lettura non è compromessa, gli habitué del gioco di ruolo più famoso del mondo non saranno spiazzati. Ma la scelta di non riproporre lo stesso schema ormai onnipresente è coraggiosa, e ripaga.
Opzioni per i Personaggi: le Razze
Nonostante possa contare su un primo impatto al di sopra della media, il punto forte di Valda’s Spire of Secrets sono i contenuti. Il manuale è ricco di materiale aggiuntivo, regole alternative e opzioni per i personaggi tale da lasciare solo l’imbarazzo della scelta.
Tanto per cominciare sono presentate cinque nuove razze:
I Geppettin sono pupazzi animati (sì, Geppettin, avete letto bene), di porcellana, stoffa o legno.
I Mandrake sono umanoidi vegetali con un forte legame con la stagione in cui sono venuti al mondo.
I Mouseling sono topi animati, divisi in una stirpe di topolini e una di ratti.
Gli Spirithost sono creature composte solo parzialmente di materia.
I Nearhuman sono comuni esseri umani, che però hanno tratti appartenenti alle più disparate razze di gioco. Dagli artigli dei Beastman alla rigenerazione dei Grendel, dalla pelle spessa degli Stoneborn alle corna dei Tauran, ampliano enormemente il ventaglio di possibilità per un PG.
Recensione di Valda’s Spire of Secrets: Analisi delle Classi…
Di certo, tra gli elementi più interessanti proposti da Valda’s Spire of Secrets, troviamo dieci classi completamente nuove. Ognuna di queste è corredata da un minimo di sette e un massimo di nove sottoclassi.
L’Alchemist, il Gunslinger e la Witch (o il Witch, il manuale specifica che il termine è unisex) sono quelle che hanno bisogno di meno spiegazioni. Risentono chiaramente di suggestioni che provengono da altri regolamenti, ma vanno a coprire dei vuoti che sicuramente molti giocatori apprezzeranno.
Il Necromancer e il Captain sono pensati per i giocatori che amino muovere i “minion” senza sporcarsi direttamente i dadi. Se nel primo caso si tratta di un classico del fantasy, la seconda classe è sicuramente più originale. È possibile scegliere tra vari tipi di Cohort, ognuna adatta a uno stile di gioco diverso; vale lo stesso per i non morti a disposizione del Necromancer, ovviamente.
L’Investigator ha richiami a giochi, come dice il nome, maggiormente investigativi, perfetto per campagne che approfondiscano antichi orrori. Il Warden si prospetta come il tank definitivo, il Warmage è un interessante tentativo di costruire un combattente che utilizzi solo i trucchetti, potenziandoli al massimo.
… Le più Interessanti
Le classi più interessanti per me sono probabilmente il Craftsman e il Martyr. Il primo riesce a rendere interessante la fase di “crafting”, per l’appunto; rendendola un momento attivo e non solo qualcosa da relegare ai momenti di pausa. Il secondo ha una forte capacità di sopportazione dei danni. Il Martyr ha infatti un’incredibile capacità di evitare la morte per andare incontro a un destino segnato: arrivato al 20imo livello può entrare in uno stato in cui, per dieci minuti, il suo potere raggiunge vette inarrivabili. Poi muore, sacrificandosi per compiere il suo destino.
Nel complesso c’è quindi un ottimo mix. Classi che propongono concetti già visti e riadattati a D&D 5e, incarnano archetipi classici del genere, propongono nuovi spunti e riservano anche qualche piacevole sorpresa.
Valda’s Spire of Secrets: non solo Opzioni di Gioco
Valda’s Spire of Secrets propone anche nuove sottoclassi. Sei per ogni classe “core” di D&D 5e, che aggiungono varietà al gioco. E qui cogliamo l’occasione per mettere in luce un altro aspetto di questo manuale.
Avrete la possibilità di giocare il Muscle Mage, il Barbaro convinto di meritare un riconoscimento per i suoi inconcludenti studi di magia. O il Chierico col Dominio del Rum. O ancora il Monaco luchador mascarado, e varie altre opzioni.
Valda’s Spire of Secrets riserva ad ogni classe un percorso da giocare con ironia, per il puro gusto di fare due risate attorno al tavolo da gioco. Ma non si limita a questo.
Potrete bloccare i vostri nemici in un’esibizione canora con l’incantesimo Tyra’s Coerced Karaoke. Alla quale vi presenterete in una carrozza incantata, con animali trasformati in valletti e un magnifico vestito grazie agli incantesimi Mandy’s Enchanted Carriage, Mandy’s Feral Follower e Mandy’s Marvelous Dress. Magari portando con voi la Bag of Cheer, dalla quale estrarre regali per altre creature.
Valda’s Spire of Secrets è un manuale ricco di materiale giocabile, ma ha un’ampia serie di queste piccole chicche per introdurre un tocco di comicità nelle vostre sessioni di gioco. Impreziosito ulteriormente dai commenti di Valda stesso, un antico lich che a margine di pagina annota le sue sarcastiche riflessioni (ricche di gustosi giochi di parole).
Un Tocco in più
A tutto questo si aggiunge un’ampia serie di incantesimi, armi, oggetti meravigliosi e regole opzionali. Come quella per gli “auxiliary levels”, che possono essere sostituiti ai regolari livelli di classe per rispecchiare le recenti vicissitudini dei personaggi.
Particolarmente interessanti sono dei talenti che il DM può decidere di concedere ai personaggi al primo livello, che riflettono una condizione particolare. Permettono di giocare personaggi bambini o anziani, con problemi visivi o problemi a un arto, e in generale una serie di particolarità per personalizzare il proprio personaggio a un livello completamente nuovo per quest’edizione di Dungeons & Dragons.
Oltre a varie house rules, il manuale presenta molte regole per adattare le nuove classi ad ogni ambientazione, o per gestirne aspetti peculiari. Ma mai in maniera invadente: sono distribuite in maniera organica là dove sono necessarie, rendendo la lettura più fruibile.
Troviamo anche altre note, poste con la medesima discrezione, che aiutano ad apportare al gioco anche qualche annotazione etica. Piccoli spunti di riflessione che non appesantiscono il gioco, ma contribuiscono a dedicare un’attenzione ai giocatori che potrebbero essere più sensibili su determinati temi.
Recensione di Valda’s Spire of Secrets: Conclusioni
Valda’s Spire of Secrets è davvero un ottimo manuale, una perfetta integrazione del Manuale del Giocatore di D&D 5e. Opzioni di gioco interessanti e divertenti, possibilità di concentrarsi sull’aspetto più tradizionale senza tralasciare delle sane risate o elementi più seri che vanno oltre il tavolo da gioco. Un prodotto confezionato con cura che vale sicuramente la pena prendere in considerazione.
Non fosse che per scoprire la storia della Company of Wring, l’unico gruppo di avventurieri che si vanta di essere riuscito a scappare dalla torre di Valda il lich. Quale sarà stato il loro segreto? Non vi resta che sfogliare il manuale per scoprirlo.
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Oggi abbiamo il piacere di presentarvi la recensione di The Curse of BloodStone Isle, nuova ambientazione per D&D 5e. Ringraziamo Mark Rein•Hagen per averci lasciato leggere una copia in anteprima del suo lavoro. Se il suo nome non vi è nuovo, è più che normale. Parliamo dell’autore di Ars Magica, Vampire: the Masquerade, Werewolf: the Apocalypse, Wraith the Oblivion e molti altri giochi di successo.
Considerando che ha anche collaborato al concept e il design di Mage: the Ascension, parliamo del padre dell’intero World of Darkness. Non vi nascondiamo che le nostre aspettative erano particolarmente alte. Per scoprire se sono state soddisfatte, non c’è che da leggere tutta la recensione di The Curse of BloodStone Isle. Intanto chi volesse unirsi ai backer può visitare la pagina kickstarter del progetto. Il primo obiettivo è stato raggiunto, ma ci sono ancora stretch goal da sbloccare.
Recensione di The Curse of BloodStone Isle: per i Giocatori…
Parliamo di Dungeons & Dragons, ma The Curse of BloodStone Isle è presentata come 5e compatible. Questo perché si concentra principalmente sull’ambientazione e sulla narrazione, come del resto ci si poteva aspettare da Mark Rein•Hagen. Nei due manuali i riferimenti regolistici sono ridotti all’osso, e quasi esclusivamente per le schede dei PNG o delle creature. Considerando che entrambi superano le 250 pagine, parliamo di tantissimo materiale da leggere. Per il resto, i manuali core di D&D 5e sono tutto il supporto meccanico di cui c’è bisogno.
Il Player’s Gazetteer è il manuale a disposizione dei giocatori. Si tratta di un resoconto in prima persona a firma di Adzquille, cronista che esplora l’isola nella sua interezza per la prima volta. La narrazione rimane sempre in-character, come fosse un vero diario di viaggio corredato da appunti, note a margine e semplici illustrazioni. Il tocco di Mark Rein•Hagen è evidente a chiunque conosca i suoi lavori: in ogni capitolo sono inseriti spesso estratti di altri scritti, indovinelli, miti, leggende. Uno stile spesso presente nei manuali del Mondo di Tenebra, che aiuta a immergersi rapidamente nell’ambientazione. Con tanto di glossario che spiega le espressioni tipiche di BloodStone.
… E per i Narratori
La Game Master Cyclopedia è ovviamente il manuale riservato ai narratori. Corposa quanto il Player’s Gazetteer, laddove questo semina spunti e dubbi, la Cyclopedia provvede a risolverli. Vengono chiariti tutti i retroscena, e convertiti in spunti concreti per le avventure. Sicuramente meno scorrevole del manuale precedente, è però una risorsa enormemente preziosa per i DM.
The Curse of BloodStone Isle sceglie un formato orizzontale inusuale, che però sfrutta un’impaginazione curatissima; anche questa contribuisce a entrare subito nel mood dell’ambientazione. Le illustrazioni sono vittime di un po’ di alti e bassi, ma i primi compensano più che abbondantemente l’incostanza. Per un prodotto che supera le cinquecento pagine complessive, l’accuratezza è enorme: il lavoro fatto da Mark è monumentale!
Le Atmosfere
Ma veniamo al sodo. Cosa aspettarsi da The Curse of BloodStone Isle?
Visto il pedigree dell’autore, è più che lecito pensare a sfumature horror e complotti che si fondono a mitologie antiche. E fortunatamente, non ci si sbaglia. Come al solito, questa recensione è spoiler-free; ma qualche indizio possiamo darvelo.
“BloodStone is hard to get and hard to leave. You have to pay to enter, but you must pray to leave.”
“A BloodStone è difficile arrivare quando è difficile andarsene. Devi pagare per entrare, ma devi pregare per uscire.” Con queste parole viene presentata The Curse of BloodStone Isle; sicuramente una degna introduzione. L’isola è avvolta da una tempesta guidata da una volontà malevola, che rende impervio qualsiasi tentativo di raggiungerla. La stessa tempesta pare di tanto in tanto sottrarla al suo posto nell’universo, trasportandola su altri piani per accogliere, o per catturare, nuove inconsapevoli creature. E non è l’unico flagello che tormenta gli abitanti dell’isola.
Il tempo su BloodStone trascorre diversamente che nel resto del mondo, rallentando o balzando in avanti di colpo. Ciononostante la cronologia tratteggiata è molto precisa, permettendo di tracciare varie ere e di individuare i punti di svolta nodali della sua storia. Questa precisione permette di creare una grande varietà di temi giocabili. Il senso di orrore è sempre soffuso in ogni aspetto dell’ambientazione ovviamente, ma i modi di declinarlo sono vari: dalla classica esplorazione di un luogo esotico all’avventura piratesca, dall’intrigo politico fino all’orrore aberrante di antichi vampiri in caccia. L’ombra di un passato ingombrante incombe in ogni singolo scenario, orrori mal sopiti sono sempre pronti a fare la loro comparsa in ogni scena.
Recensione di The Curse of BloodStone Isle: l’Ambientazione
The Curse of BloodStone Isle è ricca di consigli su come sfruttare al meglio l’ambientazione, oltre che su come renderne al meglio la narrazione. Consigli sicuramente utili per chi ha un primo approccio al duro lavoro del narratore, ma in grado di offrire un ottimo supporto anche a chi è più scafato. Entrambi i manuali sono divisi in capitoli, ognuno dei quali è dedicato ad un’area geografica con caratteristiche proprie. Mentre ai giocatori si raccomanda di leggere solo il Gazetteer, al narratore si consiglia di leggere la Cyclopedia parallelamente, facendola seguire ad ogni capitolo del primo.
Nulla è Lasciato al Caso
Ogni regione, e quindi ogni capitolo, ha una forte caratterizzazione. Free Boot Landing è il porto dove i personaggi sbarcano una volta usciti dalla tempesta che avvolge BloodStone, dove un solido insediamento militare cerca di controllare il flusso di visitatori. Le BoneDust Dunes offrono un ambiente fortemente inospitale e spoglio, abitato da tribu nomadi che vivono sul guscio di gigantesche tartarughe. Le Blight Fens sono molto più rigogliose ma altrettanto inospitali per la vita, con miasmi letali che affliggono un ambiente paludoso. Lo Smugglers Cove non è certo esente da pericoli che consumano il corpo e la mente, ma passano in secondo piano rispetto alle attività delle ciurme di pirati che abitano il posto. Bleakstone City offre l’intrigo e la decadenza di quella che una volta era Brightstone city; un luogo dove guardarsi continuamente le spalle.
Infine, il monte Kra. Dove tutti i nodi vengono al pettine, dove la NightQueen che regna sui vampiri, la CroneCrow che flagella l’isola con l’energia malevola della tempesta e le forze che attualmente regnano sul continente si scontrano, mentre una faglia aperta nel cuore della terra manda su di essa un terrore infernale. In uno scenario che conduce alla disperazione, il monte Kra permette di portare la narrazione a un livello superiore.
I Contenuti
Come anticipato, ogni capitolo di The Curse of BloodStone Isle tratta una specifica regione dell’isola, con le sue peculiari caratteristiche. Nel Player’s Gazetteer si trova il diario di viaggio di Adzquille, che riporta minuziose descrizioni dalla prospettiva di chi metta piede per la prima volta sull’isola. Corredato da una cronologia degli eventi principali nella regione, una descrizione delle principali locazioni giocabili e dei PNG più influenti, e una sintesi delle fazioni di spicco. Vengono anche raccontati, sempre nello stile del narratore, i pericoli in cui il viaggiatore può incorrere. Il tutto corredato da indovinelli, canzoni e profezie.
La Cyclopedia racconta invece il dietro le quinte. Esplora i temi e le atmosfere delle varie regioni di BloodStone, racconta i dietro le quinte della loro storia e spiega come sfruttarli al meglio per una narrazione efficace. Tutti i segreti delle locazioni, dei PNG, persino le soluzioni agli indovinelli vengono puntualmente presentati al narratore, oltre a una serie di spunti per l’avventura che, se uniti, permettono di trasformare The Curse of BloodStone Isle in un unico modulo di avventura, in grado di alimentare un’intera campagna. Non mancano le note meccaniche, come le schede dei PNG, alcune tabelle e un interessante sistema di affiliazione a punti, che permette di associare le azioni dei personaggi a uno dei tre grandi pirati che hanno segnato la storia dell’isola.
Recensione di The Curse of BloodStone Isle: Conclusioni
Tirando le somme di questa recensione di The Curse of BloodStone Isle, si deve riconoscere che Mark Rein•Hagen ha svolto un lavoro sontuoso. Impressionante per ambizione e per mole, non è facile trovare ambientazioni che riescano ad avere un quadro d’insieme così chiaro scendendo al tempo stesso così in profondità nel dettaglio. Un gioco in cui nulla viene lasciato al caso, dove antichi e orribili dissidi prendono forma in contorte macchinazioni. Il senso di un destino avverso è incombente, ma non toglie il piacere di giocare.
Quello che propone non è certo di un gioco “facile”. Il narratore dovrà svolgere un lavoro da non sottovalutare, e sfruttare al meglio i consigli dell’autore per mantenere sempre il giusto mood ai livelli ottimali, senza esagerare ma senza lasciarlo sparire. Ma se il vostro tavolo ama un gioco incentrato sul mistero e sull’orrore che bracca costantemente i personaggi, immergendosi in atmosfere intense e anche forti all’occorrenza, sicuramente The Curse of BloodStone Isle fa al caso vostro. E per la cronaca, Mark è già al lavoro sul manuale che espanderà l’ambientazione: oltre l’isola c’è un intero continente da scoprire.
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Abbiamo oggi il piacere di presentarvi la recensione di Journey of the Godslayer, un compendio di The Eren Chronicles per D&D5e. Ringraziamo l’autore Nicos Ostas, che ci ha dato la possibilità di leggere il suo eccellente lavoro. Se volete acquistarlo, lo trovate su DMsGuild al prezzo scontato di 16.96 $. Poco più di 14 euro per un pdf di 96 pagine che nel mese di maggio è stato il prodotto più apprezzato sul sito!
Con l’aiuto di Angelos Kyprianos, Nikolas Totief e George Sfendourakis, Ostas ci regala un piccolo gioiello. Graficamente, l’impaginazione è in perfetta coerenza con i moduli per D&D5e. Questo significa nessun problema a orientarsi per gli amanti del più classico dei giochi di ruolo.
Come ti Ammazzo un Dio
Journey of the Godslayer è un compendio che affronta esattamente l’argomento che promette il titolo: il deicidio. I giocatori di vecchia data, o i più incalliti, ricorderanno in alcune edizioni precedenti di D&D uccidere una divinità non fosse impresa così impensabile. Qualcuno potrebbe ricordare anche una serie di romanzi ambientati nei Forgotten Realms che affrontavano l’argomento. Journey of the Godslayer offre un percorso aggiornato e coerente per quest’obiettivo. Propone non tanto lo scontro diretto con la divinità, ma una serie di obiettivi progressivi volti a renderla affrontabile. Un lavoro con un’idea chiara, ben pensata e ben realizzata.
Journey of the Godslayer: un volume impeccabile
Iniziamo da un’analisi del volume. Come anticipato l’impaginazione è pulita e professionale, e il rispetto dei parametri dei lavori della quinta edizione diD&D rende la consultazione pratica e ordinata. Da questo punto di vista, il punto forte di Journey of the Godslayer sono le illustrazioni. Artwork di livello altissimo, che non sfigurerebbero in un prodotto ufficiale di casa Wizards of the Coast. Il lavoro di ben venticinque artisti diversi dà varietà al volume, senza mai far perdere alle tavole quel senso di filo conduttore che anche una rapida scorsa alle pagine riesce a regalare. Sfogliare Journey of the Godslayer, infatti, dà il rimpianto di non poterne avere una copia fisica, al momento.
Deicidio per Principianti
Ma Journey of the Godslayer non è solo un bel volume senza contenuti. Al contrario, propone materiale interessante, ricco di spunti sia per la creazione da zero di una campagna di lunga durata, sia per l’inserimento di qualche elemento in una cronaca già ben avviata. Spunti che sorprendono per coerenza e organizzazione, soprattutto considerando quanto eccessivo possa sembrare l’argomento.
Alla base dello “sporco lavoro del deicida” c’è la distruzione dei Sette Sacri Sigilli, che garantiscono a una divinità il potere che la rende sostanzialmente imbattibile. Ogni Sigillo è un’astrazione di un aspetto differente del potere divino. Da Sigillo della Giustizia, il primo passo di un voto che vincolerà i PG, a quello del Potere che erode la base della potenza divina, il suo culto. Passando senza poi un ordine predefinito per i sigilli di Onniscienza, Ascensione e Segreti; i quali permettono di nascondersi alla vista della divinità, trovare un modo per riuscire a ferirla e scoprirne i punti deboli. Infine, il Sigillo dell’Arcano e quello dell’Eternità permettono di raggiungerla e, infine, affrontarla.
Journey of the Godslayer: strumenti per giocatori
Dopo aver presentato il percorso per il deicidio, Journey of the Godslayer presenta una serie di opzioni per i giocatori. Il punto di partenza sono dodici differenti Domini Divini. Partendo da questi sviluppa un sistema di offerte e benedizioni da un lato, e di sacrilegi e castighi dall’altro. Il gioco viene così arricchito da opzioni non direttamente connesse alla progressione del personaggio. Queste possono essere gestite con un pratico sistema di Punti Influenza. D’altra parte, questa meccanica non va necessariamente implementata, permettendo anche un utilizzo più narrativo delle ricompense per ogni atto gradito, o sgradito, agli dei.
Ci sono inoltre diciassette Teurgie, incantesimi di decimo livello pensati proprio per interagire con il mondo divino. E soprattutto dodici differenti sottoclassi, una per ogni classe (è compreso l’Artefice) abbinata a un differente dominio. Quello che maggiormente colpisce sono gli abbinamenti. Mai scontati, propongono evoluzioni uniche e originali per i personaggi. Davvero una sorpresa; scelte più convenzionali non avrebbero affatto deluso, ma questo piccolo azzardo è un valore aggiunto non da poco.
Risorse per il Dungeon Master
Journey of the Godslayer offre inoltre svariati strumenti per i Dungeon Master. Oltre al sistema di Punti Influenza, è possibile scegliere tra svariati artefatti di natura divina. Gli Arcitempli presentati da soli potrebbero reggere il filone principale di un’intera cronaca. Infine il piccolo bestiario di avatar divini, che possono essere utilizzati per le statistiche dell’agognato scontro finale con la divinità.
Anche in questo caso è ricorrente il numero dodici. Ogni elemento presentato nel compendio viene infatti declinato su dodici Domini divini presentati nel manuale.
Conclusioni della recensione di Journey of the Godslayer
In definitiva, Journey of the Godslayer è un prodotto estremamente consigliato. Versatile, adatto tanto ad ispirare lunghe cronache quanto a gestire tie-in più contenuti. Un volume ricco di materiale ben progettato e presentato. Rendere giocabile con coerenza un’impresa titanica quale il deicidio non era un’impresa facile, ma Ostas ci è riuscito in maniera encomiabile.
Quindi se avete voglia di regalare ai vostri giocatori un’avventura unica, che ridefinisca rigorosamente al rialzo il concetto di epico, non esitate a dare un’opportunità a un volume che non deve assolutamente mancare nella vostra libreria digitale.
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Oggi abbiamo provato per voi (e scritto una recensione di) 42 Guns, un atipico gioco di ruolo tutto italiano a firma di Iacopo Frigerio. Impreziosito dal lavoro artistico di Emanuele Desiati e pubblicato da Space Orange 42, è disponibile sullo store ufficiale della casa editrice al prezzo di 19.90€, solo in versione fisica.
Siete pronti a entrare in un mondo fantastico e brutale? Risolverete i conflitti a colpi di pistola, o cercherete la via della conciliazione? Riuscirete a mantenervi lontani dal pericolo della Corruzione e a portare a termine la vostra Cerca? Il destino del regno di Cydonia è nelle vostre mani.
Introduzione della Recensione a 42 Guns
“Io non gioco con i dadi: chi gioca con i dadi ha dimenticato il volto di suo padre.”
Se avete riconosciuto questa citazione nonostante la storpiatura, allora potreste essere interessati a dare una chance a 42 Guns. Il gioco è infatti pensato per replicare le Gesta dei Pistoleri, un po’ paladini fantasy un po’ sceriffi western. L’ispirazione è evidente, il western fantasy sporcato di sci-fi di Stephen King: la saga de La Torre Nera. Ciò che rende però unico 42 Guns è il sistema di gioco, di cui vi parlerò più avanti, ma soprattutto la scelta di non farne un manuale. L’intero regolamento, ambientazione compresa, è pubblicato sul retro dello Schermo del Master. Una scelta inusuale, che ha i suoi pro e i suoi contro.
In un Mondo che è Andato Avanti…
Mettiamo subito le cose in chiaro: 42 Guns non vi darà un’ambientazione pronta da giocare. Troverete uno spunto, una traccia che delinea i tratti principali del mondo di gioco. Una caratterizzazione di base su cui innestare le Cerche dei vostri personaggi. Un tempo, Re Arthur David e i suoi 100 Cavalieri proteggevano i Cardini dell’Universo con l’ausilio di magia e tecnologia. Ma l’intervento di Mordred, il Re del Sangue, corruppe quest’ultima, disgregando l’ordine e portando il mondo sull’orlo della rovina. Oggi soltanto la Vergine Celeste che siede sul trono di Cydonia cerca di mantenere l’ordine, con l’ausilio dei suoi Pistoleri armati di GUNS: armi dei tempi del mito riforgiate in revolver a 7 colpi. Troverete poco più di questo. Le fonti d’ispirazione sono evidenti, le suggestioni anche. La Torre Nera, il video di Knights of Cydonia dei Muse, il Ciclo Arturiano.
Starà al Game Master ideare gli ambienti in cui i personaggi si muoveranno, riunendosi in una Compagnia nel tentativo di conseguire l’obiettivo della loro Cerca. Il rischio di essere sopraffatti dalle orde del Re del Sangue o dalla corruzione sarà tuttavia sempre dietro l’angolo. Riuscirete a salvare Cydonia?
42 Guns: Recensione del Regolamento
Anche qui, partiamo chiarendo subito un punto: 42 Guns è un gioco di ruolo diceless. Niente dadi che rotolano sul tavolo, niente tarocchi, niente segnalini. Soltanto una plancia, su cui scegliere dove piazzare i propri “colpi”, risorse limitate a disposizione dei pistoleri. Un sistema che potrebbe ricordare forse più un gioco da tavolo che un classico gioco di ruolo, e che sicuramente coglierà più preparati gli habituè dei sistemi Powered by the Apocalypse. Ma non c’è di che spaventarsi. Le regole sono molto semplici, e vanno a coprire categorie di azioni abbastanza ampie da poter prevedere tutto quello che ha bisogno di una meccanica per essere risolto.
La creazione del personaggio è estremamente veloce: dovrete scegliere un nome e poi descrivere l’aspetto del personaggio, la qualità che lo rende un nobile cavaliere e la forma della sua GUN. Il gruppo definirà la Cerca, e sarete già pronti per giocare. È consigliabile che il Game Master si impratichisca prima con il sistema: la plancia può risultare piuttosto insidiosa a una prima occhiata, ma una volta rodato il sistema il suo impiego è semplicissimo. Da qui, il gioco si dipana in maniera abbastanza naturale. Si raccomanda al Game Master di avere sempre un numero di risorse maggiori rispetto a quelle dei giocatori, di essere sempre un passo avanti e di puntare a far acquisire loro quanta più Corruzione possibile: la Corruzione infatti allontana dalla conclusione della cerca, e un pistolero completamente corrotto si allontanerà definitivamente dalla via del Bianco. Pardon, di Cydonia.
Cosa Acquistiamo?
Arriviamo al punto dolente di42 Guns, la parte editoriale. Lo schermo del GM su cui è stampato tutto il necessario per giocare è solido, e di uno spessore maggiore delle sue contrparti dedicate ad altri giochi; quasi quanto la copertina di un manuale vero e proprio, in effetti. Ma ha solo tre tavole utili, e sono decisamente poche anche per del materiale così compresso.
Avrei preferito di gran lunga avere almeno un’altra pagina in più a uno spessore minore: avrebbe permesso di spiegare molto meglio il regolamento, che invece in questo modo risulta confuso e caotico. E se sulla qualità della parte esterna dello schermo non ci si può lamentare, altrettanto non si può dire del lato interno. Non è stampato direttamente sullo schermo, si tratta di fogli incollati successivamente, creando un effetto piuttosto sgradevole.
Inoltre la scheda del personaggio, o per meglio dire dei personaggi visto che ne presenta due sullo stesso foglio, arriva tutta stropicciata perché inserita all’esterno dello schermo, tra questo e il cellophane. Sarebbe bastato proteggerla all’interno dello schermo. Da questo punto di vista è un prodotto che purtroppo non vale il suo prezzo, pensato e realizzato senza la cura che avrebbe meritato. Nonostante il materiale impiegato sia decisamente robusto.
Conclusioni della Recensione di 42 Guns
Personalmente non sono un fan dei sistemi Powered by the Apocalypse; ma non posso negare che in questo caso sia prettamente funzionale all’esperienza di gioco. Che è bene sottolinearlo, è pensata per storie non particolarmente lunghe, che si concludano nel tempo di una Cerca: il Game Master è incentivato a non temporeggiare, riempiendo i tempi morti con azione e colpi di scena.
Uno stile di gioco dinamico e cinematografico, per personaggi che attingono a piene mani dall’immagianrio pop. L’ambientazione minimale non si percepisce affatto come un limite, in questo contesto, e il sistema richiede solo un po’ di pratica. Sicuramente 42 Guns si pone come un prodotto adatto a gruppi di giocatori già scafati, sia come meccaniche che come tematiche. Proprio per questo motivo la poca cura con cui è stato “confezionato” fa storcere ancora di più il naso. In ogni caso è decisamente consigliato per i giocatori appassionati de La Torre Nera che abbiano voglia di provare qualcosa di diverso dal solito.
Oggi vogliamo ringraziare Dragon Turtle per averci messo a disposizione una copia di Interlinked – a Carbon 2185 Mission Book per presentarvi questa recensione. Come suggerisce il nome, si tratta di una serie di avventure, collegate tra di loro, per Carbon 2185; a firma di Andrew J. Lucas e Ty Moore. Se non conoscete ancora quest’ambientazione cyberpunk per D&D5e, vi consigliamo di recuperare subito la nostra recensione. Noi ne siamo rimasti entusiasti!
Per quanto riguarda Interlinked, invece, potete trovarla in vendita su Drivethrurpg, un pdf di 67 pagine al costo di 13.83 dollari. Poco più di 11.50 euro, con una votazione media piuttosto alta nonostante… lo vedremo dopo.
Recensione di Interlinked: di Cosa si Tratta?
Come detto, ci troviamo davanti ad un pdf di 67 pagine, che raccoglie tre avventure interconnesse tra di loro. A dirla tutta le prime due avventure, Roadblock ed End Run, servono a preparare lo scenario per Interlinked. L’avventura è parca di illustrazioni, ma queste sono tutte di livello altissimo; un vero piacere per gli occhi. Per il resto il manuale ha un’impaginazione fortemente improntata alla leggibilità, che ben si concilia con le atmosfere cyberpunk del gioco. Perfetto stile Carbon 2185, insomma.
Il manuale contiene anche un piccolo “bestiario“, con le schede pronte dei png e dei minion presentati nell’avventura. Qui qualche illustrazione in più sarebbe stata appezzata, ma non indispensabile.
Interlinked: la Recensione dell’Avventura
Vogliamo lasciarvi il piacere di scoprire da soli la storia e i colpi di scena di Interlinked. Vi riportiamo quindi direttamente le parole degli autori:
“Un nuovo sintetico sperimentale è stata danneggiata e abbandonata in seguito a un incidente in un impianto di lavorazione del cibo. Il modello Nightingale è stata destinata allo smantellamento e rispedita alla struttura per i reclami della Villeneuve Robotics. Alla consegna, però, il sintetico è stato segretamente allontanato dalla struttura. Il capo meccanico dello stabilimento di Frisco, Thomas “Willy” Williams, all’oscuro dei dirigenti ha intrecciato una relazione con il sintetico. E non può sopportare di vederla distrutta.
Sarà lei a contattare i cyberpunk in cerca d’aiuto, per vendicarsi della corporazione che l’ha abbandonata e per liberare i suoi fratelli sintetici intrappolati. Ha un forte risentimento verso l’umanità, e in particolar modo verso la corporazione che l’ha creata, ma sa di avere bisogno di alleati per guadagnarsi la libertà.”
Roadblock ed End Run permettono ai PG di iniziare a prendere confidenza con l’ambientazione e con le meccaniche. Vengono progressivamente introdotti nella storia che decolla poi in Interlinked, in una rapida escalation di eventi.
Le scene sono descritte in maniera molto doviziosa, forse addirittura troppo alle volte: c’è il rischio diventino dispersive, in particolar modo quando ci si avvicina al gran finale. Le sfide possono essere affrontate con vari approcci, e non sempre quello più ovvio – e più violento – è il migliore.
Hacking, furtività e spionaggio possono rivelarsi risorse fondamentali, se i cyberpunk vogliono vedere la fine dell’avventura.
Punti di Forza
Quello che abbiamo particolarmente apprezzato di Interlinked è che il cyberpunk non è soltanto cosmetico, come spesso accade. Quello delle intelligenze artificiali e degli organismi sintetici che rivendicano la propria autonomia è uno dei temi più cari al genere, un vero classico. Non è semplicemente D&D con arti meccanici e internet, ma un cyberpunk degno di questo nome.
Certo, va precisato che Carbon 2185 rimane comunque un’ambientazione per D&D 5E. E in quanto tale ha un particolare focus sull’azione, con sfumature investigative e ampi margini di interpretazione. Ma non è pensato per approfondire più di tanto gli aspetti sociali e politici di questo tipo di gioco.
Un peccato per certi versi, ma appunto: chi lo sceglie vuole portare il cyberpunk nel mondo, e nello stile, di D&D. Se volete altro, troverete sicuramente altri giochi che sanno farlo meglio.
Interlinked fa quello che si propone di fare, e lo fa in maniera impeccabile.
Error 404
Veniamo ora al punto dolente di questa recensione di Interlinked. La votazione dell’avventura su Drivethrurpg è molto buona, dicevamo, 4.5 stelle su 5. Nonostante come prodotto abbia dei gravi difetti.
Non ci sono infatti le mappe di tutte le locazioni descritte, e non sempre le descrizioni sono sufficienti a farsi un’idea abbastanza accurata. Cosa ancora più grave, alcuni paragrafi sono incompleti, laddove c’è il taglio della pagina; altri ancora sono ripetuti più volte in sequenza. Errori piuttosto banali e anche frequenti, molto grossolani. Imperdonabili in un prodotto amatoriale, figurarsi in uno a pagamento.
Inoltre, Interlinked presenta una sezione sui ganci per l’avventura piuttosto sintetica, senza neanche specificare il numero dei pg e il loro livello. Questi possono essere capiti solo leggendo l’avventura (per la cronaca, 4 pg di primo livello, partendo con Roadblock).
Non ci sono consigli su come riadattare le sfide per gruppi composti differentemente. Cosa ancora più grave, visto il tema dell’avventura, non c’è alcun consiglio su come gestire un personaggio sintetico, visto che si tratta di una delle stirpi disponibili nel manuale base di Carbon 2185.
Intendiamoci: nulla che impedisca di utilizzare l’avventura. Le mappe si creano con facilità, e i paragrafi mancanti non compromettono in alcun modo l’esperienza. Ma è un peccato compromettere in questo modo del materiale così buono, per quella che sembra quasi la fretta di chiudere il lavoro prima di un’adeguata revisione.
Recensione di Interlinked: Conclusioni
In conclusione, Interlinked è un’ottima avventura, con un’ottima confezione e un pessimo assemblaggio. Incarna perfettamente lo spirito di Carbon 2185, che cerca un compromesso tra il cyberpunk di altri giochi e un approccio più “d&desco”, classico. Ma non per questo tradisce quelli che sono i capisaldi del genere.
Al master non sarà richiesto chissà quale impegno per porre rimedio al materiale mancante, e avrà modo di proporre ai suoi giocatori un gioco estremamente dinamico e godibile. Da questo punto di vista sicuramente Interlinked è promossa e consigliata; d’altro canto, Dragon Turtle merita fiducia ma anche tirate di orecchie, perché non si adagi su standard di produzione piuttosto bassi.
Oggi ringraziamo Spiral Lane Productions per averci messo a disposizione una copia della seconda edizione di Meteor Tales, dandoci la possibilità di provarlo e darvi le nostre impressioni in questa recensione. Spiral Lane Productions è una casa di produzione indipendente che si occupa di giochi, libri e musica. Il fondatore, Angelos Kyprianos, è anche l’ideatore e autore di Meteor Tales.
Impreziosito dalle illustrazioni di Charidimos Bitsakakis, il gioco è disponibile sul suo store ufficiale in tre differenti versioni. Paperback a 35 €, copertina rigida a 50 € e pdf, a 19,99 €. Sul sito è disponibile svariato altro materiale, parte del quale gratuito. Potete restare aggiornati sui progetti di Meteor Tales seguendone la pagina Facebook.
Meteor Tales è un gioco di ruolo dal taglio molto classico, un’ambientazione high fantasy in cui affrontare avversari temibili e creature mostruose. Fino a sognare l’agognato potere degli dei. Fondamentali nello spirito del gioco, le divinità rendono la loro presenza difficile da ignorare. Dopo tutto, pur essendo esterne al mondo di Vitallia, lo hanno plasmato in quello che è oggi. Anche se più spesso in male che in bene.
Nonostante la premessa dell’autore sia quella di mettere sempre al primo posto il ruolo e l’interpretazione, il regolamento è parecchio corposo. Di 400 pagine, 386 sono dedicate alle meccaniche, e solo le restanti all’ambientazione. Per quanto vada detto che nel corpo del volume ci siano parecchi rimandi ad essa. Del resto Meteor Tales si propone come un gioco dal regolamento volutamente articolato, allo scopo di rendere l’esperienza di crescita e combattimento dei personaggi realistica. Per lo meno, quanto più realistica possibile. Scopriamo se ci riesce.
Impressioni sul Volume
Innanzitutto partiamo dal volume. Probabilmente la nota più dolente in questa recensione di Meteor Tales ma, come si dice, via il dente via il dolore. L’impaginazione è decisamente troppo spartana, si limita a dividere il testo in due colonne. Diventa difficile distinguere paragrafi e sottoparagrafi, e capita spesso di avere un titolo a fondo pagina con il testo che inizia alla pagina successiva. Questo sicuramente non agevola la lettura, anzi in certi casi la rende piuttosto difficoltosa, oltre che poco piacevole.
Le illustrazioni sono poche, e per la maggior parte in bianco e nero; come del resto è il layout delle pagine. In sé non è un difetto, anzi: probabilmente gli artwork in bianco e nero, con il loro effetto sketch, sono i più belli. Il problema è che anche qui le scelte non agevolano la lettura: si tratta per lo più di immagini cui è dedicata un’intera pagina ma prive di sfondo, che quindi finiscono per lasciarla piuttosto vuota. L’effetto è un po’ sgradevole all’occhio, mortificando illustrazioni che avrebbero meritato una maggior cura. C’è inoltre una scelta autoriale che lascia perplesso il lettore. L’ambientazione è condensata alla fine del manuale, ma ha continui rimandi nella parte precedente. Questo rende a tratti difficile orientarsi in quello che si sta leggendo.
Da questo punto di vista, niente illusioni: Meteor Tales ha tutta la passione e tutti i limiti di una produzione indipendente. Kyprianos, del resto, dichiara apertamente che si tratta di un progetto che porta avanti sin dall’infanzia.
Meteor Tales: la Recensione delle Meccaniche
Passiamo a quello che si propone come un punto di forza di Meteor Tales: il regolamento. Come accennato, l’obiettivo è quello di permettere un’esperienza di combattimento e crescita del personaggio realistiche. Quanto più realistiche possibile, quanto meno, vista la necessità di trovare un compromesso tra realismo e giocabilità.
Sicuramente Meteor Tales prova a sbilanciarsi verso la prima delle due. La meccanica di fondo è semplice: ottenere sul d100 un risultato inferiore al proprio punteggio nell’abilità. Ma abituatevi all’idea di tirare molto spesso i dadi, sia per le prove che per gli effetti numerici. C’è un’abilità, una condizione o una manovra per ogni evenienza.
Creazione del Personaggio: le Basi
La creazione del personaggio è molto minuziosa. Il giocatore può scegliere tra ben dieci razze: esseri umani, elfi e nani rientrano nel classico standard dell’immaginario fantasy. Sono accompagnati dai brutgor, fieri e rudi umanoidi con sangue di gigante; dai sarcanta, creature orgogliose del loro retaggio draconico; dagli anemici sirakrat, alimentati dal fervore religioso; dai seranian, di parziale natura vampirica; dai minuti e selvatici fay; dagli alieni medai, dai capelli di gorgone; dagli alati e massicci gargoyle, noti per la loro pazienza e per il loro istinto protettivo; e infine dai gaal, di natura più spirituale che materiale.
Ogni razza determina i punteggi di caratteristica di partenza e le capacità base del personaggio. È importante notare che in Meteor Talesle caratteristiche non sono espresse con un valore numerico, ma vanno da Bassa a Leggendaria. Passando per Media, Alta ed Eccezionale (solo creature sovrannaturali possono avere caratteristiche ancora migliori). Ad ogni grado di caratteristica sono associati una serie di modificatori, di valori fissi o di dadi, a seconda dell’impiego.
Ad esempio, Might, la caratteristica che regola la potenza fisica, se Alta permette di infliggere 1d8 di danni in combattimento, di lanciare le armi da tiro entro 8 caselle, di tirare 1d8 nelle prove contrastate per la lotta e, in generale, per tutte le prove in cui sia coinvolto l’uso della forza bruta.
Rifiniture dei Personaggi
Dopo la razza il giocatore sceglie la religione del personaggio, come dicevamo un elemento fondante del gioco anche se non dal punto di vista delle meccaniche. E quindi la sua nazionalità, che implica anche le lingue parlate e il modo in cui verrà percepito dagli altri. Tocca quindi alla scelta del Path, il percorso che determina le capacità e le competenze del personaggio.
I Path possono essere di tre tipi: i dieci Path di guerra permettono diverse specializzazioni nel combattimento, gli otto di stregoneria di approfondire altrettanti diversi tipi di magia. I sei Path ibridi permettono invece di mischiare le due cose. I percorsi sono ben differenziati e caratterizzati, e permettono di creare personaggi ben distinguibili.
Infine tocca all’origine, il background del personaggio, che conferisce dei bonus ad alcune abilità, e si può procedere con il fissare queste ultime. Mancano i tocchi finali: la definizione dei tratti dipersonalità, semplici linee guida per l’interpretazione, e della classe sociale del personaggio.
L’Esperienza in Meteor Tales
Le abilità sono divise in tre categorie: abilità pratiche, abilità teoretiche e mestieri. Da un punto di vista meccanico funzionano allo stesso modo, utilizzando il d100. Ma le tre categorie sono fondamentali per la crescita attraverso l’esperienza.
Proprio l’esperienza è un fattore cruciale di Meteor Tales. Il gioco si propone un obiettivo molto specifico: far crescere le abilità con il loro utilizzo. Quando un’abilità viene allenata, usata per studiare o impiegata direttamente, i punti esperienza ad essa associata salgono. E lo fanno secondo una serie di precise formule legate sia al punteggio della caratteristica di Awarenessdel personaggio, sia alla categoria in cui rientra l’abilità. L’obiettivo è calibrare la crescita del personaggio su quello che realmente fa.
Sicuramente un’intuizione interessante, che si propone come uno dei punti di forza di Meteor Tales. Purtroppo non si rivela altrettanto funzionale. È vero che questo gioco si rivolge a un pubblico che ha voglia di tener conti e tirar dadi, ma l’aggiornamento costante della scheda ad ogni singolo tiro è tutt’altro che pratico. Non aiuta certo a immergersi nel personaggio.
Anzi, probabilmente aiuta a pensare più alla scheda che al gioco. Inoltre questo modo di procedere tende aforzare le scelte in gioco, disincentivando la ricerca di soluzioni alternative. Un giocatore sarà invogliato a cercare un modo per usare sempre le abilità che vuole portare avanti, trascurando le altre anche se sarebbero una scelta più coerente.
Si tratta di un sistema interessante, ma è un gioco che non sempre vale la candela.
La Recensione del Combattimento di Meteor Tales
Altro punto controverso è il sistema di combattimento. Il gioco è di suo molto ricco di fattori da tenere in considerazione. Manovre comuni a tutti i personaggi, manovre che richiedono uno specifico Patho una specifica razza, reazioni, reazioni focalizzate (che a differenza delle precedenti interrompono l’azione che le innesca). Considerando che ogni arma può ricadere in una di quattro differenti portate per il suo attacco, al di fuori della quale è inefficace, i fattori che influenzano il combattimento sono tanti. Forse troppi, anche solo per elencarli. Mi soffermo sugli elementi più significativi, per originalità o perché cruciali.
L’iniziativa non segue il classico sistema a round, ma si svolge per una conta di secondi; anziché aspettando il proprio turno, i personaggi agiscono con una cadenza legata al proprio punteggio di Instinct. Più questo è alto, più frequentemente agiscono. Sicuramente interessante, ma una complicazione ulteriore di cui tenere conto.
I giocatori devono inoltre tenere conto del proprio punteggio di Stamina, determinata dall’Endurance: ogni singola azione consuma Stamina, con possibilità di recupero molto ristrette. Raggiungere lo zero significa essere incapaci di agire. Di nuovo, conti che si aggiungono agli altri.
Infine, il danno può esserelocalizzato o universale. Ovvero andare a colpire una specifica locazione del corpo (ogni razza ha una specifica tabella da seguire) o danneggiarlo interamente. A seconda del tipo di danno, gli effetti sul corpo sono diversi. Inoltre ogni locazione ha una specifica tabella da seguire.
Non c’è bisogno di andare oltre nella recensione di quest’aspetto di Meteor Tales per capire che va giocato manuale alla mano, prestando più attenzione alle schede che alla narrazione, a dispetto delle premesse fatte dall’autore. Certo è una scelta che può piacere, ma se si eccede il gioco potrebbe diventa poco fruibile.
Meteor Tales: la Magia
Il sistema di magia merita una menzione d’onore. Non alleggerisce certo le ingombranti meccaniche di Meteor Tales, ma la divide in otto scuole estremamente ben caratterizzate.
La magia delle bestie permette di assumere i poteri delle creature uccise, quella druidica di unirsi alla natura selvaggia. La magia del sangue permette di utilizzare la propria sofferenza fisica, quella della necromanzia di sfruttare l’energia vitale. Un prete può sacrificare qualcosa agli dei perché intercedano per lui, uno psionico può cercare la forza della propria concentrazione per tradurla in effetti sovrannaturali. Ma la fonte della magia può anche essere la Sentinella, il guardiano del nucleo del pianeta, o il Pantheon, l’energia di cui è intriso il tessuto stesso della realtà.
Ogni tipo di magia va “estratta” in un modo specifico, strettamente collegato alla sua caratterizzazione. Ogni estrazione comporta un certo numero di cariche, che poi il mago può utilizzare per lanciare incantesimi. Un sistema ancora una volta macchinoso, ma che rende la magia interessante. E il mago estremamente legato al contesto con cui va a interagire.
C’è la possibilità che questa panoramica veloce sugli elementi principali di Meteor Tales vi lasci un po’ confusi. Purtroppo rispecchia l’esperienza di chi legge il regolamento. Troppo articolato per essere anche intuitivo. Si tratta di un sistema che va studiato a lungoper essere padroneggiato. In compenso, una volta consolidate le basi, la possibilità di avere un riferimento per tutto, o quasi, è sicuramente degna di nota per chi ama tirare dadi con frequenza.
Di Mostri, Dei e Catastrofi
Infine, Meteor Tales presenta un bestiario moderatamente fornito, un accenno alla cosmogonia di Vitallia e una decina di pagine sulla sua storia. Nulla di troppo dettagliato, non c’è una cronologia. I vari regni, accennati con rapidissimi tratti nella fase di creazione del personaggio, non sono neanche nominati.
L’ambientazione è ridotta al racconto di come le divinità giunte da un altro mondo siano arrivate allo scontro con la Sentinella, il guardiano di Vitallia stessa. E di come questa ne sia rimasta ferita e danneggiata. Di come questa guerra abbia spinto la Sentinella a creare le varie razze intelligenti, che hanno preso parte alla guerra. Finendo per evocare Nedel, guerriero di un altro mondo dalla forza così smisurata da costringere le due fazioni ad allearsi per cercare di sconfiggerlo. Senza riuscirvi se non confinandolo in una cella la cui creazione ha richiesto il sacrificio di un intero continente.
Una storia di fondo che richiama stilemi dell’high fantasy più spudorato (in senso buono). A mio avviso presenta tutte le ingenuitàdi una storia nata giocando cui è stata data una coerenza autoriale solo in un secondo momento. Oltre a qualcheincoerenza, come Nedel che riesce a sfuggire alla sua prigione per essere sconfitto da un’alleanza di città di razze mortali. Laddove l’unione degli dei e della Sentinella aveva fallito.
Ma che nel complesso riesce a rimanere godibile.
La Recensione di Meteor Tales: Conclusioni
Andiamo a tirare le somme di questa recensione di Meteor Tales. Parliamo di un gioco sicuramente molto curato, che punta a dare un’esperienza di gioco altrettanto precisa. Regole ingombranti, molto articolate e per qualsiasi situazione. Creazione del personaggiominuziosa, costruita attraverso svariati elementi. Ambientazione profondamente high fantasy, con margini di crescita per i personaggi molto alti e di inventiva per il master decisamente ampia.
Sicuramente è un prodotto destinato a chi ama lanciare i dadi almeno quanto descrivere cosa fa il proprio personaggio. Ha una serie di innovazioni meccaniche che purtroppo intralciano il gioco più di quanto non lo migliorino, per quanto riguarda i miei gusti. Una serie di mancanze nell’ambientazione che meritava di essere colmata già nel manuale base, e non riservata a quelli accessori. Ma nel complesso farà sicuramente la gioia di chi apprezza uno stile di gioco fatto di matite, dadi e combattimenti epici.
Se vi è piaciuta questa recensione di Meteor Tales, continuate a seguirci per scoprire altri giochi di ruolo!
Ringraziamo Myth Press per averci messo a disposizione una copia di Incubus GDR, permettendoci di realizzarne questa recensione. Potete acquistarlo direttamente sul sito di Myth Press, al prezzo di 24.90 € (o 9.90 € in versione digitale). Sul sito ufficiale del gioco è disponibile anche un blog, con materiale di supporto e articoli che vanno a espandere temi solo accennati nel manuale.
Incubus GDR, un lavoro tutto italiano di Mirko Biagiotti e Luigi D’Acunto, è un gioco di ruolo espressamente dedicato a un pubblico maturo. Può essere inquadrato come post-apocalittico, vista l’ambientazione. Ma il focus di Incubus GDR è sicuramente quello dello scontro tra civiltà: i giocatori sono chiamati a scegliere tra varie fazioni, raggruppate in due schieramenti contrapposti. Quando l’umanità è caduta si è spaccata in due. Da un lato la tecnocrazia, un freddo illuminismo che mette da parte qualsiasi tradizioni e sentimenti in nome del bene ultimo dell’umanità. Dall’altro i Volk, ribelli cui questa distaccata utopia sta troppo stretta che si rifugiano nel misticismo.
Circa l’80% della popolazione mondiale è stato sterminato; la ricostruzione è iniziata, la tecnologia ha raggiunto sviluppi che il mondo di prima avrebbe solo sognato. Sceglierai di spingerla ancora più oltre o preferirai rifugiarti in una fede confortante e barbarica?
Incubus GDR: Recensione della Nuova Era
“L’uomo ha consumato la propria dimora, l’antico mondo in cui è nato, lasciandosi dietro un deserto di polvere macchiata dal rosso del proprio sangue. Valli di cenere fumante e mari di sale si aprono la strada tra le rovine di una civiltà estinta e, tra i lampi verdi di questo nuovo mondo covato dalla cenere, qualcosa scintilla nell’oscurità. La Nuova Era ha inizio: una rinnovata specie terrestre solca i mari argentei e le meravigliose foreste lucenti più consapevole, ma pur sempre umana. Una nuova storia ha inizio nell’eco morente della nostra.”
Con queste parole di presenta Incubus GDR, mettendo subito in chiaro lo spunto d’ambientazione. Un mondo molto simile al nostro, sovraccarico, sovraffollato, bellicoso e inquinato. Un mondo collassato sotto il suo stesso peso, che la guerra prima e la catastrofica apparizione degli Incubi poi hanno falcidiato, mettendolo in ginocchio.
Sulle rovine della nostra civiltà ne sono sorte altre; si sono formate aristocrazie, che in maglie sempre più strette hanno assunto il controllo di quanto restava delle città civilizzate. Hanno monopolizzato le tecnologie più avanzate, costruendo fortezze e cercando di raggiungere l’utopia di una civiltà transumana. Una soluzione in cui non c’è posto per tutti; non per coloro che rivendicano ancora il diritto alla propria libertà. E che abbracciano quindi culti dimenticati da tempo, diventando mistici, sciamani e rivoltosi.
Tecnocrati…
Ecco quindi il cuore del gioco: il conflitto tra le due fazioni principali. Il setting è ambientato principalmente in Europa centro-orientale. Tra lande desolate e impossibilità di comunicare con le Americhe o con l’Asia, c’è comunque uno spazio di gioco abbastanza vasto da scegliere dove orientarsi.
I personaggi giocanti, come anticipato, possono appartenere a due distinte società: i Tecnocrati o i Volk, i manipolatori distopici o i ribelli pagani.
Alla creazione del personaggio si potrà scegliere tra sei tipologie di personaggio, tre per ogni fazione.
I Tecnocrati offrono tre famiglie, ognuna delle quali detiene una considerevole fetta di potere all’interno delle sue città. I Denart sono stati gli ideologi dell’attuale filosofia della tecnocrazia; pragmatici, realisti e razionali. Dei perfezionisti che si sono dedicati al miglioramento di sé attraverso la manipolazione genetica. I Dogi sono i custodi delle informazioni e della rete tecnologica dell’intera società tecnocrate; maestri della rete e delle architetture elettroniche, vivono quasi in simbiosi con esse. I Gerush, di origine mediorientale, compongono la famiglia meno numerosa ma più longeva. Militareschi nel pensiero e nello stile, adottano soluzioni cibernetiche e nanotecnologiche per potenziare sé stessi e i loro armamenti.
… O Volk?
Dall’altro lato i Volk non si radunano in famiglie, abbandonando il proprio cognome. Preferiscono unirsi in culti fanatici. Il culto degli Asura venera i quattro dei che proteggono la fertilità, la lussuria, la gloria, il potere, il vizio, l’avidità e la superbia. Esasperano sé stessi e i propri bisogni, ambendo ad ottenere sempre più, a qualsiasi costo. Il culto di Kneter è monoteista, e Mundus il suo dio è il signore del caos. Individualisti e imprevedibili, mirano a conoscere la loro divinità sperimentando l’universo. E sfruttando i legami di causa ed effetto nell’universo generano il caos. Il culto Sidera raduna i più ascetici tra i Volk. Ricercano gli Aesir, divinità trascendenti, e nel trovarli in ogni cosa si sottraggono ala materialità cercando di raggiungere la trascendenza.
Le sei tipologie di personaggio sono sicuramente ben pensate, qualcuna sicuramente meno originale delle altre. In generale, il focus di Incubus GDR è il conflitto tra Tecnocrazia e Volk; a lungo andare però risente della mancanza di opzioni. Non è una questione di numero, quanto una scelta limitata soltanto a personaggi che siano già attiva parte di questo conflitto. Si sente la mancanza di giocare sulle sfumature, o di costruire un percorso di appartenenza; i pg sono parte di una delle tre grandi famiglie della Tecnocrazia o di uno dei tre culti, senza vie di mezzo.
Incubus GDR: Recensione di un Sistema Semplice, ma non troppo
Come si evince da questa recensione, una delle premesse su cui si incentra Incubus GDR è quella di avere un sistema di gioco estremamente semplice. E andando al nocciolo questo è vero. I giocatori distribuiscono 200 punti tra cinque Attributi primari, con un punteggio compreso tra un minimo di 1 e un massimo di 100. Le prove vengono superate con un Check: lancio di un dado percentuale con l’obiettivo di ottenere un risultato pari o inferiore al valore dell’Attributo coinvolto. Vi sono inoltre alcuni Attributi Secondari, che vengono calcolati a partire da punteggi bonus associati a quelli principali.
La semplicità, purtroppo, termina qui. Ad ogni Attributo è associato un certo numero di Competenze, ciò che il personaggio sa effettivamente fare o meno, a seconda del punteggio. Il problema è che le Competenze sono più di ottanta, e molte di esse hanno meccaniche dedicate: alcune non hanno un effetto attivo ma danno solo dei bonus passivi. Perdere l’orientamento diventa molto facile, la scelta è tutt’altro che facile. I Check senza l’adeguata competenza sono, ovviamente, fortemente penalizzati.
Da qui si selezionano le Peculiarità del Personaggio, tra cui il Fanatismo (che gli permette di utilizzare le proprie abilità speciali), le Risorse di Accessibilità e la Sanità. Vi sono inoltre tre Tratti da scegliere in un elenco, che forniscono ulteriori vantaggi minori ai personaggi.
Incubus GDR: Poca Immediatezza, Poca Narrazione
Il sistema di gioco vorrebbe porre l’accento sulla narrazione, grazie alla praticità del singolo lancio del dado percentuale. Tuttavia l’impianto appare piuttosto farraginoso, soprattutto quando si arriva al combattimento: sommare il Bonus Attributo con quelli derivanti da Equipaggiamenti, Competenze e Capacità non è immediato. Il calcolo dei danni con locazioni e protezioni dai differenti valori rende il tutto ancora più complesso da gestire.
È disponibile una serie molto variegata di armi, protezioni e veicoli; vista l’ambientazione futuristica di Incubus GDR è prevedibile, ma avrei apprezzato scelte più compatte e pratiche. Paradossalmente i cybertools, i classici potenziamenti cibernetici, trovano poco spazio, quando al contrario sarebbe stato interessante avere maggiori esempi.
Personaggi Fanatici
Alla base delle capacità speciali dei personaggi c’è il Fanatismo, un punteggio che misura la forza di convinzione che hanno nel proprio credo o nella propria filosofia. Più il Fanatismo cresce, più i loro poteri sono efficaci e più ne espandono le capacità.
Ogni tipologia di personaggio ha capacità specifiche ben caratterizzate, con più opzioni per evitare eccessive sovrapposizioni. Ognuna di queste è introdotta da una breve introduzione narrativa, per non relegare tutto alla descrizione di una meccanica di gioco.
Per i Volk questo sistema funziona benissimo. Quando si passa ai Tecnocrati il naso inizia a storcersi un po’. Ha perfettamente senso che poteri di origine mistica siano basati sul fanatismo del personaggio, e sicuramente lo stesso fanatismo anima anche nel cuore di chi cerca la sterilità dell’utopia. Ma stride non poco l’idea che poteri di origine scientifica siano influenzati solo dalla forza di convincimento del personaggio.
Difetti Fatali
In generale, Incubus GDR offre uno spunto di gioco interessante. La storia che ha portato dalla grande catastrofe al tempo di gioco è ben descritta senza diventare inutilmente puntigliosa. Il post apocalittico diventa una scusa per raccontare qualcosa di più interessante, lo scontro tra le due civiltà che si contendono il mondo, con le relative filosofie in conflitto.
Tuttavia questo spunto rischia di perdersi in quattro difetti su cui è difficile sorvolare.
Il sistema di gioco promette una grande semplicità, ma questa si limita alla prova da effettuare; all’atto pratico bisogna tenere conto di una serie di complicazioni che lo rendono tutt’altro che fluido. E questo ignorando le regole opzionali, disponibili per un gioco più avanzato.
La mancanza di una visione di gioco globale. Il manuale si concentra molto sulla storia, sulla creazione del personaggio e sullo spiegare le meccaniche. Ma la parte che descrive effettivamente le possibilità di gioco è molto esigua, concentrata principalmente su metodi per creare un buon intreccio ma senza offrire grandi spunti su come rendere viva l’ambientazione.
Un manuale che nel tentativo di offrire una lettura più strutturata, finisce per essere farraginoso, dimenticando la funzione che dovrebbe avere di spiegare con immediatezza e semplicità. Incubus GDRnon è di facile lettura, e l’impaginazione un po’ piatta, interrotta principalmente da tabelle e artwork non sempre esaltanti (di cui avete alcuni esempi in questa recensione), non è molto d’aiuto in tal senso.
Incubi non Ricorrenti
Infine, quella che è presentata (almeno sul blog) come una precisa scelta di design: l’assenza degli Incubi. Un aspetto tralasciato fino ad ora in questa recensione è il ruolo che hanno nell’ambientazione gli Incubi, manifestazioni di ciò che alberga nel cuore degli uomini. Sono stati gli Incubi a portare la tragedia in un mondo che era sull’orlo del baratro, ma di fatto, a parte alcuni richiami e un breve paragrafo, sono i grandi assenti del manuale. Hanno un ruolo fondamentale nella costruzione dell’ambientazione, ma viene lasciato fin troppo spazio al Narratore per ricostruirne il ruolo, la natura e qualsiasi cosa. Come dicevo una precisa scelta di design, ma poco calzante quando si è scelto di incentrare così tanto la storia su di loro.
Considerazioni Finali della Recensione di Incubus GDR
Incubus GDR è un prodotto che sicuramente ha i suoi punti di forza. I presupposti dell’ambientazione sono intriganti; soprattutto quando si va oltre l’apparente post apocalittico e si afferra il punto nodale del gioco. Alcune meccaniche sono interessanti: già vista altrove ma comunque interessante di utilizzare un punteggio per le risorse economiche anziché contare il denaro. Ed è molto stimolante l’idea di legare l’Esperienza accumulata anche (non esclusivamente) ai Check falliti.
Il problema è che questi indubbi pregi finiscono per perdersi in un regolamento troppo articolato, che insegue un simulazionismo eccessivamente farraginoso per tutelare l’esperienza di gioco. Meccaniche che vanno a discapito dell’ambientazione nell’economia di un manuale che cerca una forma poco adatta all’esposizione; e che qualche volta sfugge anche di mano a chi scrive.
Ci sarà sicuramente chi lo adorerà, perché i temi forti alla base di Incubus GDR sono interessanti e maturi. Ma personalmente, mi ha dato la sensazione che sia il sistema di gioco che l’ambientazione fossero fortemente legati al “tavolo di giocatori” mentale di chi l’ha scritto. E, quindi, relativamente poco adatti ad essere portati al di fuori di esso.
Ancora una volta, vi proponiamo la recensione di un’avventura di Menagerie Press, che ringraziamo per averci inviato una copia digitale di Clash at Kell Crenn. Un’avventura in inglese per D&D5e, progettata per 3-7 personaggi tra il 6° e l’8° livello. Tra gli autori troviamo nuovamente William Murakami-Brundage, assieme a Karrin Jackson e Pôl Jackson. Come le altre avventure di Menagerie Press che vi abbiamo recensito in precedenza (Adul, City of Gold, The Dream Prison e The Black Lotus of Thalarion), Clash at Kell Crennpuò essere acquistata suDrivetrhuRPG in versione digitale per 8.99$ (circa 7€), o in versione fisica, softcover e stampata a colori, per 13.99$ (circa 11,45€).
Un Primo Colpo d’Occhio
Con le sue 35 pagine, Clash at Kell Crenn si presenta sicuramente completa di tutto ciò che può servire per portare avanti l’avventura con soddisfazione. Il comparto grafico è semplice e pulito. Graficamente un po’ spoglio, fa forse rimpiangere l’assenza di illustrazioni che rendano le pagine più appaganti. Il livello degli artwork è alto, ma si tratta di contributi piuttosto marginali, ad eccezione della copertina e di una singola illustrazione a pagina intera. Un’immagine dei png di maggior rilievo sarebbe stata d’aiuto per l’immersività nella storia, ma la loro assenza non compromette assolutamente l’esperienza.
In compenso è perfettamente funzionale, e rispetta lo stile delle pubblicazioni per D&D5e. Le mappe sono esaustive e le tabelle complete, con le caselle di testo e note che contribuiscono a fare ordine. Clash at Kell Crenn non è appariscente, ma il suo lavoro lo fa bene.
Recensione della Trama di Clash at Kell Crenn
“Un viaggio lungo il fiume porta gli avventurieri alla fortezza fluviale sotto assedio di Kell Crenn, dove un’orda di gnoll sta assaltando le mura. Cosa cercano i predoni delle terre desolate in un avamposto commerciale di frontiera?”
Questo riporta la sinossi ufficiale dell’avventura, e non ci saranno altri indizi per evitare di darvi spoiler sulla trama. Che ha comunque un duplice pregio: da un lato è facilmente adattabile a qualsiasi ambientazione. Ma si va a inserire anche in un piccolo mondo che Menagerie Press tratteggia sempre più in ognuna delle sue avventure. Fattore che certamente invoglia a giocarle con una certa continuità.
Gli agganci all’avventura sono abbastanza standard. C’è comunque un certo impegno nel fornire delle alternative per gruppi che volessero avere un approccio diverso; non tutti giocano i tipici eroi disposti a fare la propria parte. In questo caso gli autori premettono che potrebbe essere necessario un po’ di lavoro aggiuntivo da parte del DM. Gli eventi seguono un dipanarsi abbastanza lineare; l’elemento più interessante è la possibilità di diversificare le minacce con una certa flessibilità, e Clash at Kell Crenn è piuttosto ricca di spunti in tal senso. Alcune sfide possono anche essere affrontate con un approccio diverso dal combattimento aperto: per quanto rimanga un’avventura piuttosto “muscolare”, le occasioni per fare sfoggio di intelletto e diplomazia non mancano.
Un’Avventura Ambiziosa
Il tratto che maggiormente caratterizza Clash at Kell Crenn è a mio parere il respiro epico. Pensata per personaggi mediamente di 7° livello, l’avventura riesce a presentare sfide ben calibrate. Al tempo stesso riesce però anche a far assaporare la sensazione di avere a che fare con qualcosa di più grande dei personaggi: con i dovuti accorgimenti permette di introdurli in trame dalla portata molto ampia, ottime per agganci futuri.
In generale ho trovato appagante seguire il dipanarsi degli eventi attraverso sfide impegnative: si ha sempre la sensazione concreta di poter “fare la differenza”; il tutto senza risparmiare un certo numero di colpi di scena, non scontati, che rendono l’avventura più interessante di un banale susseguirsi di incontri e scontri programmati. La giusta dose di azione, combattimento, diplomazia e intrigo spianano perfettamente la strada all’epilogo della storia, decisamente inaspettato per i protagonisti.
Considerazioni Finali della Recensione di Clash at Kell Crenn
Clash at Kell Crenn è un’avventura per D&D5e con un’impostazione tutto sommato molto tradizionale. Un percorso lineare di minacce che, risolte, portano a nuovi elementi che permettono di far avanzare il gruppo nella trama. La possibilità di intraprendere diversi tipi di approccio ad alcune sfide la rende più godibile per i giocatori; sfruttare incontri combinabili in una struttura quasi modulare permette al master di avere maggiore libertà d’azione, compensando fortuna e sfortuna aumentando e diminuendo gli eventi.
Il tutto al servizio di una storia che evolve in un crescendo di avversità, con il finale dal sapore genuinamente epico: un’avventura per giocatori che vogliono poter assaporare la sensazione di riuscire davvero a fare la differenza nel proprio mondo di gioco. O per master che vogliono evidenziare le conseguenze delle loro scelte.
Se avete apprezzato questa recensione di Clash at Kell Crenn, continuate seguirci per scoprire altre avventure!